©Vita Nostra 2001, anno 41, n. 23, domenica 03 giugno 2001, p. 6

© Vangelo di Giovanni 2001. Traduzione in sardo campidanese, variante del Sarcidano isilese, 
di Antioco e Paolo Ghiani. Consulenza esegetica di Antonio Pinna.
Proposta di traduzione di Paolo Ghiani con osservazioni di Antonio Pinna e di Antioco Ghiani.

 

 

Gv 16,12-15
Sa 'ia de totu sa beridadi

 

16,12 Tengiu ancora cosa meda de si nai, ma po imoi non dda podeis
aguantai.
13 Ma candu at a benniri su Spiridu de beridadi, issu s'at a imparai sa bia
de totu sa beridadi ca no at a fueddai de sei sua, ma s'at a nai totu su chi
ascurtat e s'at a torrai a nai is cosas chi funt acanta de sussedi.
14 Issu m'at a donai gloria, ca at a pigai su chi s'ia a depi nai deu e si
dd'at a torrai a nai.
15 Totu su chi tenit Babbu miu est cosa mia; po cussu s'apu nau ca at pigai
su chi s'ia a depi nai deu e si dd'at a torrai a nai

 

Giorno dello Spirito, giorno delle primizie
Vento santo, ravviva i nostri sensi

 di Antonio Pinna

 

Che cosa c'entra la Festa del Ringraziamento degli agricoltori (diretti e simili), con il giorno della Pentecoste, il giorno dello Spirito e dei suoi doni o dei suoi frutti? La parola "frutti" farebbe anche pensare a un collegamento ovvio, ma subito dopo la visione di processioni offertoriali con ceste arcobaleno di verdure carote pomodori arance e meloni dorati, di agnellini belanti inutilmente la loro solitudine e di colombi senza cielo, sembrerebbe portarci lontano in un mondo di colori sapori odori quanto mai distante dall'atmosfera astratta dei nn. 1830-1832 del Catechismo della Chiesa Cattolica, dove appunto si parla dei doni e dei frutti dello Spirito. In essi, forse anche grazie a una certa aria asettica da laboratorio biochimico, si riesce a distinguere fra doni e frutti nel modo che segue.

Secondo il paragrafo n. 1830, i doni "sono disposizioni permanenti che rendono l'uomo docile a seguire le mozioni dello Spirito Santo", e il n. 1831 ne elenca sette: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio, rimandando a Isaia 11,1-2 (nella traduzione della Settanta e della Volgata, e non nel testo originale ebraico). "Essi completano e portano alla perfezione le virtù di coloro che li ricevono", e, viene ripetuto, "rendono i fedeli docili ad obbedire con prontezza alle ispirazioni divine". I frutti invece "sono perfezioni che lo Spirito Santo plasma in noi come primizie della gloria eterna". Secondo lo stesso paragrafo, numero 1832, "la Tradizione della Chiesa ne enumera dodici", e si cita l'elenco di Galati 5,22-23, che riporto qui nella traduzione più recente della cei: "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé".[1]

Nel mentre che mi immagino lo stupore di San Paolo, sorpreso nel vedersi presa come esaustiva e finita una lista che egli chiaramente non riteneva tale, confesso che l'unica parola che riesce a ispirarmi in questo linguaggio del catechismo è la parola "primizie": i frutti dello Spirito come "primizie" di un raccolto che si lascia immaginare inesauribile nella sua forza produttiva e riproduttiva e che nemmeno il termine di "gloria eterna" riesce a fermare. Raccolto che il libro dell'Apocalisse trova il bisogno di moltiplicare per dodici, quanti sono i mesi dell'anno: "Poi l'angelo mi mostrò il fiume dell'acqua che dà vita, limpido come cristallo, che sgorgava dal trono di Dio e  dell'Agnello. In mezzo alla piazza della città, da una parte e dall'altra del fiume, cresceva l'albero che dà la vita. Esso dà i suoi frutti dodici volte all'anno, per ciascun mese il suo frutto. Il suo fogliame guarisce le nazioni" (Apocalisse 22,1-2).

 

L'Antico Testamento

 

In realtà, si potrebbe dire che il primo elenco biblico dei frutti dello Spirito di Dio non è da cercare in qualche lista di virtù morali, ma nella sequenza dei sette giorni del racconto della creazione, pullulante di "cose buone". Secondo il linguaggio biblico, soprattutto dell'Antico Testamento, ma presente anche nel Nuovo, lo "Spirito di Dio" è Dio stesso in quanto forza che opera nel mondo, negli uomini e nell'universo, nella storia e nella natura. Questa azione di Dio è da seguire su tre filoni principali.

Il primo e quello della creazione, e trova i suoi frutti gioiosi in tutto ciò che esiste. Basti ricordare un versetto che l'uso del "salmo responsoriale" ha ormai reso familiare: "Quanto sono grandi, Signore, le tue opere... Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra" (Sal 104,24-30).

Il secondo è quello della salvezza, e trova i suoi frutti principalmente nella libertà che alcuni personaggi, sui quali "si posava lo Spirito del Signore", hanno procurato al popolo. Basti nominare Mosè, Giosuè, i Giudici, Davide, Salomone, e poi, pur con certe differenze, tutti i profeti.

Il terzo filone è quello della presenza dello Spirito di Dio nella comunità dell'alleanza, ed è connesso con le speranze escatologiche di un popolo assicurato nella libertà e nella santità. Basti anche qui citare una pagina ormai familiare: "Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati... vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi" (Ezechiele 36,24-27).

Come si vede, l'arco dei frutti è completo, passando dalla vita in sé stessa alla "qualità" della vita, sia civile sia religiosa, come oggi si ama dire e distinguere. Nel linguaggio biblico, tuttavia, si tratta di un arco quanto mai unitario. Prova ne sia che, se appena proseguiamo a leggere l'ultimo testo di Ezechiele, che certo si situa all'estremo "spirituale" dell'arco, ritroviamo esattamente tutti i frutti "materiali" degli altri due filoni, strettamente intrecciati fra loro: "Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri: voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio. Vi libererò da tutte le vostre impurità: chiamerò il grano e lo moltiplicherò e non vi manderò più la carestia. Moltiplicherò i frutti degli alberi e il prodotto dei campi... Quando vi avrò purificati da tutte le vostre iniquità, vi farò riabitare le vostre città e le vostre rovine saranno ricostruite. Quella terra desolata, che agli occhi di ogni viandante appariva un deserto, sarà ricoltivata e si dirà: La terra, che era desolata, è diventata come il giardino dell'Eden, le città rovinate, desolate e sconvolte, ora sono fortificate e abitate. I popoli che saranno rimasti attorno a voi sapranno che io, il Signore, ho ricostruito ciò che era distrutto e ricoltivato la terra che era un deserto. Io, il Signore, l'ho detto e lo farò" (Ezechiele 36,28-36).

 

Il Nuovo Testamento

 

Il Nuovo Testamento prosegue ma anche estende questi tre filoni. Come Gesù, sul quale "si posa" lo Spirito nel momento del battesimo, così anche la comunità dei discepoli, sui quali "si posano" le lingue di fuoco, è descritta secondo il modello degli antichi personaggi che agirono a beneficio del popolo con la forza e l'ispirazione dello Spirito di Dio. Le "novità" provengono soprattutto dalla stretta relazione e vicinanza che il Nuovo Testamento pone tra Dio, il Padre, e Gesù, il Figlio, così che lo Spirito Santo passa a rappresentare sia la presenza e l'attività di Dio, sia la continua presenza di Gesù nella Chiesa.[2] Il primo e più importante frutto dello Spirito è perciò la capacità che ogni generazione cristiana riceve di "trasmettere" la forza e la presenza di Gesù alla generazione che la segue. A questo "frutto" sono sempre mirati i "doni" dello Spirito di cui parlano sia il libro degli Atti sia le lettere di Paolo.[3]

E' invece possibile vedere come prosecuzione ed estensione del terzo filone dell'Antico Testamento tutti quei testi del Nuovo Testamento, soprattutto paolini, in cui il contrasto tra "carne" e "spirito" segna il passaggio al "mondo nuovo".[4] Lo Spirito rende i cristiani capaci non solo di compiere la missione ricevuta come "chiesa", ma anche di condurre uno stile di vita morale ed etica degna di "uomini nuovi": "Perciò, se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito" (Galati 5,25).

 

Frutti dello Spirito: in tutti i sensi

 

E' interessante notare come questo contrasto viene di nuovo espresso in termini di frutti agricoli: "Non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità" (1Cor 5,6-8; cf Gal 5,8).

 

Questo testo ci riporta al tema iniziale della Festa del Ringraziamento.  Nella società agropastorale dell’antico Israele, insediato in Canaan, le maggiori feste religiose popolari erano scandite dai ritmi del lavoro dei campi. Così, la festa della Pasqua, all’inizio della primavera, unita alla festa degli Azzimi, segnava le prime mietiture dell’orzo, la festa della Pentecoste, all’inizio dell’estate,  segnava la fine della mietitura del grano, e la festa delle Capanne, in autunno, segnava la fine della stagione dei frutti.

Fra queste tre, è proprio Pentecoste la festa maggiormente collegata al tema dei frutti. Lo mostrano altri due nomi con cui veniva chiamata: "Festa della Mietitura" (Hag ha-Katzìr , cf Es 23,16) e "Giorno delle Primizie" (Yom ha-Bikkurìm, cf Nm 28,26). Il nome di "Festa delle Settimane" (Hag ha-Shavu'òt) si riferisce al computo di sette settimane che la distanziava dalla Pasqua, mentre il nome tardo di 'Atzeret (forse "Assemblea solenne") è comune con la festa dell'autunno. Questo ultimo nome testimonia di uno sviluppo nel modo di sentire la festa della Pentecoste, la quale nel pensiero dei rabbini passa dal ricordo della liberazione fisica e politica dall'Egitto alla celebrazione di una libertà spirituale ottenuta con il dono della Legge al monte Sinai. Questo processo di spiritualizzazione, avvenuto nei primi secoli della nostra era, ha progressivamente messo in ombra gli aspetti agricoli della Festa della Mietitura, ma probabilmente questi aspetti di celebrazione dei "frutti della terra" erano ancora prevalenti al tempo di Gesù.

Il tema dei "frutti dello Spirito" trova così una collocazione storica del tutto naturale nell'ambito della festa della Pentecoste. Perciò, è opportuno non parlare subito e soltanto dei frutti "spirituali", ma collegarli, come fa la Bibbia, con la gioia "saporosa" che uomini e donne sperimentano godendo dei "frutti della terra e del lavoro".

 

Vento santo, ravviva i nostri sensi

 

Nella storia della teologia e della liturgia, mi pare, è successo che, dimenticando la forte unitarietà biblica tra mondo spirituale e materiale, le celebrazioni sono sempre più divenute disincarnate predicazioni intellettuali e moraleggianti e sempre meno feste di un popolo che gode "in corpo e anima" dei frutti divini della vita e della libertà. Ma ciò che al popolo viene tolto, il popolo prima o poi tenta in qualche modo di riprenderselo. Ed ecco così nelle varie "giornate", più o meno facoltative e sponsorizzate da singole categorie, ricomparire ciò che di per sé doveva essere espressione essenziale e universale di tutto il popolo.

Avendo dimenticato che ogni domenica, "pasqua della settimana", è giorno della vita, eccoci ad inventare una "giornata annuale della vita", per la cui preparazione si muove più gente che per la veglia pasquale, e che, per l'attenzione selettiva da cui è nata, rischia anche di parlare più di morte che di vita. Avendo dimenticato il valore di ringraziamento della Pentecoste per i frutti dell'azione dello "Spirito di Dio" nel mondo e nella storia, eccoci a reinventare una "Festa del Ringraziamento" che rischia però di interessare solamente gli agricoltori, e fra questi, forse, solo quelli di un certo orientamento politico.

E chi, nella "giornata delle primizie", parla più dello Spirito di Dio? Veni, Sancte Spiritus. Accende lumen sensibus. Vieni, Vento santo, ravviva i nostri sensi. Lo so che è una preghiera poco diffusa e una giaculatoria poco consigliata. Ma questa estate provate a insistere. L'anima ha bisogno del nostro corpo per imparare a "gustare quanto è buono il Signore" (Salmo 34,9).

Vieni, o Vento, Vento forte e dolce, vieni, porta sulla nostra terra i semi e i profumi di Dio.

 

 

[Due riquadri possibili, separati e sistemati più o meno il primo all'inizio e il secondo alla fine, oppure anche uniti in un unico paragrafo affiancato. Le note mi sembra meglio lasciarle a piè' pagina, e non in riquadro, come nello scorso numero]

 

Es 23,14-16: « Tre volte all’anno celebrerai una festa in mio onore.

Osserva la festa dei Pani non lievitati: nella ricorrenza del mese di Aviv, il mese in cui sei uscito dall’Egitto, devi mangiare per sette giorni pane non lievitato, come io ti ho comandato...

Osserva la festa della Mietitura, quando inizi a raccogliere quel che hai seminato nel tuo campo.

Osserva la festa del Raccolto, al termine dell’anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi”.

 

Levitico 23,15-17: «Conterete sette settimane complete, a partire dal giorno dopo il sabato in cui avrete offerto solennemente il primo covone.

Questo periodo di cinquanta giorni si estenderà dunque fino all'indomani del settimo sabato, giorno in cui mi presenterete una nuova offerta: mi porterete da casa vostra due pani, per offrirli solennemente; ogni pane sarà preparato con due chili di farina e cotto con lievito».

 

Domanda. Se a partire dalla festa dei Pani azzimi, san Paolo[1]  fa equivalere il lievito vecchio  al peccato (molti rabbini anche oggi parlano di orgoglio e di materialismo che fa "gonfiare" l'uomo), come è che a Pentecoste si dovevano offrire invece "due pani lievitati"? Una risposta ci viene da Rav Shlomo Fischer, uno dei capiscuola più rispettati di Gerusalemme, e consiste nel vedere un rapporto di sviluppo narrativo fra Pasqua e Pentecoste. Pasqua è il primo stadio, quando si abbandona la servitù e la morte; sette settimane dopo è il secondo stadio, quando il credente accetta positivamente tutta la Legge, dopo averla scrutata attentamente, confrontata e compresa. Questo passaggio da una dedizione, già totale ma in qualche modo "cieca", a una dedizione più consapevole è espresso nel passaggio dagli azzimi al pane. Le complesse operazioni necessarie per produrre il pane sono viste come metafore dello studio della Legge. La conoscenza della Legge non è come cogliere un frutto da un albero, ma richiede, come per il grano, una lunga opera di confronto, di vaglio, di setaccio nel mondo delle idee. Si rifletta sul seguente dialogo con cui il Talmud commenta il racconto di Adamo. «Spine e cardi la terra produrrà per te. Sopraffatto dalle ramificazioni di questi cardi e spine, delle lacrime comparvero sugli occhi di Adamo: Dovrò io mangiare nella medesima stalla del mio asino?  Rispose l'Altissimo: No, col sudore della tua fronte mangerai il tuo pane. E Adamo ne fu consolato».

 



[1] L'elenco di Paolo (ripeto, inteso come non esaustivo) è dunque di nove e non di dodici. Il numero di dodici del Catechismo è ottenuto mettendo insieme diverse aggiunte apportate in diversi manoscritti. Il fatto che dei cristiani nella lettura di Paolo si siano sentiti liberi di aggiungere dei "frutti" all'elenco dell'apostolo, oltre a confermare l'evidenza della sua non esaustività, chiarisce anche che la "Tradizione della Chiesa" non si immaginava assolutamente di limitare con schemi e numeri la forza feconda e incontrollabile dello Spirito di Dio. Ciò che invece tenta di fare il Catechismo. Appena prima, nel n. 1829, quasi gli stessi elementi della lista sono presentati come "frutti" della carità.

[2]  Nel vangelo di Giovanni, primo frutto dello Spirito è la continua, anche se invisibile,  presenza di Gesù ai suoi dopo la sua partenza, e come secondo frutto dello Spirito la continuità stessa della comunità dei discepoli. A differenza che nelle Lettere paoline e negli Atti, nel vangelo di Giovanni l'accento non è posto sui doni o sui carismi dei singoli cristiani, ma sulla vita della comunità come tale, chiamata a proseguire nella storia la via dell'incarnazione, conducendo una vita di amore e di testimonianza.

[3] Come si vede, i paragrafi del Catechismo evitano accuratamente ogni riferimento non solo ai testi lucani e paolini ma anche ai testi giovannei, e restano in un'ottica del tutto individualistica e per niente comunitaria. L'ispirazione umanistico-filosofica  occidentale ha di nuovo prevalso su quella profonda ispirazione biblica che si augurava il Concilio Vaticano II.

[4] Per quanto riguarda Paolo, oltre a Gal 5,19-23 già citato, si vedano anche Romani 1,29-31; 13,13-14; 1 Corinti 5,10-11; 6,9-10; 2 Cor 12,20. Si aggiungano poi gli elenchi tradizionali contenuti in Efesini 4,31; 5,3-5; Colossesi 3,5-8: 1 Timoteo 1,9-10; 6,4; 2 Timoteo 3,2-5; Tito 3,3.


 [1]compresi quelli che hanno scritto sul Jerusalem Post in Israele nei giorni di Pasqua di quest'anno),