©Vita Nostra 2000, anno 40, n. 46, domenica 24 dicembre 2000, p. 7

I racconti dell’infanzia. Da dove vengono, che cosa significano. I (cont.)

Nelle riflessioni dei catechisti della parrocchia di Sant’Efisio, riportate nella pagina delle “letture domenicali”, viene avanzata una domanda riguardante i racconti dell’infanzia, la loro storicità, il loro senso. Questo contributo non era previsto inizialmente come risposta alle loro osservazioni, ma come parte del materiale di sussidio per una lettura continua e ragionata del vangelo di Luca che quella pagina periodicamente sta offrendo. In qualche modo avevamo dunque anticipato la domanda, senza per altro considerarla una domanda di preadolescenti critici. Beati loro, che almeno i problemi se li pongono. Per quanto riguarda la risposta, invece, preferiamo mostrare che se i problemi sono reali e complessi, è inutile offrire soluzioni semplici e immaginarie. Non ne guadagna né un’informazione più completa né una fede più consapevole. Preferiamo cioè fornire alcuni dati del problema che ci sembra più “umile” non ignorare (a.p.)

 

I primi capitoli dei vangeli sono molto diversi fra loro. Mentre Matteo e Luca hanno una grande varietà di racconti sulla nascita e l’infanzia di Gesù, Marco e Giovanni non ne hanno nessuno. Ma anche i racconti di Matteo e Luca ignorano tanti particolari che invece fanno ormai parte dell’immaginario collettivo natalizio. Ad esempio, nei vangeli non si parla mai né della grotta né dell’asino e del bue.

Da dove vengono questi “racconti dell’infanzia”? Già molto prima del cristianesimo, noi troviamo che i commentatori giudaici della Bibbia, a partire dai pochi dati che leggevano nei testi biblici, avevano sviluppato lunghi racconti circa la nascita di importanti personaggi. Era successo così per Abramo, Mosè, Isacco, Samuele. Tracce di questi racconti restano nelle parafrasi delle traduzioni aramaiche (Targum), nei commentari giudaici dei primi secoli dopo Cristo (Midrash), negli scritti di Giuseppe Flavio e di Filone di Alessandria.

 

Ad esempio, nelle Antichità Giudaiche (2,205ss) di Giuseppe Flavio, uno scriba predice la nascita di Mosè, il Faraone ne ha un annuncio premonitore in un sogno che si fa spiegare dai propri maghi-interpreti, e, preso dalla paura, fa una strage di bambini appena nati.  Nello stesso midrash, la nascita di Mosè è annunciata in sogno al padre di Mosè, Amram (che significa “popolo grande, alto”).

In questi racconti, i genitori di Mosè sono sempre rappresentati come dei personaggi molto pii, e anche la sorella di Mosè, Miryam, riceve una visione. Il Libro delle Antichità Bibliche, dello Pseudo-Filone racconta: “Lo spirito di Dio scese su Maria, una notte, e essa vide un sogno che raccontò al mattino ai suoi genitori: Ho visto una visione questa notte. Ecco che un uomo con un abito di lino mi stava davanti. Egli mi disse: va’ a dire ai tuoi genitori: ciò che nascerà da voi sarà rigettato nell’acqua, poiché per mezzo di lui l’acqua sarà prosciugata; io farò per mezzo di lui dei segni e salverò il mio popolo; lui ne assicurerà sempre la condotta” (9,10).

Gli esempi  potrebbero essere molto più numerosi. Appare dunque che, per parlare dell’infanzia di Gesù i primi cristiani avevano a disposizione già dei modelli collaudati e conosciuti sulle più importanti figure bibliche. L’interpretazione delle virtù di Sara, Lea, Rebecca, hanno certo contribuito a mettere in valore il tema della nascita verginale e dell’intervento divino miracoloso.

 

I testi cristiani del secondo secolo d.C., come i vangeli apocrifi, hanno continuato su questa medesima strada, avendo ora a disposizione non solo i testi dell’Antico Testamento e delle tradizioni giudaiche, ma anche i racconti già diffusi e accettati di quei vangeli che oggi noi chiamiamo “canonici”.

 

Ma ancora prima dei testi dell’Antico Testamento, bisogna dire che il racconto dell’infanzia era un genere ben attestato nel Vicino Oriente antico. Il suo scopo era quello di attestare che un personaggio importante per la storia del popolo aveva fin dall’inizio della sua vita goduto dell’aiuto provvidenziale degli dèi, o, in altre parole, era un dono stesso degli dèi agli uomini.

Due  esempi sono molto conosciuti.  Di Sargon di Accad (2334-2279 a.C.), una stele racconta l’infanzia, la nascita segreta, l’abbandono in una cesta sulle acque dell’Eufrate, e infine la sua salvezza grazie a un giardiniere. Ecco l’inizio: “Io sono Sargon, il re potente di Akkad... Mia madre, la grande sacerdotessa, mi concepì e mi mise al mondo in segreto. Essa mi depose in una cesta di giunchi, di cui chiuse l’apertura con del bitume. Essa mi gettò nel fiume...”. 

Questo testo, molto conosciuto nell’antichità, fu copiato anche in Egitto. Al lettore della Bibbia non sfuggiranno le rassomiglianze con i racconti dell’infanzia di Mosè, deposto nel Nilo e salvato dalla figlia del Faraone grazie alla sua stessa sorella (Es 2,1-10), il cui intervento si inserisce nel ruolo provvidenziale che la Bibbia riserva  a molte figure femminili.

Un altro racconto di infanzia molto conosciuto è quello che riporta Erodoto (Storie 1,108-123) a proposito di Ciro II, fondatore dell’impero persiano (559-529). Nato dal matrimonio di Madane, figlia di Astiage, re dei Medi, e del persiano Cambise, Ciro fu fin dalla nascita sottratto ai suoi genitori. Infatti, il re Astiage aveva fatto un sogno: dal grembo della sua figlia usciva un ceppo di vite che si estendeva su tutta l’Asia. Volendo sapere il senso di questo sogno, il re fece venire dei maghi, interpreti di sogni, i quali gli annunciarono che il bambino della sua figlia sarebbe divenuto re al suo posto. Astiage allora decise la morte del bambino, ma l’ordine non fu eseguito. Ciro infatti fu consegnato a un bovaro con l’incarico di esporre il bambino alle bestie feroci presenti nei territori lontani e impervi del suo pascolo. Ora, la moglie del bovaro si chiamava Cino (che significa “cane”, animale sacro in Iran; cfr la storia di Romolo e Remo allattati da una lupa). La moglie, dunque, proprio in quei giorni aveva partorito un bimbo morto e riesce a convincere il marito ad adottare Ciro al posto del loro proprio figlio. All’età di dieci anni, durante un gioco tra coetanei, Ciro viene eletto “re” e come tale punisce duramente il figlio di un personaggio importante che non ubbidisce ai suoi ordini e finisce così denunciato di fronte ad Astiage. Questi lo riconosce,  ma, consultati di nuovo i maghi e ritenendo che il sogno premonitore si fosse già avverato in un gioco di bambini, salva Ciro e lo manda a vivere in Persia con i suoi veri genitori. Più tardi egli diventerà il re di Persia e dei Medi. Come dice Erodoto, la salvezza di Ciro parve ai Persiani un’opera divina e provvidenziale.

 

Antonio Pinna