next essay Studi Storici 3, luglio-settembre 95 anno 36


I DIARI DI LUIGI FEDERZONI. APPUNTI PER UNA BIOGRAFIA

 

Albertina Vittoria

 

1. Nei primi mesi del 1927 Luigi Federzoni - da poco tornato al dicastero delle Colonie - scrisse un diario, annotando puntualmente, ora per ora, le proprie giornate, i propri incontri, le proprie impressioni1. Ne emerge un quadro interessante dei rapporti tra i diversi gerarchi, delle loro posizioni politiche e personali, dei contrasti e delle gelosie esistenti nel regime fascista - il tutto osservato con occhio ironico: non distaccato, ma certamente al di sopra di quelli che Federzoni definiva, riferendosi alle polemiche tra "L'Impero", Malaparte e "L'Italiano", "alterchi di lavandaie" (5 gennaio, p. 27).

Senza voler enfatizzare i suoi commenti e il racconto degli "sfoghi" che eminenti personaggi si recavano quasi quotidianamente a fargli - atteggiamenti probabilmente consueti in qualsiasi contesto e regime politici -, certo dalle annotazioni di questo diario si percepisce una dialettica di rapporti e di posizioni che si rivela un utile tassello nella ricostruzione degli eventi e della storia del regime fascista. Non ci sono elementi particolarmente eclatanti, ma, piuttosto, chiarimenti. Ad esempio, in merito alla politica coloniale, ai movimenti delle truppe in Cirenaica e, soprattutto, alla "cronica polemica d'ufficio" con il ministro delle Finanze, Giuseppe Volpi di Misurata, dovuta al fatto che, mentre si "proclama ogni giorno, con nauseante retorica, l'avvento dell'Impero", "non si danno i soldi per mandare innanzi, alla meglio, quel modestissimo ritaglio di dominii territoriali che l'ingordigia altrui e la debolezza nostra ci permisero di acquistare!" (12 gennaio, p. 40). Rimane confermato lo scarso interesse verso l'attività del ministero delle Colonie di cui Federzoni aveva e avrebbe accusato in diverse occasioni il governo fascista2: "[...] ho l'impressione - scriveva il 9 marzo commentando la presentazione da lui fatta al Consiglio dei ministri di un disegno di legge per l'assetto politico, giuridico e amministrativo della Tripolitania e della Cirenaica - che nessuno, neppure Volpi, si sia reso conto dell'importanza storica e del significato di novità di questa legge, rispetto alla posizione dell'Italia nel Mediterraneo" (p. 128).

La politica economica e quella finanziaria sono spesso al centro di queste pagine, soprattutto per i risvolti polemici e per i contrasti tra i ministri: come ad esempio "il conflitto - di cui Federzoni viene messo a parte da Giacomo Suardo - fra Volpi da una parte, e la triade Ciano-Giuriati-Belluzzo dall'altra, causa la politica finanziaria della quale Volpi sarebbe, secondo la triade, interprete poco convinto e poco fedele. Naturalmente dietro a lui si vuol vedere il solito spettro della Banca Commerciale. Il Duce avrebbe, a detta di quei signori, il torto, come sempre, di accondiscendere e tollerare" (5 marzo, pp. 125-126). Proprio dal versante della Banca commerciale Federzoni racconta di una riunione in cui Giuseppe Toeplitz, assieme a un funzionario del ministero della Finanze, aveva "violentemente censurato la politica monetaria attuale e deplorato le costrizioni esercitate sugli Istituti di credito per assicurare il successo del "Littorio"" (7 gennaio, p. 30).

Lo stesso Federzoni si dimostra critico - oltre che per i motivi legati all'attività coloniale - nei confronti del ministro delle Finanze: "Risulta che il Conte Volpi ha intensificato il lavorio di accaparramento di appoggi dentro e fuori del Partito per la sua carriera di uomo di governo. Egli manca totalmente del senso del limite. Qualcuno lo ha definito esattamente: il Nitti del Fascismo". Di fronte a questo come ad altri atteggiamenti Federzoni rimane perplesso:

 

Ma... la situazione finanziaria dello Stato, la situazione economica del Paese, come si risolvono?

Ecco un problema per cui non basta ruffianeggiare di qua e di là graziosamente (2 marzo, pp. 120-121).

 

Commento assai esemplificativo della sua posizione e del suo atteggiamento, per dir cosí, critico. Ed è proprio con questo spirito che prende nota delle altrui insoddisfazioni e perplessità. Ad esempio dei suoi amici nazionalisti: di Enrico Corradini, "in crisi spirituale" (20 gennaio, p. 48; cfr. anche 3 marzo, pp. 121-122); di Francesco Coppola, "malcontento ma rassegnato" (22 gennaio, p. 50), "preoccupato sopra tutto dell'ambiente psicologico in cui si forma l'educazione morale delle nuove generazioni, ravvisandovi una tendenza alla falsificazione retorica e al disprezzo della cultura e dello sforzo intellettuale, e un incoraggiamento pericoloso alla conquista dei posti di comando senza lavoro, senza merito e senza preparazione" (19 febbraio, p. 99); di Ugo D'Andrea, deluso del suo incarico di redattore del "Giornale d'Italia", poiché ormai nel giornalismo "noi non siamo piú che impiegati, ai quali ogni giorno il Prefetto comunica ordini e divieti" (ibidem). E cosí via per altri esponenti di primo piano del regime fascista, da Giovanni Gentile, non molto ottimista sulla situazione (16 febbraio, pp. 95-96), ad Arturo Bocchini, capo della polizia, "stanco, esasperato, sbandato, per la guerra sorda che gli fanno quasi tutti i componenti del Direttorio del Partito" (3 marzo, p. 123; cfr. anche 11 marzo, p. 129).

Federzoni annota e registra questi stati d'animo, corredandoli di commenti a volte sferzanti, ma senza rivelare il proprio e senza usare il diario come valvola di sfogo personale. La sua posizione comunque non doveva essere delle piú fiduciose se poi in meno di due anni sarebbe stato estromesso dall'incarico ministeriale per avviarsi a ricoprire per il resto del ventennio ruoli che, seppur nella loro dignità, non erano comunque ruoli chiave nella politica e nelle scelte strategiche del fascismo3. Uomo legato alla monarchia prima che al fascismo, la sua posizione potrebbe essere paragonata a quella espressa da Prospero Colonna a proposito del giuramento prescritto per l'appartenenza al Pnf e alla sua "contrarietà" in merito: una posizione di "perplessità" dovuta al "sospetto circa le intenzioni del Partito nei confronti della Monarchia" (21 marzo, p. 138). Il ritenere la monarchia l'elemento istituzionale al di sopra del regime politico, d'altra parte, sembrerebbe esser stato anche la causa della caduta in disgrazia di Federzoni, dovuta alla sua opposizione alle legge sul Gran consiglio del dicembre 1928, con la quale veniva tra l'altro limitata la prerogativa della Corona per quanto riguardava la scelta del capo del governo e con la quale si metteva un'ipoteca sul meccanismo della successione al trono4.

La posizione di Federzoni che ci viene confermata da questo diario è quella dell'uomo politico che mette le proprie competenze e le proprie capacità al servizio del governo della nazione - che sono poi gli stessi motivi per cui, in sintesi, appoggiò l'andata di Mussolini al potere e ne organizzò, con Dino Grandi, la caduta. Ma nella storia del regime fascista il ruolo di mediazione che egli svolse - in diverse occasioni - fu senza dubbio di notevole importanza per lo sviluppo degli eventi. Ruolo di mediazione anzitutto tra la monarchia e Mussolini, nelle diverse fasi cruciali: marcia su Roma, delitto Matteotti, 25 luglio.

Cosí come un ruolo importante svolse per i rapporti del governo con il Vaticano e l'avvio del processo di Conciliazione e di ratifica del Concordato. Nel diario vi è una testimonianza in proposito: la visita che gli fa, l'11 gennaio 1927, mons. Luigi Haver, "caro e venerando sacerdote, propugnatore infaticabile della Conciliazione", nel colloquio con il quale Federzoni trasmette la posizione del governo:

 

Egli è venuto da me per incarico di lassú - scrive Federzoni -, allo scopo di avere aiuto per il regolamento della legge sull'Opera Nazionale Balilla. "Il Santo Padre è angustiatissimo per questa distruzione dei Giovani Esploratori". Si vorrebbe almeno qualche maggiore temperamento. Gli ho risposto ricordandogli che oggi io posso far poco o nulla per simili questioni, e aggiungendo che la condotta del Vaticano, che condanna per bocca del Papa la dottrina fascista dello Stato ed esalta a mezzo del Nunzio di Parigi la politica del Governo massonico di Francia, suscita un gravissimo disorientamento e una profonda amarezza (p. 38)5.

 

Il ruolo di Federzoni come riferimento per il Vaticano si era esplicato già dall'anno precedente quando partecipò - tra il marzo e il luglio - ai colloqui, organizzati appunto da Haver, con l'avvocato Pacelli e quindi con il cardinal De Lai che, seppure non ebbero esiti, prelusero a quell'incontro tra il consigliere Domenico Barone e Pacelli l'8 agosto 1926, che segnò il vero e proprio avvio delle trattative per la Conciliazione6.

Testimonianza significativa dell'inizio dei rapporti tra governo e Santa Sede è offerta da una lettera del senatore Cesare Silj, cugino del cardinal Gasparri, conservata tra le carte di Federzoni: la lettera è datata 8 aprile 1926 - il giorno seguente all'attentato di Violet Gibson contro Mussolini, che in Vaticano "produsse un'angosciosa, profonda costernazione" - e indica come l'episodio abbia fornito una spinta alla ripresa dell'esame di una soluzione per la questione romana:

 

Ieri mattina - scrive Silj a Federzoni, allora ministro dell'Interno -, alle 9,30, per la prima volta, dopo i noti incidenti, il Papa, di sua iniziativa, intrattenne il suo Segretario di Stato, Card. Gasparri, sulla soluzione della Questione Romana, discutendo particolarmente il riconoscimento, da parte delle potenze dello Stato libero e indipendente da assegnarsi alla S. Sede, e poiché il discorso cadde sul centenario, che l'altro ieri si solennizzò qui in Roma, delle relazioni fra S. Sede e Brasile, il Papa soggiunse: Sul Brasile potremo certo contare.

Tutto ciò conferma che il Papa pensa alla Conciliazione e la desidera.

 

Ed è questa notizia, "autorizzata, data a me, ieri sera dal Card. Gasparri", che Silj trasmette a Federzoni perché "la comunichi a S.E. l'on. Mussolini", raccomandando comunque che il governo adottasse nei confronti del Vaticano "il doveroso riguardo che si ha per le istituzioni e per i governi degli altri Stati"7.

Il rapporto di fiducia del Vaticano nei confronti di Federzoni è d'altra parte testimoniato dal fatto che egli veniva indicato - assieme a Caviglia e Orlando -, nella prima stesura di un documento della Santa Sede del maggio 1943 indirizzato al delegato apostolico di Washington per l'ambasciatore Taylor, come persona in grado di assumere il governo del paese in un periodo di transizione8. È poi confermato dall'aiuto che ebbe durante l'occupazione tedesca della capitale, quando l'ambasciatore del Portogallo presso la Santa Sede, Antonio Carneiro Pacheco, lo tenne nascosto presso di sé, per sfuggire al processo e alla condanna a morte emessa dal tribunale di Verona9. Successivamente, quando iniziarono a profilarsi i provvedimenti per la punizione dei delitti e degli illeciti del fascismo, poiché non era piú possibile per Federzoni rimanere nell'ambasciata portoghese - dovendo Carneiro Pacheco tornare a Lisbona - fu proprio il papa, attraverso l'intercessione del cardinale Maglione e di mons. Montini, a trovargli - nel giugno 1944 - un nuovo rifugio presso il Pontificio Collegio ucraino San Giosafat al Gianicolo10. Qui sarebbe rimasto fino al maggio 1946, quando fuggí - sempre con l'aiuto della Santa Sede - in Portogallo, da dove si imbarcò per il Brasile - ma su questo si tornerà piú avanti.

Se dal diario del 1927 non emergono rivelazioni particolari sul maturarsi dell'atteggiamento politico di Federzoni nei confronti del regime fascista, la spiegazione piú interessante dell'evolversi sia della sua posizione che della situazione oggettiva, potrebbe essere nell'esistenza del diario stesso: in particolare nel suo inizio - il 1° gennaio - e nella brusca interruzione - il 20 aprile.

Per quanto riguarda l'inizio del diario ha certamente ragione Sergio Romano nella sua introduzione: il 1926 - con le leggi eccezionali seguite all'attentato Zamboni, la definitiva soppressione delle opposizioni e l'istituzione del Tribunale speciale - segnò una svolta nella storia del regime fascista e, al tempo stesso, in quella personale di Luigi Federzoni - dimessosi da ministro dell'Interno dopo l'attentato e l'approvazione delle misure repressive: non era piú "il vicario di una diarchia fascista-nazionalista e l'ipotesi moderata di un regime in fieri" (p. 16). Per questo decideva di annotare quanto sarebbe accaduto a partire dal nuovo anno, divenuto - come sottolinea Romano -, in virtú del decreto del 31 dicembre 1926, anno V dell'"era fascista".

Il problema invece è nella ragione dell'interruzione di questa scrittura quotidiana, per la quale si direbbe non ci siano motivi apparenti: e che di sospensione si tratti lo dimostra il fatto che il quaderno sul quale Federzoni scriveva non terminava le sue pagine con il 20 aprile11. Non casualmente forse il diario finiva con un episodio e un commento significativi: la condanna di Tito Zaniboni e Luigi Capello per l'attentato del novembre 1925, che confermava come si fosse trattato di "una cosa seria" e come fosse stata efficiente l'azione della Pubblica sicurezza. Proprio questa verità, commentava Federzoni riferendosi alla confessione di Zaniboni nel corso del processo,

 

rivendica efficacemente la mia opera di ministro dell'Interno, compensandomi delle amarezze che furono procurate a me e ai miei collaboratori del tempo, non tanto dalle bestiali accuse di mendace montatura poliziesca, lanciate da tutti gli antifascisti dell'estero, quanto dall'insidioso tentativo di attraversamento dell'azione degli organi responsabili, fatto da Farinacci e da taluni suoi amici prima e dopo il 4 novembre 1925 (14 aprile, p. 165)12.

 

Una sua vittoria quindi nella guerra che Farinacci e i fascisti intransigenti gli avevano fatto quando era ministro dell'Interno. E infatti, alla notizia della richiesta di una condanna a trent'anni di carcere da parte del pubblico ministero e constatando come il giornale di Farinacci, "Il Regime fascista", riportasse con sobrietà alcune testimonianze, Federzoni a sua volta commentava: "Il tempo riconduce le cose e gli uomini alle giuste proporzioni" (p. 177). Frase con la quale si interrompe il diario.

Trovare una spiegazione certa a questa interruzione è naturalmente impossibile, se non forzando quelle che possono essere solo ipotesi o accentuando elementi di dissenso.

La scrittura dei diari non fu comunque un episodio isolato nell'esperienza di Federzoni, che in diverse occasioni annotò le proprie vicende personali e utilizzò questa forma di scrittura per ricostruire - attraverso la propria memoria - le vicende salienti della vita del paese o momenti particolari della propria biografia. Federzoni, d'altra parte, come Corradini e altri nazionalisti, veniva dalla letteratura, aveva scritto romanzi in gioventú, si era occupato di arte e di teatro: la spinta a scrivere e a descrivere era quindi un dato di partenza nella sua biografia politica e culturale.

Alcuni diari sono dedicati ai viaggi compiuti, per lo piú per vacanza, assieme alla moglie, Luisa Melotti Ferri (Gina, come veniva chiamata): in Germania nel 1930, in Svizzera, Francia, Spagna e Portogallo nel 1931, in Argentina e Brasile nel 193713. L'aspetto turistico e culturale appare prioritario: piú che in problemi storici e politici, Federzoni si dilunga nella descrizione di opere d'arte, musei, bellezze naturali, spettacoli musicali e teatrali. Vi sono naturalmente anche incontri di carattere politico: in Baviera - dove si era recato per assistere a Bayreuth al Tristano e Isotta diretto da Toscanini -, ad esempio, l'ambasciatore Manfredi Gravina gli fece conoscere Hitler, di cui Federzoni traccia questo ritratto:

 

È un tipo franco, vivace, dai capelli neri impomatati, con una ciocca quasi napoleonica sulla fronte. Porta i baffetti neri tagliati a spazzola e ridotti alla minima estensione sotto il naso. Parla gesticolando, e con un accento incisivo e perentorio. La figura fisica e il modo di fare sono assai piú dell'austriaco che del tedesco. Mostra un'assoluta sicurezza di sé. Piú che un demagogo, mi sembra un allucinato, ma comprendo come, anche perché tale, egli possa magnetizzare le folle. Possiede un'inarrestabile abbondanza di parole [...] Egli dice, in sostanza, che per i nazionalsocialisti il problema non è la lotta per la conquista del potere ma l'azione costruttiva dopo tale conquista [...] Sulla prossima vittoria dei nazionalsocialisti Hitler non ha dubbi14.

 

Della Germania, piú che di altri luoghi, Federzoni sembrerebbe colpito per la situazione politica. Stupito per la scarsa attenzione mostrata dalle persone da lui incontrate, ad eccezione di Gravina, nei confronti del "movimento hitleriano", convinto che "la nuova Germania" sarebbe stata "notevolmente diversa da quella degli Hoenzollern", in questo diario si dilunga in osservazioni di carattere politico e nella descrizione di incontri e discussioni.

Con intento privato e di riservatezza Federzoni scrisse - nell'ottobre 1943 - i propri ricordi giovanili, Memorie inutili della famiglia Federzoni (per uso interno)15: da qui emerge un vivace quadro della Bologna di fine Ottocento e di inizio secolo, ricco di incontri culturali e di personaggi, a cominciare da Oriani e Carducci, amici del padre, Giovanni Federzoni, professore di italiano e studioso di Dante16. Ai racconti di Bologna seguono quelli di Roma, dove Federzoni si trasferí nel 1900 dopo la laurea con Carducci, per perfezionarsi negli studi di storia dell'arte, e dove si sarebbe stabilito come redattore del "Giornale d'Italia" dal 1905, essendo stato per breve tempo anche redattore al "Resto del Carlino". Da qui alla carriera politica e alla fondazione dell'Associazione nazionalista italiana il passo fu breve: il Giulio De Frenzi letterato e collaboratore di giornaletti satirici divenne, attraverso l'esperienza giornalistica e di inviato, il militante politico: "Ormai ero scivolato dentro il gioco pericoloso della politica militante, la qual cosa mi offriva bensí un vantaggio: quello di distaccarmi dalla letteratura, come dire che chiodo scaccia chiodo; ma chiodo era"17.

La letteratura rimaneva un "chiodo", come appunto è testimoniato da queste Memorie e dai diversi diari.

 

 


Albertina Vittoria, I diari di Luigi Federzoni. Appunti per una biografia


1 L. Federzoni, 1927. Diario di un ministro del fascismo, prefazione di S. Romano, a cura di A. Macchi, Firenze, Passigli, 1993. Gli originali del diario sono conservati dalla figlia di Federzoni, Elena Argentieri; in copia il diario è presso l'Archivio storico dell'Istituto della Enciclopedia italiana, cui sono state donate le carte di Federzoni, che fu presidente dell'Istituto dal marzo '38 al luglio '43 (Fondo Luigi Federzoni [d'ora in poi solo FLF], fasc. 46, 47, 48). Per la biografia di Federzoni e la bibliografia relativa, rimando alla mia voce in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1995, vol. XLV, pp. 792-801. Ringrazio l'Istituto della Enciclopedia italiana e Gabriella Nisticò, responsabile dell'Archivio storico, per la possibilità che mi hanno dato di portare avanti questa ricerca. Un ringraziamento particolare alla famiglia Federzoni, per la grande disponibilità nei miei confronti, come si vedrà via via nel corso di questo lavoro. Elena Federzoni, che ha sopportato affettuosamente le mie incursioni, mi ha aiutato con i suoi ricordi e la sua amicizia.

2 Per la politica coloniale, l'opera di Federzoni durante i suoi dicasteri (ottobre 1922-giugno 1924; novembre 1926-dicembre 1928) e le sue lamentele per la scarsa sensibilità sull'argomento, cfr. C. Segré, L'Italia in Libia. Dall'età giolittiana a Gheddafi, prefazione di G. Rochat, Milano, Feltrinelli, 1978; A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale. La conquista dell'Impero, Roma-Bari, Laterza, 1979. Cfr. inoltre gli scritti e discorsi di Federzoni raccolti in Venti mesi di azione coloniale, a cura di F. Nobili Massuero, Milano, Mondadori, 1926; A.O. Il posto al sole, Bologna, 1936, e la documentazione conservata in Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, cart. ris., b. 23, fasc. 224/R, "Luigi Federzoni", in particolare il rapporto a Mussolini del 24 novembre 1926.

3 Presidente del Senato dal 1929 al 1939, nel marzo 1938 fu nominato presidente dell'Accademia d'Italia. Fu inoltre direttore della "Nuova antologia" (dal 1931), presidente dell'Istituto di studi romani (1929-1931), dell'Istituto fascista dell'Africa italiana (dal 1937) e dell'Istituto della Enciclopedia italiana (dal 1938).

4 Secondo Federzoni la legge fu fatta contro l'erede al trono, il principe di Piemonte, notoriamente "ostile" al fascismo (Italia di ieri per la storia di domani, Milano, Mondadori, 1967, p. 225). Sembra che il re, in proposito, piú che intervenire personalmente, avesse fatto agire proprio Federzoni al fine di ottenere modifiche al testo della legge: questo spiegherebbe perché il 16 dicembre Mussolini lo fece dimettere da ministro (R. De Felice, Mussolini il fascista, II, L'organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Torino, Einaudi, 1968, p. 310). Per la legge sulla costituzionalizzazione del Gran consiglio, cfr. A. Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1978 (I ed. 1965), t. I, pp. 169 sgg., t. II, pp. 493 sgg.

5 Piú avanti, il 4 febbraio, riporta un commento fatto da Mussolini nel corso di un Consiglio dei ministri a un articolo di p. Rosa sulla "Civiltà cattolica" in cui si rivendicava alla Chiesa il monopolio dell'educazione della gioventú: "Si direbbe - avrebbe affermato Mussolini - che i portavoce del Vaticano avessero ricevuto istruzione di cercare in tutti i modi il pretesto per un dissidio dottrinale col Governo fascista. La verità è che il Vaticano ha o crede di avere interesse a che l'Italia sia uno Stato non troppo forte e non troppo potente. Perciò preferiva in fondo l'Italia massonica all'Italia fascista" (p. 74).

6 Cfr. la lettera di Haver a Mussolini del 10 giugno 1929, in C.A. Biggini, Storia inedita della Conciliazione, Milano, Garzanti, 1942, pp. 78-79; F. Margiotta Broglio, Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla Conciliazione. Aspetti politici e giuridici, Bari, Laterza, 1966, p. 135.

7 FLF, fasc. 23, lettera manoscritta e in copia dattilografata. Per il ruolo di Federzoni in merito, cfr. anche F. Pacelli, Diario della Conciliazione. Con verbali e appendici di documenti, a cura di M. Maccarone, Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 1959, dove cita un'udienza del 26 ottobre 1928, nella quale il papa gli riferí di aver saputo che "il ministro Federzoni ha dichiarato a Don Tomassetti (salesiano) di aver appreso che il Re sarebbe contrario alla proposta soluzione della questione romana, soluzione che non salvaguarderebbe la dignità del paese né della dinastia: lo stesso Federzoni propone di far parlare al Re dal card. Maffi" (p. 99). In merito alle trattative specifiche per la Conciliazione, nel libro di memorie, Federzoni afferma di essersi astenuto "da qualsiasi intromissione personale che avrebbe destato i risentimenti di aspre polemiche dei partiti, con danno indubbio alla causa della Conciliazione" (Italia di ieri, cit., p. 125).

8 Le cardinal Maglione au délégué apostolique à Washington Cicognani, projet III, Texte rédigé d'après les remarques de Pie XII, in Secrétairerie d'Etat de Sa Sainteté, Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, 7, La Saint Siège et la guerre mondiale.Novembre 1942-décembre 1943, Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 1973, p. 365.Il paragrafo del documento in cui venivano fatti questi nomi fu soppresso nella stesura definitiva perché si ritenne "poteva essere pericoloso" (ivi, p. 366). Cfr. anche Introduction, pp. 33 sgg.

9 Per il periodo trascorso nel villino dell'ambasciata portoghese ai Parioli, dove Federzoni si recò il 9 settembre del '43, cfr. il suo ricordo di Antonio Carneiro Pacheco, Mi salvò la vita, in "O Concelho de Santo Tirso", vol. VII, 1960, n. 1, pp. 27-30 (FLF, fasc. 59). Fu lo stesso Pacheco, nell'agosto 1943, ad offrirgli "per ogni prevedibile evenienza il provvido rifugio nel suo villino, ove era rimasto solo, avendo prudentemente mandato la famiglia in Patria" (p. 27). Era stato mons. Montini (che Federzoni aveva conosciuto nell'anteguerra a Brescia, in casa del padre, Giorgio Montini), a intercedere tra l'ambasciata e la Santa Sede.

10 FLF, fasc. 113, Carte conservate dal genero di Federzoni, Ferdinando Sciacca della Scala (in fotocopia) (d'ora in poi Carte Sciacca), minute lettere manoscritte di L. Federzoni al card. L. Maglione, 10 e 22 giugno 1944, e a S.E. Rev.ma G.B. Montini, 22 giugno, 28 luglio, 21 agosto 1944, 15 aprile, 24 luglio 1945: "S.E. l'Ambasciatore Carneiro Pacheco - scriveva a Montini il 22 giugno 1944 - mi comunica che la preghiera, da me umiliata al Santo Padre mediante l'autorevolissimo tramite di V.Em., è stata esaudita. Riconosco in questo favorevole risultato un nuovo prezioso segno della benevolenza di cui il Santo Padre degna onorarmi [...]". Il 28 luglio inviava a Montini copie dei memoriali preparati per la propria difesa: "mi sembra utile che l'ospite sia interamente conosciuto in tutti i propri precedenti, da Chi Si è degnato di concedergli ricetto".

11 Si tratta di tre quaderni rilegati con le pagine numerate dallo stesso Federzoni: il primo dal 1° gennaio al 1° febbraio (pp. 154), il secondo dal 2 febbraio al 2 marzo (pp. 156), il terzo dal 3 marzo al 20 aprile, numerato e scritto fino a p. 173.

12 Per l'attentato cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista, II, cit., pp. 139 sgg.

13 Sono tre quaderni, conservati da Elena Federzoni, ognuno con un suo titolo: Viaggio automobilistico in Germania (1930), con una precedente stesura meno elaborata, di appunti presi lí per lí, su un piccolo block notes nero (una rielaborazione di questo diario venne pubblicata successivamente in sei puntate nell'agosto e settembre 1962 sul "Giornale d'Italia"; in FLF, fasc. 45); un quaderno rilegato intitolato Passeggiate svizzere (luglio-agosto 1931-IX); Ritorno a Parigi (settembre id.); Viaggio in Ispagna e Portogallo (settembre-ottobre id.); un altro quaderno rilegato intitolato, da una parte, 1937, con il viaggio in Argentina e Brasile, e dall'altra Appunti su date importanti di famiglia e sui viaggi compiuti, in cui Federzoni elencò cronologicamente le proprie nomine, i propri spostamenti, i lutti e gli eventi lieti. Gli appunti iniziano nel 1924 e terminano nel luglio 1941, con l'interruzione di alcuni anni. La sola annotazione che lascia spazio a un commento personale è quella del 10 giugno 1940: "Mussolini fa intervenire di sorpresa l'Italia nella maledetta guerra".

14 Viaggio automobilistico in Germania (1930), giovedí 24 luglio. Per l'incontro con Hitler cfr. Italia di ieri, cit., pp. 126-127.

15 FLF, fasc. 36, dattiloscritto, pp. 138, datato ottobre 1943 e dedicato "alle mie figliuole Annalena, Elena e Ninní". La copia dattiloscritta risale all'aprile 1968, ad opera della nipote di Federzoni, Luisa Sciacca.

16 Autore di commenti alla Vita nova (Bologna, Zanichelli, 1902) e alla Divina Commedia (Rocca San Casciano, Cappelli, s.d.), Giovanni Federzoni raccolse i suoi scritti in Studi e diporti danteschi (Bologna, Zanichelli, 1902). Cfr. la voce di C. Boninsegni, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1995, vol. XLV, pp. 789-792.

17 Memorie inutili, cit., p. 128.