©Vita Nostra 2001, anno 41, n. 21, domenica 20 maggio 2001, p. 6

© Vangelo di Luca 2001. Traduzione in sardo campidanese, variante del Sarcidano isilese, 
di Antioco e Paolo Ghiani. Consulenza esegetica di Antonio Pinna.
Proposta di traduzione di Paolo Ghiani con osservazioni di Antonio Pinna e di Antioco Ghiani.


Lc 24,45-53 

Propriu bosatrus


45 Tandus at beni abertu sa menti insoru po cumprèndiri is Iscrituras,

46 e ddis at nau: "Aici ddu'at iscritu: ca su Cristus at a sunfriri e a is tres dis si nd'at a pesai de is mortus,
47 e ca a nomini suu at a essiri predicau a donnia genti s'arrepentimentu e su perdonu de is pecaus, cumentzendi de Gerusalemi.
48 Propiu bosatrus eis a èssiri testimongius de custas cosas,
49 e po icustu deu s'ap'a mandai sa promissa de Babbu miu. Bosatrus, aici, abarrai in citadi fintzas a candu Deus s'at a bestiri de sa frotza sua".

50 Apustis ndi ddus at ingortus a foras faci a Betania, e pesendi is manus a celu ddus at benedixius.

51 E est sussediu, in s'ora chi fut benedixendiddus, ca si ndi fut istresiau de issus e nc'artziàt a celu.
52 E issus dd'ant adorau e apustis nci funt torraus a Gerusalemi cun prexu mannu,

53 e sempiri in su tempru benedixianta a Deus.

 

Ascensione di Gesù. 
Dalla lingua alla teologia. 
Inizio e fine nei due volumi dell'opera lucana.

1. Provate a chiedere a un cristiano (meglio se un prete o una suora che leggono la Bibbia ogni giorno), dove nella Bibbia si racconta l'ascensione di Gesù. La prima risposta ovvia sarà almeno: nei vangeli. Continuate la prova e chiedete: sì, ma dove? Buona conversazione.

2. Fra i quattro vangeli, soltanto Luca racconta propriamente l'Ascensione di Gesù. Marco di per sè non ne parla (i versetti 9-20 sono un riassunto secondario aggiunto in alcuni manoscritti: cfr Nota alla edizione ufficiale CEI). Giovanni parla di Gesù che deve ritornare al Padre ma non ne fa un racconto. Per quanto riguarda Matteo si resta impressionati dal fatto che sembra dire tutto il rovescio: Gesù dà appuntamento ai discepoli su un monte in Galilea (non a Betania, vicino a Gerusalemme), si avvicina e dice loro per la prima e unica volta in questo vangelo di andare a predicare, insegnare e battezzare presso tutti i popoli, e poi termina dicendo: "Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino a quando questo tempo sarà compiuto". Finito. Nessuna partenza. Soltanto: "io sono con voi sempre". Del resto, fin dall'inizio, il vangelo di Matteo aveva parlato di Gesù come dell'Emmanuele, "Dio con noi".

3. Per di più, a una prima lettura dell'opera lucana si resta sconcertati dal fatto che, mentre nel Vangelo di Luca l'Ascensione sembra avvenire nella sera del giorno della Risurrezione, quando poi lo stesso autore inizia il libro degli Atti situa il fatto quaranta giorni dopo dopo.

4. Più che essere occasione di imbarazzo storico, questa diversa datazione da parte del medesimo autore dei due libri biblici può essere invece un primo indizio che ricorda al lettore il modo corretto di leggere la Bibbia. La Bibbia non è la dichiarazione dei redditi, dove la corrispondenza tra cosa e cosa è letterale. La Bibbia è un testo letterario e teologico, che suppone sempre quel famoso "buon intenditor" cui bastano "poche parole".

5. Qui dovrebbero bastare dunque due indizi per ricordare al lettore che i testi biblici non sono il "diario" cronologico di un giornalista che insegue il Gesù risorto alla ricerca di uno "scoop". Anzitutto, se un medesimo autore sembra datare così diversamente l'Ascensione di Gesù, vuol dire che non è interessato tanto alla data quanto a ciò che la successione degli avvenimenti può significare.
Nel vangelo, Luca racconta l'Ascensione di Gesù in modo strettamente unito alla Risurrezione: il senso è che la Risurrezione implica già in modo compiuto la gloria di Gesù "alla destra di Dio" (e dovrebbe essere superfluo ricordare che anche questa espressione "alla destra" non è da prendere alla lettera, non avendo Dio né destra né sinistra).
Nel libro degli Atti, i quaranta giorni sono da leggere ricordando anzitutto che nella Bibbia si tratta di una cifra tonda e simbolica che rappresenta un periodo di tempo "completo e compiuto", come i quaranta anni di tutta una generazione nel deserto, i multipli di quaranta anni nella vita di Mosè, i quaranta giorni della tentazione nel deserto e molti altri esempi. Dicendo dunque che Gesù dopo la risurrezione parlò con i discepoli per un periodo di quaranta giorni, Luca intende dire che il Gesù risorto confermò i discepoli nell'insegnamento che aveva dato loro durante la predicazione, e che questa conferma compie la nuova comprensione dei discepoli. Dopo tante incomprensioni e tanti dubbi, i discepoli raggiungono una fede matura. Essi ora conoscono tutto quello che è necessario conoscere per iniziare la loro missione di testimoni.
In secondo luogo, da un punto di vista narrativo, la cifra tonda e simbolica di quaranta serve in modo eccellente a Luca per giungere al cinquantesimo giorno della Pentecoste.

6. Sotto questo aspetto, la concordanza tra Atti e Vangelo è più profonda di quanto sembra. In tutto il cap. 24 il testo dice ripetutamente che Gesù spiegava ai discepoli sia le Scritture sia quanto aveva detto loro in precedenza. Al v. 27 con i discepoli di Emmaus: "E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui". Al v. 44: "Sono queste le parole che vi dissi quando ero ancora con voi : bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". Infine, nei versetti 45-48 presentati oggi, tutta la Scrittura e le parole precedenti di Gesù vengono presentate arrivare a compimento negli avvenimenti che i discepoli stanno vivendo.
Nella traduzione sarda proposta, abbiamo cercato di evidenziare i collegamenti tra le singole frasi: nella Scrittura era annunciato non solo la passione, morte e risurrezione di Gesù, ma anche la predicazione a tutte le genti (vv. 45-47); "proprio voi" (pronome in posizione enfatica nel greco) siete i testimoni che porterete a compimento questi annunci, e "per questo" (kai idou, in greco, non necessariamente da tradurre sempre con "ed ecco"), per rendere i discepoli capaci di questo "compimento" Gesù aggiunge che manderà lo Spirito promesso dal Padre; "e così" voi aspettate in città il dono di Dio (kai de, non in un senso avversativo ma continuativo, collegato con "per questo"; il "ma" della traduzione Cei è incoerente con il contesto).
A questo punto appare chiaro che i quaranta giorni dell'inizio degli Atti sono un modo diverso per dire la medesima cosa che dice la fine del Vangelo.

7. E tutto sommato anche l'inizio del vangelo, dove, si ricorderà, era importante, come ha fatto la traduzione Cei del '97, passare da un generico "avvenimenti successi" a un più allusivo "avvenimenti compiuti", e dove i "testimoni oculari" e i "ministri della parola" sono il tramite che permette a Luca di mostrare a Teofilo la "coerenza" degli insegnamenti ricevuti.

 

Come tradurre "Paraclito"
Due risposte di Mario Puddu, autore de su Ditzionàriu de sa limba e de sa cultura sarda

Santuanni Suérgiu 10 maggio

Istimadu don Pinna ...


1. Deo no creo chi donzi e calesisiat peràula de un'àtera limba (Limba 1) depat esser furriada in sardu (Limba 2): bi podet aer sempre peràulas chi de una limba a s'àtera perden carchi parte de sinnificadu ca in sa Limba 2 fintzas sa peràula prus addata podet tenner unu sinnificadu mancari prus pertzisu ma fintzas prus limitadu e tiat impoverire s'idea chi si depet dare. Est unu male a leare peràulas de àteras limba candho sun prus addatas? Totu sas limbas lu faghen e totu su prus bi podet aer bisonzu de una ispiegassione. Si sa peràula grega Paracletos si sardizat apenas in Paràclitu pesso chi andhet bene.


2. Ma no mi paret in nudha una peràula gai difítzile de furriare in sardu. Su parrer meu est chi, apustis de totu s'arrejonu, sa peràula chi menzus podet rapresentare sas ideas de Paracletos in sardu est Amparadore, chie daet amparu (totu su chi si faghet pro ndhe colare a unu o una cosa dae totu su chi li podet esser de dannu; sinón.: afiagnu, amparia, apógiu, defensa, refrantu; Fr. tue fisti s'amparu de totu sa bidha // t'apo dadu su bratzu pro amparu // de Deus e Maria no ti manchet s'amparu! // e cantos poveritos b'at sentz'amparu! // cussu pisedhu est òrfanu e chen'amparu // sa lege lis dat amparu // sias s'amparu de totu sos parentes!), chie amparat (amparai: dare amparu, fagher a manera chi unu no apet dannu, no apet male perunu, antzis, chi apet azudu; sinón. afianzare, apogiai, guardai / agiudai; Fr. sant'Antoni meu, bos bato una candhela e m'amparades! // ampàrannos che piedosa, coment'e mama amorosa! // a sorres tuas e frades, totu ti los ampares! // beneíghennos e ampara, Segnore!).
E donzunu podet cumprendher cantu cossolu o cunfortu b'at in su aer amparu o in su esser amparados, cantu s'amparu siat de azudu!

 

Mario Puddu

 

 

Oristano 11 maggio 2001

Stimau Prof. Puddu,

Il suo parere mi trova del tutto concorde, sia per quanto riguarda l'ingresso di vocaboli di altre lingue sia per quanto riguarda l'uso di "amparu" ( i Gosos della Madonna del Rimedio, molto conosciuti qui da noi, dicono "amparade nos, Segnora, / remediu pro d'ogni male). Forse, per questione di orecchio, preferirei usare la forma astratta personalizzata "Amparu", o "Amparu de Deus", invece che il maschile "Amparadori" (vorrei sapere cosa Lei ne pensa di questo tipo di soluzione).
Ma questo dipende anche dal tipo di traduzione in cui si starebbe lavorando. Infatti, mentre per una traduzione formale si potrebbe anche usare "Paràclitu" (con la maiuscola), in una traduzione dinamica vedrei necessario usare un termine che veramente comunichi un senso corretto e chiaro in modo naturale e immediato, senza bisogno di note a pie' pagina. Per questo, su Vita Nostra con Antioco e Paolo Ghiani abbiamo scelto "Agiudu de Deus" ("de Deus" essendo una aggiunta esplicativa che rende più chiaro il riferimento a Dio). Dirò che "Amparu" o "Amparu de Deus" o anche "Amparadori" mi suona meglio che le espressioni corrispondenti costruite con la radice "patrocinio" ecc. Vedo perņ che nel suo Ditzionàriu, nella sezione "tradutzioni" Lei elenca anche "patrocinio" insieme con "protezione, sostegno, tutela".

Antonio Pinna

 


Santuanni Suérgiu 13 maggio 2001

Istimadu don Pinna...

... S'àtera chistioni. Mi parit ca Fustei at agiustau bèni su 'tiru': "amparu" e no "amparadori". Bellu cust' Amparu mandau de Deus, Amparu de Deus! De prus, su significau est arricu e ativu che in amparadori etotu. Ma un'àtera cosa puru, chi no est de pagu contu, ca nosu Sardus s'istimaus abberu pagu e seus a iscórriu puru e s'anti abbituau a una "uniformità" de apariéntzia. Su fuedhu "amparu" andat mellus e si presentat oguali in totu su sardu. A su contràriu, "amparadore" parit logudoresu, e "amparadori" parit campidanesu, ca seus sempri forroghendi làcanas aundi no dhui nd'adi. A su contràriu, "amparu", Amparu pro totugantos sos Sardos andhat menzus! Mi ndh'allegro!
... Dhi mandu is mellus saludus e chi sa paxi de Deus siat cun Fustei!

Mario Puddu

Ricordiamo che il Ditzionariu de sa limba e de sa cultura sarda, presentato nel mese di Novembre dal nostro giornale, è ora alla seconda edizione ed è anche consultabile su Internet all'indirizzo www.suditzionariu.org.

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Pagina aggiornata il 29-05-02
a cura di Antonio Pinna