©Vita Nostra 2001, anno 41, n. 03, domenica 21 gennaio 2001, p. 5

- Traduzione di Lc 1,1-4: Sa Presentada de s’Evangeliu de Santu Luca
- Commento sui vangeli dell’infanzia. Quarta parte (fine)

Lc 1,1-4
Presentada de s’Evangeliu de Santu Luca

 (Traduzione di Antioco e Paolo Ghiani)

1,1 Sendu ca medas ant donau manu a assentai unu arrelatu de is cosas chi funt lompias a  cumpridura in mesu nostu, 2 comenti ddas ant intregadas a nosu cussus chi ant biu totu de printzipius cun is ogus insoru e si funt fatus a srebidoris de su fueddu, 3 est partu giustu fintzas e a mimi de cumpudai de nou donnia cosa cun còidu e de nd'iscriri cun assentu a vusteti, sa mertzei Teofilu, 4 poita ca aici, de totus is fueddus chi eis arricìu, nd’eis a podiri arreconnosci sa prena sigurantzia.

Commento ai vangeli dell’infanzia.
I riflessi dei monti sulle rive del lago. I vangeli dell’infanzia – Quarta parte (fine)

- di Antonio Pinna

Sguardo riassuntivo sul cammino percorso. Durante il periodo natalizio appena trascorso, anche in risposta a una domanda posta dal gruppo catechistico della parrocchia di S. Efisio, abbiamo proposto una serie di riflessioni sui vangeli dell’infanzia. Riassumendo, abbiamo visto abbiamo visto anzitutto 1) che il loro modo di raccontare e in parte anche i loro contenuti, si rassomigliano ai modi e ai contenuti con cui i popoli del vicino oriente parlavano della nascita e dei primi anni di vita dei personaggi più importanti della loro storia, segnalando così fin dagli inizi il senso provvidenziale della loro opera (VN 24 dic. 2000, n. 46, p.7). 2) In una seconda riflessione abbiamo esaminato da vicino i contenuti dei due racconti di Matteo e di Luca, vedendo con precisione dove concordano e dove discordano tra di loro, dove discordano con la storia civile conosciuta, e come anche discordano con il resto dei rispettivi vangeli (VN 7 gennaio 2001, n. 1, p. 5). 3) In una terza riflessione, abbiamo visto come i racconti dell’infanzia di Matteo e di Luca sono da vedere, sia in quanto concordano sia in quanto discordano, come un riassunto, o “compimento”, della precedente storia di Dio con Israele (VN 14 gennaio 2001, n. 2, p. 5). 4) In questa quarta riflessione, concludiamo riprendendo il confronto dei racconti dell’infanzia con il resto dei vangeli, per mostrare come essi rappresentano un anticipo, o una “prefigurazione” profetica, di quello che avviene nel seguito della storia di Gesù con il suo popolo e con la chiesa. In questo senso, la storia passata di Israele e la storia futura di Gesù e dei cristiani si ritrovano come “eco”e “anticipazione” nei vangeli dell’infanzia, così come i monti circostanti si trovano “riflessi” sulle rive di un lago.

Per quanto riguarda la domanda iniziale posta dai catechisti, i punti 3 e 4 sono i più importanti, nel senso che mostrano che la “solidità” che Luca vuole mostrare a Timoteo e ai suoi lettori consiste, per quanto riguarda i racconti dell’infanzia, non tanto nella “esattezza” storica concepita al nostro modo positivista centro-europeo, quanto nella “coerenza” che anche questi racconti evidenziano nell’insieme della storia della salvezza,  che Luca mostra appunto come un “compimento”.

 

I vangeli dell’infanzia come anticipazione profetica del resto dei vangeli. Per quanto riguarda i racconti dell’infanzia nel vangelo di Matteo, Giuseppe vi è descritto come un uomo giusto, e nel contesto la sua giustizia consiste nell’osservanza della Legge di Mosè (Mt 1,19). Egli accetta la rivelazione sull’identità di Gesù, obbedisce alle indicazioni date dall’angelo e protegge Gesù fino a condurlo sano e salvo a Nazaret. I Magi sono dei pagani che ricevono la rivelazione attraverso il segno di una stella e vengono a Gerusalemme cercando il nuovo nato, re dei Giudei, ma lo troveranno soltanto con l’aiuto delle Sacre Scritture che parlano del Messia atteso. La spiegazione che ricevono dal testo del profeta Michea li conduce a Betlemme dove si affrettano per adorare Gesù. Una terza reazione è esemplificata da quella di Erode, da quella dei capi dei sacerdoti e degli scribi: essi hanno e conoscono i testi delle Scritture sul Messia. Tuttavia, non solo non si muovono per adorare, ma al contrario cercano di eliminare il bambino Gesù (notare il plurale in mt 2,20: «perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino»).

La comunità di Matteo incontrerà tutte e tre queste reazioni. I pagani che diventano discepoli sono chiaramente presenti nel vangelo di Matteo:  «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). Giuseppe, che è giusto nell’osservanza della Legge, ed è nello stesso tempo aperto alla nuova rivelazione su Gesù, viene ad essere come l’eroe della storia, poiché per Matteo egli incarna la reazione ideale dei Giudei verso Gesù. In 13,52, l’evangelista loda uno scriba che mette insieme il vecchio con il nuovo: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Il re Erode, i sommi sacerdoti e gli scribi che vorrebbero distruggere la vita del bambino Gesù anticipano la figura del governatore Pilato, dei sommi sacerdoti e degli scribi che mettono a morte Gesù (cf Mt 27,1-2: «Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. 2 Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato»).  Quasi sicuramente, Matteo li mette in relazione con i Farisei che Gesù critica severamente (cf Mt 23) e che trovano un contrasto insanabile tra le loro tradizioni e Gesù. Fin dall’inizio, dunque, nel quadro di Matteo è presente nel giudaismo una duplice reazione verso Gesù, quella del giusto Giuseppe e quella dei sacerdoti, degli scribi e dei sovrani.

Passando a Luca, troviamo anche in lui di passaggio un quadro simile, quando dice che Gesù è «luce per illuminare le genti» e «gloria» del popolo di Israele», ma non per tutti in Israele, poiché «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Lc 2,32-34). In Luca tuttavia questa allusione al fatto che molti in Israele non accetteranno Gesù resta in secondo piano rispetto agli esempi di Giudei osservanti della Legge che invece accolgono la nuova rivelazione data da Dio su Gesù, in particolare Zaccaria, i pastori, Simeone e Anna. In tal modo, l’ombra del rifiuto non è in Luca così oscura come lo è in Matteo.

Un’enfasi particolare viene data alla reazione di Maria al momento dell’annuncio di Gesù. Prima figura a sentire parlare di Gesù, Maria è il modello del discepolo secondo i criteri che Luca esporrà nel seguito del suo vangelo: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21); «Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: «Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28). Questo comportamento è esemplificato nella risposta di Maria all’angelo: «Avvenga di me secondo la tua parola» (Lc 1,38), reazione sottolineata subito dopo dalla lode di Elisabetta: «E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45).

L’interpretazione del senso della venuta di Gesù espresso nel Magnificat (disperde i superbi, abbatte i potenti, rialza i miseri, sazia gli affamati) è un anticipo del senso fondamentale espresso nel vangelo di Luca con le «beatitudini»  e i «guai», questi ultimi non presenti nel testo di Matteo: «Beati voi poveri... ma guai a voi, ricchi... » (Lc 6,20-26). Nel motivo ripetuto che «Maria conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.51), Luca sta presentando Maria come colei cui Dio comunica gradualmente l’interpretazione dei misteriosi eventi dell’infanzia di Gesù dei quali essa è partecipe, e come colei che personifica l’accoglienza della sapienza data da Dio.

Alcune traduzioni più corrette di Lc 1,1. In questo contesto lucano, si comprende una delle correzioni apportate dalla traduzione CEI del 1997 proprio nel prologo del vangelo di Luca che si legge nella terza domenica ordinaria dell’anno C. Mentre nella traduzione che ancora si legge nei lezionari  si parla in modo neutro di «avvenimenti successi tra di noi», nella nuova traduzione si parla invece di «avvenimenti compiuti», cioè arrivati a compimento: «Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi». Questa nuova traduzione ha inteso così rendere in italiano uno dei sensi possibili in questo contesto del verbo greco plerophoreo, “arrivare a compimento”, collegando in tal modo gli avvenimenti di Gesù a tutta la storia precedente della Bibbia Ebraica.

Curiosamente, un secondo senso possibile del participio perfetto passivo del verbo greco lo troviamo espresso in una traduzione sarda pubblicata nel 1900, che dice: «Essendi chi medas si sunti postus a fai su rapportu de is cosas, chi sunt arricidas in mesu de nosaturus cun prena çertesa...». Il traduttore è anonimo, ma o era ben padrone del greco oppure stava seguendo qualche altro traduttore competente, come ad esempio il Diodati (1607) che aveva tradotto: «Conciossiachè molti abbiano impreso d’ordinare la narrazion delle cose, delle quali siamo stati appieno accertati...».

La traduzione della Nuova Diodati (1991) mette in qualche modo insieme i due possibili sensi, dicendo: «Poiché molti hanno intrapreso ad esporre ordinatamente la narrazione delle cose che si sono verificate in mezzo a noi...». In ogni caso, sia queste nuove traduzioni sia quelle alternative più antiche, intendono esprimere quello che appare l’intento di Luca in tutta la sua opera: mostrare la “continuità” della storia della salvezza, pur in mezzo ad alcune “rotture” o “novità” a prima vista sconcertanti, come sarà il superamento dei confini ebraici per arrivare, negli Atti degli Apostoli, a tutte le genti.

È del resto il senso fondamentale del discorso programmatico di Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16-30). Gesù vi parla da profeta e si mette in continuità di compimento e di rottura con i profeti antichi. In questa “coerenza” che dà senso alle “incoerenze”, e non in una esattezza storica come la intendevano i positivisti centro-europei del secolo scorso, sta quella “solidità” che Luca mette proprio come ultimo termine del suo prologo, della sua ricercata e quanto mai “à la page” dichiarazione di intenti, che qui riportiamo secondo una versione letterale e nell’ordine esatto delle parole greche: «Poiché molti hanno intrapreso a comporre un racconto degli avvenimenti compiuti-verificati in mezzo a noi, quali ci  hanno trasmesso i fin dall’inizio testimoni-oculari e diventati servi della parola, è sembrato bene a me pure, avendo tutto seguito-da-vicino fin-dall’inizio, accuratamente, di scrivere per te in-modo-ordinato, eccellente Teofilo, affinché riguardo alle cose di cui sei stato informato, tu conosca la solidità».