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LE IDEE COSTITUZIONALI DEL PCF E DEL PCI ALL'INDOMANI DELLA LIBERAZIONE*

Sandro Guerrieri

1. La genesi della Costituzione italiana del 1948 presenta profonde analogie con l'elaborazione della Costituzione francese del 1946. In ambedue i processi costituenti, infatti, l'ispirazione antifascista si tradusse nell'ambizione di creare un sistema costituzionale che fosse non solo antitetico rispetto ai regimi dittatoriali da cui i due paesi erano usciti, ma anche fortemente innovativo per diversi aspetti in rapporto ai sistemi politici che avevano preceduto l'avvento di tali regimi: il parlamentarismo della monarchia liberale in Italia, la Terza repubblica in Francia. Protagoniste della vicenda costituente in Italia e in Francia furono inoltre in buona parte le medesime correnti politiche, vale a dire i partiti di massa democratico-cristiano, socialista e comunista. Tanto che, nell'introduzione a una raccolta di studi sulla Costituzione italiana uscita in Francia nel 1950, il giurista francese Jean Rivero non esitava a parlare di «un rapport de fraternité» che legava i due testi costituzionali, figli «des mêmes idéologies et des mêmes circonstances»1.

Nella formazione delle due Costituzioni ebbero un grande rilievo le posizioni dei comunisti. Chiamati a misurarsi con il problema della definizione di una forma di Stato e dell'organizzazione di una forma di governo che costituissero il coronamento istituzionale della lotta antifascista, il Pci e il Pcf avanzarono delle proposte costituzionali all'interno delle quali si riflettevano diversi temi comuni ma in cui erano presenti anche importanti elementi di differenziazione, che avrebbero avuto un peso notevole sull'esito rispettivo dei due processi costituenti. Di qui l'interesse di una comparazione che punti a mettere in luce le analogie e le diversità del modo in cui i due principali partiti comunisti dell'Europa occidentale - i cui archivi per il periodo in questione sono ora entrambi aperti alla consultazione2 - hanno affrontato all'indomani della Liberazione la questione dell'elaborazione di una Costituzione democratica.

Cominceremo col prendere in esame le idee costituzionali del partito comunista francese, posto per primo nella necessità di definire le sue proposte in vista delle elezioni dell'Assemblea costituente del 21 ottobre 1945.

2. Affermatosi come una delle principali forze della Resistenza, il Pcf aveva inizialmente cercato nell'autunno del 1944, una volta liberata la maggior parte del paese, di sfruttare al massimo il prestigio accumulato nella lotta di liberazione adottando una strategia che si esprimeva da un lato nella partecipazione al governo provvisorio presieduto da de Gaulle, dall'altro nell'utilizzazione, fino a quando non fosse stata eletta un'Assemblea costituente, dei comitati dipartimentali di liberazione e delle milizie patriottiche come una sorta di potere concorrente rispetto a quello del governo. Secondo una linea interpretativa rilanciata di recente, questa strategia non avrebbe affatto escluso la possibilità di una rottura con de Gaulle e di una conquista del potere da parte del Pcf3. Da parte nostra riteniamo che un'eventualità di questo tipo sia stata presa in considerazione in realtà come ipotesi concreta piú a livello di responsabili locali e di settori della base che non nell'ambito del gruppo dirigente, anche se non mancavano all'interno di quest'ultimo personalità come André Marty che manifestavano una posizione di estrema ostilità nei confronti di de Gaulle. Il dato essenziale, comunque, è che il ritorno in Francia il 27 novembre 1944 del segretario del partito Maurice Thorez dal suo esilio a Mosca segnò l'abbandono di ogni atteggiamento ambivalente nei confronti del governo provvisorio da parte del Pcf, che accettò lo scioglimento delle milizie patriottiche decretato da de Gaulle e il ridimensionamento del ruolo dei comitati dipartimentali di liberazione. Al comitato centrale di Ivry del 21-23 gennaio 1945, il segretario del Pcf chiarí in modo netto, riguardo alle prospettive strategiche, che non era il momento di formulare «des exigences de caractère socialiste ou communiste»4, e criticò aspramente coloro che nel partito a suo avviso non avevano compreso adeguatamente il carattere della guerra in corso e tendevano a confondere i comitati di liberazione con i Soviet e le milizie partigiane con l'armata rossa5. L'obiettivo del Pcf veniva quindi delimitato da Thorez alla costruzione, al termine del conflitto mondiale, di una democrazia «plus vraie, plus large» rispetto al sistema istituzionale della Terza repubblica: una democrazia che, come avrebbe precisato meglio nell'aprile 1945 Etienne Fajon, futuro vicepresidente della Commissione della Costituzione dell'Assemblea costituente, in un saggio su Les communistes et le parlement, non avrebbe avuto un carattere socialista perché «le problème du moment» non era quello dell'alternativa tra «démocratie bourgeoise ou démocratie socialiste», bensí quello di impedire che si riproducessero le condizioni che avevano favorito lo sviluppo del fascismo6.

Questa democrazia «plus vraie, plus large» doveva comunque comportare per i comunisti trasformazioni molto profonde rispetto al modello della Terza repubblica. Il Pcf si accinse con grande impegno a definire i caratteri del nuovo assetto istituzionale, tanto che esso fu il primo partito a depositare un proprio progetto costituzionale all'Assemblea costituente eletta il 21 ottobre 1945 con un mandato di sette mesi per redigere un testo da sottoporre poi a referendum7.

Nell'«exposé des motifs» che accompagnava il progetto depositato alla Costituente si affermava che «une application conséquente des principes démocratiques» esigeva il completamento dei diritti politici con i diritti sociali fondamentali quali il diritto al lavoro, alla protezione sociale e alla istruzione obbligatoria. Un accento particolare veniva posto inoltre sull'espropriazione e il divieto delle grandi concentrazioni monopolistiche, accusate di avere falsato le regole del gioco democratico della Terza repubblica con il loro potere occulto.

Il riconoscimento dei diritti sociali e il ritorno alla nazione dei grandi monopoli riprendevano due aspetti importanti del programma del Consiglio nazionale della Resistenza adottato il 15 marzo 19448, la cui realizzazione costituiva uno degli obiettivi prioritari del Pcf. Va sottolineato però che nella proposta costituzionale depositata dai comunisti, ai contenuti sociali ed economici della nuova forma democratica veniva dedicato uno spazio estremamente ridotto rispetto alla parte relativa all'organizzazione dei poteri pubblici. Un'attenzione importante era dedicata in realtà solo all'espropriazione dei grandi monopoli, giustificata come misura di salute pubblica e quindi motivata prevalentemente da ragioni di carattere politico. Per il resto, i diritti sociali erano elencati in forma estremamente sintetica assieme ai diritti civili in un unico articolo del progetto.

Questa scarsa sensibilità del Pcf nei confronti della questione della costituzionalizzazione dei diritti sociali non era casuale ma derivava da un profondo limite teorico. I comunisti francesi, infatti, avevano fatto interamente propria la definizione coniata da Stalin in occasione dell'adozione del nuovo testo costituzionale sovietico del 1936, secondo la quale lo scopo di una Costituzione doveva essere unicamente quello di registrare conquiste già realizzate. Cosí, se la Costituzione sovietica del 1936 sanciva l'avvento della società socialista, la Costituzione di cui la Francia aveva bisogno all'indomani della Liberazione doveva rappresentare per il Pcf la semplice consacrazione della sconfitta del fascismo senza contenere principi che costituissero un'anticipazione di conquiste sociali ancora da realizzare. Come sottolineò Etienne Fajon in un articolo che illustrò la proposta costituzionale del Pcf, la Costituzione doveva essere in sostanza un «édifice juridique» che riflettesse fedelmente la situazione economica, sociale e politica del paese in quel determinato momento, e non un programma proiettato nel futuro9.

È importante sottolineare che questa ostilità all'idea di una Costituzione in cui fossero inclusi elementi programmatici volti ad orientare l'azione futura del legislatore contrastava nettamente con la grande importanza attribuita invece dal partito socialista all'elaborazione di una nuova Dichiarazione dei diritti che aprisse risolutamente la strada a un'estensione sempre piú vasta della democrazia al terreno economico e sociale10. Alla Commissione della Costituzione i comunisti accettarono, venendo incontro alla posizione della Sfio e del Mrp, di includere nel testo costituzionale una nuova ed ampia Dichiarazione dei diritti dell'uomo che adattasse e completasse la Dichiarazione del 1789. Ma la profonda differenza tra la concezione, propria del Pcf, della Costituzione come sanzione giuridica di una realtà già esistente, e quella invece dei socialisti secondo la quale essa doveva contenere anche dei principi rivolti al futuro, si manifestò ad esempio quando il Pcf si oppose in sede di Commissione il 1° febbraio 1946 alla richiesta della Sfio di inserire tra gli articoli della Dichiarazione la condanna dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo e l'affermazione secondo cui «la dignité de l'homme» esigeva che il lavoro non fosse «une marchandise»11. Alcuni giorni dopo, di fronte ai contrasti che all'interno della Commissione erano sorti tra i comunisti e i socialisti da una parte e gli altri partiti dall'altra su questioni quali la definizione del diritto di proprietà e la libertà di insegnamento, il Pcf non esitò poi ad affermare che era opportuno chiedersi se l'elaborazione di una Dichiarazione dei diritti fosse davvero un compito necessario12. E se al momento della discussione in aula dal 7 al 21 marzo 1946 i comunisti manifestarono per la prima volta un'apertura al concetto di Costituzione programmatica, i limiti di questa evoluzione furono evidenziati dall'intervento di Jacques Duclos, che invitò a non attribuire alla Dichiarazione un'importanza eccessiva:

[...] La France de 1946 n'est plus en mesure, hélas!, comme celle de 1789, de donner à sa Déclaration des droits un caractère d'universalité aussi retentissant. Nous n'avons pas un ordre social nouveau à donner en exemple au monde. Nous ne pouvons montrer que de patients et laborieux efforts de rétablissement d'une véritable démocratie dans notre pays, et, pour dire le fond de ma pensée, je n'hésiterai pas à avouer que c'est moins par des textes que par des actes que nous pourrons completer la Déclaration des droits de 1789. Mais si l'on veut des textes, nous ne nous y opposerons pas, l'essentiel étant pour nous de ne pas perdre de temps lorsque le temps presse de faire la Constitution13.

Questa sottovalutazione del tema della costituzionalizzazione dei diritti spiega come mai alla nuova Assemblea costituente eletta il 2 giugno 1946, a seguito dell'esito negativo del referendum sul testo adottato dalla prima assemblea con il voto unicamente del Pcf e della Sfio, i comunisti non manifestassero una sostanziale opposizione alla proposta (avanzata questa volta dai socialisti allo scopo di rinsaldare nel piú breve tempo possibile la frattura con il Mrp) di rinunciare a una nuova Dichiarazione suddivisa in singoli articoli, e di redigere al suo posto un semplice preambolo in cui ribadire il valore della Dichiarazione del 1789 ed enunciare in modo conciso i principi in campo economico e sociale qualificati come «les plus nécessaires à notre temps»14. È vero che nella discussione in aula i comunisti espressero un giudizio critico nei confronti di questa scelta, dichiarando di accettarla solo per spirito di conciliazione. Ma la critica nasceva non tanto da una adesione convinta al concetto di Costituzione programmatica, quanto dalla preoccupazione che la sostituzione della Dichiarazione dei diritti con un preambolo venisse interpretata come un cedimento eccessivo alle forze ostili al testo costituzionale respinto dal referendum. Tant'è che nel corso del dibattito i comunisti ribadirono che la Commissione della Costituzione della prima Assemblea costituente avrebbe fatto meglio in ogni caso ad ascoltare i loro «conseils de prudence» su questa materia, e a rinunciare quindi alla pretesa «de lancer dans le monde une Déclaration capable de supporter la comparaison avec la Déclaration de 1789»15.

La difficoltà ad accettare l'idea di una Costituzione programmatica rivelava il mancato superamento nella cultura politica del Pcf di quello iato tra la lotta per lo sviluppo della democrazia e la prospettiva socialista presente nella strategia di lotta al fascismo adottata nel 1935 dal VII Congresso dell'Internazionale comunista: uno iato che aveva costituito uno dei punti deboli della politica dei fronti popolari, facendo sí ad esempio che il Pcf si opponesse negli anni 1935-1936 all'inserimento nel programma del Front populaire delle riforme strutturali proposte dai socialisti e dal sindacato Cgt. La persistenza di una netta separazione tra obiettivi democratici e obiettivi socialisti non escludeva piú però all'indomani della Liberazione da parte del Pcf una concezione espansiva della democrazia. Come si è detto, il Pcf reclamava anzi trasformazioni profonde rispetto al sistema democratico della Terza repubblica, ed aveva «pleinement accepté d'être une force de propositions et d'initiatives pour réformer les structures économiques et sociales»16 battendosi per la realizzazione del programma del Cnr. Il punto è che la visione del Pcf dello sviluppo della democrazia, non arrivando a tradursi nella proposta di inserire con decisione nella Costituzione, al di là di una misura di «salut public» come l'espropriazione dei monopoli, le fondamenta di una democrazia sociale, poiché ciò avrebbe comportato un ripensamento del rapporto tra democrazia e socialismo piú radicale di quanto il Pcf fosse disposto ad effettuare, finiva per esprimersi in modo nettamente prevalente nella volontà di dar vita a una forma di governo fondata sul primato assoluto di un potere legislativo a cui fossero posti il minor numero possibile di freni. Per il Pcf era cioè questo tipo di forma di governo, e non una Dichiarazione di diritti che definisse la forma di Stato, la caratteristica costituzionale piú importante della democrazia «plus vraie, plus large», che si proponeva di costruire, definita da Thorez al comitato centrale del 3-4 novembre 1945 come una democrazia «nouvelle» e «populaire». Tale forma di governo avrebbe consentito infatti di realizzare un'ampia azione di riforma a partire dalla completa attuazione del programma del Conseil national de la Résistance.

Il modello istituzionale proposto dal Pcf si fondava sul recupero di due temi della tradizione repubblicana francese che rappresentavano una sorta di filo conduttore con la forma di governo dello Stato sovietico. Il primo di essi era l'istituto della revoca dell'eletto da parte dei suoi elettori. Presente nel pensiero costituzionale dei giacobini, introdotto nella breve esperienza della Comune di Parigi, considerato da Marx e da Lenin un elemento essenziale di una repubblica socialista17, e sancito all'art. 142 della Costituzione sovietica del 1936, l'istituto del mandato imperativo, che metteva in discussione i canoni classici della democrazia rappresentativa, rivestiva nella proposta del Pcf una funzione centrale. Nel rapporto sul tema della Costituzione presentato al X Congresso del partito svoltosi dal 26 al 30 giugno 1945, André Marty dichiarò, richiamandosi al pensiero di Robespierre, che una vera democrazia richiedeva che «chaque élu» fosse tenuto «à des comptes rendus des mandats fréquents» con la possibilità di essere revocato «à tout moment» da coloro da cui era stato eletto18. In questo modo, secondo il Pcf, si sarebbe impedito il mancato rispetto degli impegni presi in campagna elettorale e sarebbe stato evitato, risolvendo per questa via anche il problema della stabilità dell'esecutivo, il ripetersi di quei rovesciamenti di alleanze che durante la Terza repubblica avevano prodotto nel corso di una legislatura spostamenti a destra delle maggioranze.

Il secondo tema al centro della proposta del Pcf era quello del predominio di un'assemblea unica. Al comitato centrale del 18 maggio 1945, Thorez affermò che occorreva respingere, ispirandosi sia all'esperienza della Convenzione che a quella dello Stato sovietico, «toute cette hypocrisie d'une prétendue séparation des pouvoirs», e battersi quindi per l'instaurazione di un'assemblea unica con funzioni non solo legislative ma anche esecutive:

Les grandes assemblées révolutionnaires de notre pays, [étaient] des assemblées qui avaient tout pouvoir, c'est la Convention elle-même qui désignait ses ministres, qui les élisait, à tour de rôle et qui les chargeait d'exécuter la politique décidée par la Convention. Il n'y avait pas de pouvoir exécutif pris en dehors de l'Assemblée, or, vous savez que la grande idée des soviets, c'est cela, c'est le pouvoir délibérant, et en même temps le pouvoir exécutif19.

Un mese dopo, nel rapporto sulla Costituzione presentato al X Congresso, André Marty precisò, correggendo la formulazione estrema data da Thorez, che non si trattava di attribuire l'esercizio del potere esecutivo al parlamento, dato che «une assemblée nombreuse» era «naturellement impropre» ad assumere questo compito20. Tuttavia la direttrice del Pcf non variò di molto: il rapporto di Marty proponeva infatti un sistema assembleare contraddistinto dall'attribuzione ad una camera unica, eletta con il sistema proporzionale, del potere di nominare gli organi del potere esecutivo e di revocarli «à sa volonté», escludendo perciò qualsiasi misura di razionalizzazione volta ad assicurare all'esecutivo una certa stabilità. Ed il progetto depositato il 23 novembre 1945 all'Assemblea costituente attribuí cosí poteri vastissimi all'Assemblea nazionale, per la cui elezione si proponeva la «représentation proportionnelle intégrale», che comprendevano tra l'altro la facoltà di interpretare le leggi in vigore e di annullare i decreti o gli atti «incostitutionnels ou illegaux» del presidente della repubblica, dei ministri e del suo ufficio di presidenza. Non era prevista alcuna regolamentazione del rapporto di fiducia né, tanto meno, veniva accolta la proposta, avanzata dai socialisti, dello scioglimento automatico dell'Assemblea nazionale alla seconda crisi di governo. L'unico correttivo, al di là dell'istituto della revoca del mandato, a questa assoluta supremazia del potere legislativo veniva posto in materia di revisione della Costituzione, per la quale era richiesta una maggioranza speciale pari a 2/3 dei membri dell'Assemblea21.

La sottovalutazione dell'importanza della definizione costituzionale di una forma di Stato sociale e la priorità assoluta attribuita invece, per l'attuazione di un'azione riformatrice, alla creazione di una forma di governo di tipo assembleare impedirono al Pcf di concepire l'elaborazione della Costituzione come la ricerca di un'unità di fondo tra forze di diversa matrice politica e culturale. Affermatosi alle elezioni dell'Assemblea costituente del 21 ottobre 1945, che avevano dato la maggioranza assoluta alla sinistra, come il primo partito francese con il 26,1% dei voti (contro il 25,6% ottenuto dal Mrp e il 24,6% riportato dai socialisti) il Pcf manifestò infatti, una volta respinta la proposta della revocabilità degli eletti da parte degli elettori, un'estrema chiusura dinnanzi alle richieste del Mrp di introdurre un sistema di pesi e contrappesi che prevedesse ad esempio da un lato una seconda Camera con poteri peraltro notevolmente inferiori a quelli della Camera bassa, dall'altro una forma di controllo di costituzionalità delle leggi. I comunisti si opposero con decisione ai tentativi di conciliazione effettuati dal presidente dell'Assemblea costituente Vincent Auriol, che riscuotevano invece l'adesione del Mrp e dei socialisti. L'intransigenza del Pcf fece sí che il 19 aprile 1946 venisse approvato un testo costituzionale con i voti solo dei due partiti di massa della sinistra, che instaurava un parlamento monocamerale e sanciva la netta subalternità del potere esecutivo nei confronti del potere legislativo, anche se non si identificava con il rigido regime assembleare proposto dai comunisti poiché prevedeva una regolamentazione del rapporto di fiducia e attribuiva al governo un limitato potere di scioglimento dell'Assemblea22. Ed è da sottolineare che nel rapporto presentato al comitato centrale il giorno dopo la votazione, Jacques Duclos non attribuí un rilievo considerevole al fatto che il testo approvato non fosse stato il frutto di un'ampia intesa, e proclamò invece che era stato un grande risultato l'aver imposto ai socialisti fino in fondo questa linea di intransigenza:

[...] C'aurait été une faute de notre part de tout mettre en oeuvre pour garder nos collègues du Mrp dans cette majorité constitutionnelle [...] Est-ce que ce serait intelligent politiquement de tout mettre en oeuvre pour rassembler ceux qui ne demandent qu'à s'unir pour nous combattre. Non, n'est-ce pas? [...] On peut dire qu'hier nous avons obtenu une grande victoire, les socialistes ont été collés avec nous jusqu'au bout... et cela n'était pas de leur faute, mais il ne pouvaient pas faire autrement. Comment auraient-ils pu voter contre la Constitution? [...] Ils comptaient sur un abandon final de notre part. Ils se sont trompés23.

Questa posizione di chiusura si sarebbe rivelata come è noto un grave errore: il 5 maggio 1946 il corpo elettorale respinse il testo adottato. Il 2 giugno venne cosí eletta una nuova Assemblea costituente all'interno della quale comunisti e socialisti perdevano la maggioranza assoluta e il Mrp si affermava come il primo partito. Nemmeno la nuova configurazione dei rapporti di forza favorí subito però un'effettiva disponibilità al compromesso da parte del Pcf. Se infatti i comunisti approvarono senza troppe resistenze, come si è detto, la sostituzione della Dichiarazione dei diritti con un preambolo, essi manifestarono inizialmente una vivace opposizione all'accordo delineatosi tra il Mrp e la Sfio sull'organizzazione dei poteri pubblici: un'opposizione che fu superata solo dopo il duro attacco lanciato da Charles de Gaulle il 27 agosto 1946 al progetto elaborato dalla Commissione della Costituzione, a seguito del quale tutti e tre i partiti di massa si impegnarono a raggiungere al piú presto un accordo su un testo la cui finalità principale sarebbe stata ormai quella di consentire rapidamente alla Francia di uscire dalla situazione di provvisorietà costituzionale24.


Sandro Guerrieri, Le idee costituzionali del Pcf e del Pci all'indomani della liberazione


* Testo della relazione presentata al convegno Le idee costituzionali della Resistenza, organizzato a Roma dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso, dalla Fondazione Istituto Gramsci e dall'Istituto Luigi Sturzo, 19-20-21 ottobre 1995.

1 J. Rivero, Constitution italienne et Constitution française, in E. Crosa, sous la direction de, La Constitution italienne de 1948, Cahiers de la Fondation nationale des sciences politiques, n.18, Paris, Colin, 1950, p. IX.

2 Per gli archivi del Pci cfr. la Guida agli Archivi della Fondazione Istituto Gramsci di Roma, a cura di L. Giuva, Fondazione Istituto Gramsci, «Annali», 1992, Roma, Editori Riuniti, 1994. Gli archivi del Pcf per il periodo successivo alla Liberazione sono consultabili a partire dal 1993 presso la sede nazionale del partito comunista francese, in Place du Colonel Fabien, Parigi. Sono disponibili per la consultazione le «décisions» del Bureau politique e della segreteria e i resoconti del comitato centrale.

3 Cfr. in particolare il volume di Ph. Buton, Les lendemains qui déchantent. Le Parti communiste français à la Libération, Paris, Presses de la Fondation nationale des sciences politiques, 1993, pp. 107 sgg. Sulla strategia di «doppio potere» perseguita in questa fase dal Pcf cfr. inoltre S. Courtois et M. Lazar, Histoire du Parti communiste français, Paris, Presses universitaires de France, 1995, pp. 192 sgg.

4 M. Thorez, S'unir, combattre, travailler, rapport présenté à la session du Comité central des 21-22-23 janvier 1945, in Oeuvres de Maurice Thorez, t. 20, (mai 1944-mai 1945), Paris, Ed. sociales, 1960, p. 183.

5 Archives de la Direction du Parti communiste français, Comité central, Ivry, 21 janvier 1945, Dossier XXXIV, Discours de clotûre de M. Thorez, pp. 8-9.

6 E. Fajon, Les communistes et le parlement, in «Cahiers du communisme», n. s., n. 6, aprile 1945, p. 59.

7 Documents de l'Assemblée nationale constituante (d'ora in avanti DANC), élue le 21 octobre 1945, annexe n. 20, Séance du 23 novembre 1945, proposition de loi tendant à établir la Constitution de la République française présentée par Jacques Duclos et al., pp. 25-28.

8 Programme du Cnr, in H. Michel, B. Mirkine-Guetzévitch, Les idées politiques et sociales de la Résistance, Paris, Presses universitaires de France, 1954, pp. 215-218. Cfr. C. Andrieu, Le programme commun de la Résistance. Des idées dans la guerre, Paris, Les Editions de l'Erudit, 1984. L'importanza di questo programma unitario della Resistenza francese è sottolineata da P. Ginsborg, Resistenza e riforma in Italia e in Francia, 1943-1948, in «Ventesimo secolo», II, 1992, n. 5-6, pp. 304-306.

9 E. Fajon, Un projet de constitution démocratique de la République française, in «Cahiers du communisme», n. s., n. 13, dicembre 1945, p. 9. Riguardo alla definizione di Stalin Fajon dichiarava: «Une Constitution, ainsi que le rappelait Staline dans son rapport au 8e Congrès des Soviets, c'est en effet: "L'enregistrement et la consécration législative de ce qui en fait a déjà été obtenu et conquis". De ces considérations découle naturellement le caractère essentiel que doit présenter la nouvelle Constitution de la France» (ivi, p. 10).

10 Il progetto costituzionale presentato dai socialisti prevedeva infatti una Dichiarazione dei diritti di 35 articoli divisi in due sezioni: 1. diritti politici; 2. diritti economici e sociali. Cfr. DANC, annexe n. 44, Séance du 29 novembre 1945 (in realtà il progetto socialista fu pronto materialmente solo nel gennaio 1946), proposition de loi tendant à établir la nouvelle Constitution de la République française présentée par A. Philip et al., pp. 58-62.

11 Assemblée nationale constituante (d'ora in avanti ANC), élue le 21 octobre 1945, Séances de la Commission de la Constitution, comptes rendus analytiques, pp. 311-315. Fajon infatti affermò: «Une Constitution ne doit pas contenir de principes indiquant des vues d'avenir dont la réalisation n'est pas décidée, mais seulement les principes qui doivent régler la vie du pays, pendant le temps où les dispositions de cette Constitution seront appelées à jouer effectivement» (p. 313).

12 Cfr. P. Hervé, Faut-il une Déclaration des droits?, in «L'Humanité», 17-18 febbraio 1946.

13 ANC, Débats, 2e séance du 12 mars 1946, p. 674.

14 La proposta venne avanzata da Ramadier nella seduta della Commissione della Costituzione del 7 agosto 1946.

15 P. Copeau, intervento a nome del gruppo comunista e dei membri ad esso apparentati, in ANC, élue le 2 juin 1946, Débats, séance du 28 août 1946, p. 3362.

16 M. Lazar, Maisons rouges. Les partis communistes français et italien de la Libération à nos jours, Paris, Aubier, 1992, p. 55.

17 Cfr. N. Bobbio, La teoria delle forme di governo nella storia del pensiero politico, Torino, Giappichelli, 1976, pp. 197-200.

18 A. Marty, Pour une assemblée constituante souveraine. Idées sur la nouvelle constitution de la République française, Discours du Xe Congrès national du Parti communiste français, 27 juin 1945, Paris, Editions du Pcf, [1945], p. 33.

19 Archives de la Direction du Pcf, Comité central, 18 Mai 1945, Maurice Thorez, Clotûre, pp. 668-669.

20 A. Marty, Pour une assemblée constituante souveraine, cit., p. 29.

21 Cfr. U. De Siervo, Le idee e le vicende costituzionali in Francia nel 1945 e 1946 e la loro influenza sul dibattito in Italia, in Id., a cura di, Scelte della Costituente e cultura giuridica, t. I, Costituzione italiana e modelli stranieri, Bologna, Il Mulino, 1980, pp. 314-321; C. Emeri, De Gaulle et le Parti communiste français face à la Constitution de la République française, in S. Courtois, M. Lazar, sous la direction de, 50 ans d'une passion française. De Gaulle et les communistes, Paris, Balland, 1991, pp. 167-179.

22 Lo scioglimento era possibile a seguito di due crisi ministeriali provocate dal rifiuto della fiducia a maggioranza assoluta o da una mozione di censura approvata con la stessa maggioranza verificatesi nel corso di una sessione annuale nella seconda metà della legislatura.

23 Archives de la Direction du Pcf, Comité central, 20-21/4/1946, Jacques Duclos, pp. 106-10 e 111-15.

24 Ho preso in esame il processo di formazione della Costituzione della Quarta repubblica nella tesi, intitolata La razionalizzazione del parlamentarismo nel dibattito costituzionale francese degli anni 1945-1946, svolta sotto la direzione del prof. Mario Caravale per il dottorato di ricerca (V ciclo) in «Storia delle dottrine, delle istituzioni politiche e filosofia della politica» presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza», coordinato dal prof. Mario d'Addio.