Il Canto a
"Tenore"
Spiegare cosa è il
"Canto a Tenore", non è sicuramente un compito agevole, se
l'interlocutore non ha conoscenze specifiche sull'argomento in questione,
Consapevoli di questo, è ragionevole rivolgersi a chi, del Canto a Tenore è
fortemente appassionato tanto da farne, con successo, oggetto di ricerca. Il prof.
Andrea Deplano, di Dorgali, docente di Lingue e Letterature straniere che con la
pubblicazione del libro Tenores, ha certamente messo a fuoco l'origine, la
tecnica e la diffusione di questo meraviglioso canto che la Sardegna vanta.
Proprio tra le righe di questo libro, troviamo quelle nozioni, che possono
aiutare chi volesse tentare un approccio alla materia. Per questo abbiamo scelto
alcuni brani dal libro del prof. Deplano, per portare a conoscenza dei
navigatori di internet, il mondo misterioso e affascinante del canto a Tenore. Il
Canto a Tenore, simbolo della musica sarda o polivocalità sarda per eccellenza,
non è riuscito fino ad oggi ad articolare un proprio spazio.
Subordinato
alla poesia estemporanea, di cui è sempre stato fedele accompagnatore, non ha
mai ottenuto dagli studiosi di tradizioni popolari una giusta valutazione. Gli
è stato riconosciuto solo il ruolo di "accompagnatore musicale".
Eppure
se ancora oggi si volesse persistere sulla semplice funzione musicale de su
Tenore non si sentirebbe l'esigenza di intraprendere questa ricerca che
nasce da profonda passione personale per questa forma di canto e, in eguale
misura, per la poesia, non trascurando il codice che accomuna le due componenti.
Come
per molti altri aspetti della storia, della lingua e delle tradizioni in genere,
gran parte delle cose dette - o scritte - sul Tenore è frutto di osservazioni
di viaggiatori che hanno visitato l'isola specialmente nei secoli XVIII e XIX.
Tali
osservazioni non sono, purtroppo, sempre pertinenti. Anzi non di rado sono fonte
di inesattezze che disorientano lo studioso di tradizioni popolari e di folklore
sardo perché spesso si è confuso il Canto a Tenore - oggetto di questo studio
- con la polifonia religiosa della Trexenta, del Marghine e
Montiferru2, o non sono state tracciate le aree di diffusione di
certe pratiche folkloriche (cosa intendeva Matteo Madao3 per Capo di
Sopra?).
Indubbiamente le
testimonianze più serie e anche più attendibili, perché sicuramente
confortate da ricerche sul campo, sono quelle del canonico Giovanni Spano4 anche
se non specifiche sull'argomento ma piuttosto sugli aspetti comuni a Tenore e
Poesia.
Per tutta l'altra
bibliografia si esprimono invece notevoli perplessità in quanto sicuramente
molti dei suddetti viaggiatori considerarono solo alcuni aspetti del canto poiché
conobbero il Tenore in precise circostanze, oppure assunsero sull'argomento
informazioni di seconda mano o scrissero sul sentito dire di persone la cui
conoscenza dei meccanismi del Tenore era alquanto approssimativa e incerta come
si può facilmente evincere dalle testimonianze qui di seguito riportate.
Vero è che il
Canto a Tenore è misterioso e affascinante e suscita mille fantasie tanto da
sostenere che esso servisse di incitamento nelle notti di bardàna5, ma è fuor di dubbio che questa forma di canto debba, per potersi
realizzare, vedere insieme quattro voci e invece J. Fuos sostiene che
"[...] Quando essi [i sardi] cantano bisogna per lo più che siano insieme
soprano, tenore e basso. Il soprano canta da solo la strofa sino all'ultima
sillaba nella quale entrano insieme a cantare tenore e basso. Un tale canto - è
la conclusione di Fuos - non può risuonare altrimenti che melanconico, non solo
perché una strofa ha coll'altra musica uguale, ma anche perché l'intera musica
dei sardi cambia soltanto quattro o cinque toni […]6
Non lontana da
questa è l'osservazione che J. f. Mimaut faceva qualche anno più tardi:
"[...] Tra i campagnoli e i popolani si trovano gaiezza, vivacità di
immaginazione e idee poetiche che alcuni sanno esprimere con l'improvvisazione.
Essi hanno delle canzoni nazionali, probabilmente di antichissima origine, che
cantano o soli, durante il lavoro, o a tre voci, assai vicini l'uno all'altro e
quasi bocca contro bocca, su arie costituite da una successione di accordi dei
quali l'ultimo resta sempre sospeso […]”
A dimostrazione che
tutto ciò non poteva essere frutto di ricerca sul campo
, si osservi che lo stesso Mimaut registra ad esempio di canto il testo di un mutettu
in lingua (e non potrebbe essere diversamente) campidanese.
Il Canto a Tenore
è diffuso in una delle terre più ricche di tradizioni del Mediterraneo. Tale
ricchezza ha origine negli avvenimenti storici che hanno caratterizzato il suo
popolo e per la conformazione geografica che ha determinato delle scelte
economiche durate fino ai giorni nostri e che costituiscono il motivo
dell'adozione di conseguenti sistemi di aggregazione sociale. La parte interna e
centrale della Sardegna è attraversata da un insieme di catene montuose, non
elevate, alternate da strette vallate nelle quali l'uomo, che arrivò circa
seimila anni fa, sviluppò la pastorizia come attività primaria se non unica e
la sola attività industriale consisteva da sempre nella trasformazione del
latte alimento base della società barbaricina, assieme a pochi farinacei. La
vita della famiglia guidata dalla donna si svolgeva con ritmi millenari
all'interno del piccolo villaggio mentre la vita dell'uomo si svolgeva tutta
dietro il bestiame, lontano dalla famiglia spesso per molti mesi, in perfetta
simbiosi con un ecosistema che è stato mantenuto intatto fino a oggi.
l'isolamento dei pascoli in lunghi periodi di lontananza dalla famiglia e dal
villaggio ha contribuito a un formidabile sviluppo dello spirito comunitario dei
sardi. Il Canto a Tenore per poter aver luogo richiede necessariamente quattro
elementi: Voce, Basso, Contra, Mezza-voce. Rappresenta quindi un importante
momento di aggregazione. Se in principio i componenti del gruppo erano
prevalentemente pastori, oggi con l'evolversi naturale dei tempi appartengono ai
più svariati ambienti culturali e sociali. Oggi come in origine, non è solo il
desiderio di cantare che crea il gruppo, ma la voglia di ritrovarsi, di
chiacchierare, di discutere, di stare insieme... di socializzare.
Nel Canto a Tenore
i temi religiosi e arcadici dei poeti del Settecento e dell'Ottocento sono oggi
affiancati in modo preponderante dalla cruda realtà quotidiana, con la
politica, le lotte, la disoccupazione, l'emigrazione e ancora... l'amore.
Le feste patronali
pubbliche e private prevedono sempre nella loro organizzazione l'immancabile
presenza de su Tenore. Ma se il folklore richiede la puntuale partecipazione di
questo canto ad ogni sua manifestazione, la realtà quotidiana ne pregiudica
fortemente e pericolosamente il futuro. La radio e la televisione, strumenti
della comunicazione di massa, hanno modificato sensibilmente gli usi e costumi
della gente. Infatti la loro presenza in tutte le case italiane ha
inevitabilmente cancellato l'abitudine all'incontro frequente fra amici. Inoltre
non si può non sottolineare che tali mezzi di comunicazione dedicano spazi
qualitativamente e quantitativamente esigui alle manifestazioni culturali
peculiari ad ogni regione.
Il bar, centro
essenziale attorno a cui gravitava la componente maschile di un paese, è sempre
stato il naturale punto di ritrovo del Tenore. Nonostante ciò, da alcuni anni
in diversi paesi della Sardegna non è più possibile cantare nei bar, e se si
è voluto salvaguardare la tranquillità del locale pubblico vietando
l'esibizione del Tenore, nulla si è fatto contro la prepotente e ossessionante
"presenza musicale" del juke-box.
Il Tenore si forma
di conseguenza solo nelle cantine private tra amici dove, seppure viene
mantenuto intatto l'affiatamento tra i partecipanti, manca l'impulso rigenerante
di verifica e confronto con l'esterno.
Nonostante i
problemi e le pressioni a cui è sottoposto, il Tenore si realizza sempre nel
suo ambiente, nel suo paese, fra la sua gente. Protetto nel suo guscio, il
gruppo continua a produrre nel modo di comunicare conosciuto da sempre.
Il registro formale
quotidiano lascia il posto al linguaggio diretto, canzonatorio, a volte
bonariamente scurrile. In quel momento non solo il Tenore ma tutti i presenti
dimenticano la propria condizione sociale ricca o povera a cui appartengono, la
solitudine dei pascoli, l'automazione delle fabbriche, la monotonia e la
sterilità degli uffici.
Non più servi né
padroni ma tutti balentes con in mano un bicchiere di buon vino sardo.
…Ecco,
il Tenore è pronto.
Il
Canto a Tenore si iscrive, e sicuramente ai primi posti, nel canto polifonico,
forma primordiale di creazione musicale.
Questa forma di
canto composta da quattro voci è denominata in vari modi ma il più diffuso è
certamente Tenore (preceduto dall'articolo determinativo maschile
singolare su = il), forma comune a tutta l'area linguistica logudorese
nelle forme anche di Cantu a Tenore, Cantu a Boche de Tenore.
Cuncordu (denominazione
che nasce dal raggiunto accordo, concordia, fra le tre voci del coro (Basso,
Contra e Mezza-voce) tipico di Fonni e dei paesi della Barbagia Ollolai ma
comune anche alla polivocalità di segno prettamente religioso dei paesi
dall'alto Oristanese fino a Bosa e alla polifonia Gallurese.
Cussertu (lo
si trova in innumerevoli grafie a testimonianza della non raggiunta omogeneità
nella scrittura del sardo) usato in due soli centri (Mamoiada e Torpè) mentre
in altri sta ad indicare il massimo dell'intonazione e il riconoscimento,
quindi, dell'unione (dal latino cum sero = intrecciare) delle tre voci di
accompagnamento.
Altre denominazioni
recensite sono a Fonni Cuntrattu (da cantare cun trattu9) e
a Dorgali Cantu a proa oltre a molteplici onomatopee quali su Lellere (dall'accompagnamento
della Mezza-voce) e su Bimbirimbo.
Forme molto vicine
al Canto a Tenore di Sardegna si trovano nel Marocco spagnolo (ahìdous del
Medio Atlante) e in Nepal. Esistono in questi due paesi forme di polifonia
vocale con componenti gutturali mobili in Marocco e fisse in Nepal ed in
entrambi i casi si tratta di accompagnamento corale con fonemi non-sens a certi
messaggi poetici.
Particolari
somiglianze, almeno con una parte del repertorio, si hanno infine, tra il Canto
a Tenore e la Paghjella (quattro voci per canto a Gozos in cui la voce
solista si stacca dal coro sfasando di una sillaba) della Corsica che si
avvicina, peraltro, più al canto gregoriano nel quale già rientra la polifonia
dei cori di Aggius (area linguistica gallurese) e del Montiferru.
Esso è peculiare
all'area linguistica logudorese10, da una costa all'altra con limite
meridionale nel Supramonte di Orgosolo e Urzulei, i paesi confinanti a nord
del Mandrolisai, del lago Omodeo e del Campidano di Oristano e con limite
settentrionale nella Gallura. Innegabilmente in molti centri isolani (esterni
all'area di diffusione storica appena descritta) si conosce da sempre il Tenore
quale accompagnatore della poesia estemporanea: quello è uno strumento, ma non
è l'oggetto di questa ricerca.
*(Brano tratto dal libro "Tenores", scritto dal Prof. Andrea Deplano,
docente di Lingue e Letterature straniere.)**
1
Cfr. J. Fuos, La Sardegna nel 1773 descritta da
un cotemporaneo, trad. dal
tedesco dell'avv. Gastaldi-
Millelire P., Cagliari 1898, e J.F.
Mimaut, Histoire de Sardaigne, ou La Sardaigne ancienne et moderne
considérée
dans ses lois, sa topographie, ses productions et ses moeurs, 1825.
2
Cfr N. Oneto, Memoria sopra le cose musicali della Sardegna,Tip.
Monteverde, Cagliari 1841.
3
Cfr. M. Madao, Le Armonie dei Sardi, Regia Stamperia, Cagliari
1787.
4 Cfr.
G. Spano, Ortografia sarda nazionale, 3T, Cagliari 1974.
5 Cfr
P. Sassu in Musica sarda Canti e Danze popolar4 Vedette Records,
1973.
6 Fuos
J., La Sardegna... cit., pp. 401-402.
7 Mimaut, Histoire... cit., vol. II, p. 670.
8 Sul
metodo approssimativo con cui Mimaut, come altri, conduceva le ricerche
"sul carnpo" sarà bene ricordare
quanto il barone G. Manno nella sua Storia
di Sardegna (vol. I, libro VII, 3T, Cagliari 1973, p. 364 sgg.) dice
in proposito: "[...] Aggiungasi [...] che il signor Mimaut non stimò di
unire al suo lavoro le notazioni dei monumenti
dai quali trasse partitamente le
sue notizie."
9 Vedi
in questo stesso testo il cap. Poesia estemporanea e la voce Trattu del
glossario.
10 L'abate
Matteo Madao parla della polivocalità del «Capo di Sopra" con evidente riferimento all'area
linguistica logudorese in Le Armonie... cir.