©Vita Nostra 2001, anno 41, n. 19, domenica 6 maggio 2001, p. 6

© Vangelo di Giovanni 2001. Traduzione in sardo campidanese, variante del Sarcidano isilese, 
di Antioco e Paolo Ghiani. Consulenza esegetica di Antonio Pinna.
Proposta di traduzione di Paolo Ghiani con osservazioni di Antonio Pinna e di Antioco Ghiani.

 

Traduzioni per le due domeniche del 6 e del 13 e commento di traduzione

Gv 10,27-30

Dèu e Babbu miu seus tuttunu

27 Is brebeis mias ascurtant sa boxi mia, e dèu ddas connosciu e issas sighint impari cun mimi.
28 e dèu ddis dongiu sa vida eterna e issas non ant a benni mai isperdias e nemus ndi ddas at a furai de sa manu mia.
29 Babu miu chi mi ddas at donadas est prus mannu de totus e nemus ndi ddas podit furai de sa manu de Babu miu.
30 Dèu e Babu miu seus tuttunu.

 

Gv 13,31-35

Unu pretzetu chi torrat a nou

 

31 Candu duncas Giudas si ndi fut andau, Gesus si fut postu a nai:

Immoi su Fillu 'e s'omini at a arriciri sa gloria sua,  
e aici Deus puru at a arriciri gloria de parti 'e su Fillu. 
32 E chi Deus arricit gloria de parti 'e su Fillu, 
aici puru Deus e totu dd'at a donai gloria, 
e si dd'at a donai immoi e totu.

33 Fillus mius, est pagu s'ora chi m'abarrat po essiri cun bosatrus. Comenti dd'apu nau a is mannus de is Giudeus, immoi ddu nau a bosatrus puru:  mancai mi cicheis, bosatrus non podeis bènniri a innui mi nd'andu deu. . 

34 Aici, imoi a bosatrus si dongiu unu pretzetu chi torrat a nou : a si bolli beni  s'unu cun s'ateru. Comenti deu apu bófiu beni a bosatrus, aici bosatrus puru si depeis bòlliri beni s'unu cun s'atru. 35 Insaras totus ant a isciri ca seis iscientis mius, candu ant a biri ca bosatrus si boleis beni s'unu cun s'atru.

 

Una traduzione accurata, chiara, naturale ?

Gv 10,30 "Siamo una cosa sola". Se tradotta letteralmente questa frase non risulta accurata, nel senso che non trasmette il senso dall'autore. Infatti, dire "Il Padre e io siamo una cosa sola" per noi rimanda spontaneamente alla "unità" della Trinità così i Concili successivi l'hanno intesa alla luce della filosofia greca. Nel vangelo di Giovanni in genere, e nel presente contesto, questa espressione non rimanda però all'unità "filosofica" della "natura divina", ma all'unità di volontà tra il Padre e il Figlio, per cui il Figlio è davvero "immagine" del Padre. La traduzione sarda più accurata e naturale ci è sembrata dunque quella proposta: "Deu e Babbu miu seus tuttunu".

Gv 13,31-32 "Glorificare". Tradurre significa comunicare accuratamente, chiaramente e con un linguaggio naturale il significato inteso dall'autore. Allora, provate a dire senza studiare per qualche ora che cosa significa la frase di Gv 13,31-32 : "31 Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32 Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito".

A parte la necessaria aggiunta di Giuda all'inizio, per chiarire che non è Gesù che è uscito, l'espressione "glorificare" è certo il corrispondente esatto del termine greco tradotto, tuttavia non è di uso comune per quanto riguarda la naturalezza né dell'italiano né del sardo, non è accurata per quanto riguarda il senso specifico che il termine ha nel quarto vangelo (a meno che non si legga subito una pagina di commentario), e infine non è chiara, soprattutto considerando che segue immediatamente l'uscita di Giuda, con la quale è posta in connessione.

Il primo problema è anzitutto quello dei tempi, al passato nel v. 31, al futuro nel v. 32. Ciò disorienta non poco. Il fatto è che l'evangelista scrive situandosi ora al tempo dei fatti raccontati e ora al tempo in cui egli stesso sta vivendo e scrivendo. In una traduzione che voglia veramente "comunicare" chiaramente, è opportuno omologare l'uso dei tempi, rispettando ovviamente il senso inteso dall'autore. Noi abbiamo omologato al futuro, situandoci al tempo dei fatti raccontati.

Il secondo problema riguarda il senso della frase. In modo costante, l'autore del quarto vangelo ogni volta che usa il termine "gloria" fa riferimento alla "rivelazione-manifestazione" (cf Gv 1,14; 2,11; 5,44; 7,18; 11,4.40; 12,41.43), e come la "gloria" di Dio si manfiestò sul monte Sinai, così ora sul Calvario stanno per manifestarsi la "gloria" di Gesù e quella di Dio.

Tenendo conto della naturalezza della lingua sarda (ma anche italiana), è anche opportuno convertire la forma passiva in attiva, passando da "essere glorificato"a "ricevere gloria".
Resta il fatto che anche il termine "gloria" non è in sé stesso sufficientemente chiaro. Tuttavia, usando, ad esempio, il termine "onore" al suo posto, ci si situerebbe sul piano temporale della scrittura o della lettura del vangelo, cioè dal punto di vista dei cristiani che "onorano" nella morte in croce l'offerta redentiva del Figlio, cosa non certo comprensibile al momento del fatto.

Certo si poteva essere ancora più chiari dicendo:

Candu duncas Giudas si ndi fut andau, Gesus si fut postu a nai: Immoi s'at a podi biri sa gloria de su Fillu 'e s'omini, e su Fill'e s'omini at a fai biri sa gloria de Deus. E chi su Fillu fai biri sa gloria de Deus, aici puru Deus e totu at a fai biri sa gloria de su Fillu, e dd'at a fai biri de immoi e totu.

 

Gv 13,34 "Comandamento nuovo". La difficoltà di questa espressione è che tradotta letteralmente essa è falsa. Il comandamento dell'amore non si può dire in nessun modo "nuovo". Esso non solo è radicato nella Bibbia Ebraica (cf Lv 19,18), ma Gesù stesso ne ha parlato come di un comandamento strettamente allo Shema' , cioè al più importante comandamento della Legge (cf Mc 12,28 e par.). La "novità", dunque, può solo riguardare il suo passare ad essere il fondamento del "nuovo ordine" di cose che sta per arrivare con la imminente morte stessa di Gesù, ormai decisa per la definitiva decisione di Giuda di "consegnare" Gesù. L'antichità del comandamento è dunque ciò che opera il collegamento con tutto quello che già si conosceva della "gloria" di Dio, ma ora, nei fatti nuovi compiuti da Gesù, e soprattutto nella sua morte di Figlio che "ama fino alla fine" (Gv 13,1), questo comandamento riceve e dà "nuova" vita. Da qui la traduzione proposta: "Aici, imoi a bosatrus si dongiu unu pretzetu chi torrat a nou".

Questo è il senso del nostro tentativo di traduzione. Considerando che per definizione nessuna traduzione è definitiva, ma sempre suscettibile di miglioramento, invitiamo chi non ne fosse contento a proporne (e spiegarne) un'altra.

 

Antonio Pinna