©Vita Nostra 2001, anno 41, n. 24, domenica 10 giugno 2001, p. 6
© Vangelo di Luca 2001. Traduzione
in sardo campidanese, variante del Sarcidano isilese,
di Antioco e Paolo Ghiani.
Consulenza
esegetica di Antonio Pinna.
Proposta di traduzione di Paolo Ghiani con osservazioni di Antonio Pinna e di
Antioco Ghiani.
10 E candu funt torraus, is
apostolus dd'ant contau totu su chi iant fatu. E Gesùs
ndi ddus at pigaus e ndi fut andau a disparti faci a una citadi chi ddi narànt
Betsaida.
11 Ma sa genti at cumprendiu e dd'at sodigau, tandus issu dd'at arricìa e
ddi fueddàt de s'arrènniu de Deus, e sanàt is chi teniant abisongiu de cura.
12 In s’interis, sa dì at cumentzau a nci abasciai e is Doxi (apostolus)
fiant acostiaus e dd'ant nau: « Dispedi sa genti chi andit peri is biddas e is
terras totu a ingìriu po agatai aprigu e cancuna cosa de papai, ca seus in
d'unu logu assolau».
13 Ma issu ddis at nau: «Donaiddis a papai bosatrus e totu ». E issus dd'ant
nau:
«Nosu portaus feti cincu panis e duus piscis, foras chi no andeus
nosu e totu a comporai mandiari po totu custu populu. 14 Ca ddu’iat giai cincu milla ominis.
Tandus at nau a is iscientis suus: «Faeiddus isterri a fiotus de cincuanta, cantu prus o mancu». 15 E aici iant fatu faendi sterri a totus. 16 Tandus at pigau is cincu panis e is duus piscis e, pesendi is ogus a celu, ddis at nau una beneditzioni e ddus at pratzius e ddus donàt a is iscientis po ddus aporri a sa genti. 17 E totus ant papau e si funt prandius e nd'ant pinnigau su chi ddis fut srobau: doxi cadìnus de arrogus
17 Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto chi poco. 18 Si
misurò con l' omer: colui che ne aveva preso di più, non ne aveva di troppo,
colui che ne aveva preso di meno non ne mancava: avevano raccolto secondo quanto
ciascuno poteva mangiarne.
Es 16,19 Poi Mosè disse loro: «Nessuno ne faccia avanzare
fino al mattino». 20 Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conservarono fino
al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di
loro.
21 Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo
quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva.
Es 16,22 Nel sesto giorno essi raccolsero il doppio
di quel pane, due omer a testa. Allora tutti i principi della comunità vennero
ad informare Mosè. 23 E disse loro: «E` appunto ciò che ha detto il Signore:
Domani è sabato, riposo assoluto consacrato al Signore. Ciò che avete da
cuocere, cuocetelo; ciò che avete da bollire, bollitelo; quanto avanza,
tenetelo in serbo fino a domani mattina».
24 Essi lo misero in serbo fino al mattino, come
aveva ordinato Mosè, e non imputridì, né vi si trovarono vermi.
25 Disse Mosè: «Mangiatelo oggi, perché è sabato
in onore del Signore: oggi non lo troverete nella campagna. 26 Sei giorni lo
raccoglierete, ma il settimo giorno è sabato: non ve ne sarà».
27 Nel settimo giorno alcuni del popolo uscirono per
raccoglierne, ma non ne trovarono. 28 Disse allora il Signore a Mosè: «Fino a
quando rifiuterete di osservare i miei ordini e le mie leggi? 29 Vedete che il
Signore vi ha dato il sabato! Per questo egli vi dá al sesto giorno il pane per
due giorni. Restate ciascuno al proprio posto! Nel settimo giorno nessuno esca
dal luogo dove si trova».
30 Il popolo dunque riposò nel settimo giorno.
Es 16,19 Poi Mosè disse loro: «Nessuno ne faccia
avanzare fino al mattino». 20 Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne
conservarono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si
irritò contro di loro.
21 Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina
secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si
scioglieva.
Avvenire sta seguendo con attenzione i temi relativi al summit dei G8 che si terrà a Genova nel mese di luglio. Segnaliamo qui le proposte contenute nel "Documento di Genova", pubblicazione-messaggio con cui si è concluso domenica il congresso "Per una globalizzazione solidale verso un mondo unito", promosso da New Humanity su incoraggiamento dell'Onu e con il sostegno del Comune e della Diocesi di Genova. Le evidenziazioni sono nostre.
Elio Maraone, per Avvenire
Riassunti di Avvenire (non pubblicati) Abbattimento del debito dei Paesi poveri, dei dazi sui prodotti delle economie meno avanzate, degli interessi sui capitali d'investimento nel Terzo mondo: si è concluso con un promemoria per gli otto Grandi il convegno internazionale di Genova sulla globalizzazione solidale. L'arcivescovo di Genova Dionigi Tettamanzi ha ricordato che «la globalizzazione non può essere arrestata», e può diventare risorsa «se serve a riscoprirci membri di un'unica famiglia». Un promemoria in vista del summit di Genova elaborato al congresso sulla globalizzazione solidale. Al primo posto cancellazione o riduzione del debito. Seconda proposta: abbattere le barriere doganali per i prodotti dei Paesi in via di sviluppo. La terza: ridurre la tassazione dei capitali per favorire gli investimenti |
GENOVA. Se un giorno la globalizzazione si sottrarrà alla dominazione del puro e semplice profitto, mettendosi al servizio dell'uomo - e di ogni uomo - potrebbe essere anche merito delle persone e delle organizzazioni della società civile che, fra il 2 e il 3 giugno hanno dato vita a un memorabile congresso, illuminato dall'intervento (del quale riferiamo a parte) del cardinale arcivescovo Dionigi Tettamanzi.
Il congresso «Per una globalizzazione solidale verso un mondo unito», promosso da New Humanity su incoraggiamento dell'Onu e con il sostegno del Comune e della Diocesi di Genova, si è concluso domenica alla Fiera del mare con la pubblicazione di una carta («Documento di Genova») indirizzata in particolare ai governi di tutto il mondo, e soprattutto a quelli che in luglio si riuniranno nel capoluogo ligure per il G8.
I sottoscrittori - movimento dei Focolari, diverse organizzazioni non governative (Ong), Justitia et Pax, gruppi ecclesiali di Chiese luterane e riformate - rivolgono non soltanto ai governi, ma anche alla «business community» (comunità degli affari) mondiale una serie di proposte che hanno come obiettivo la nascita di una «globalizzazione solidale», cioè governata dalle ragioni del bene comune.
La prima proposta - che echeggia le indicazioni del Papa per il Giubileo e le esperienze della Cei in Guinea Conakry e Zambia - è di cancellare o perlomeno ridurre il debito estero dei Paesi in via di sviluppo.
Mentre si approvano le decisioni già prese da alcuni Paesi creditori (Italia compresa) di procedere su questa strada, specialmente quando le risorse risparmiate dai debitori sono destinate alla sanità, alla formazione e alle infrastrutture, si insiste perché i governi trovino nuovi meccanismi per ridurre il debito delle Nazioni emergenti, debito che tra l'altro comprime la formazione delle nuove generazioni, fondamentale speranza per un ruolo attivo di quelle Nazioni nel futuro del mondo.
La seconda proposta è che i Paesi industrializzati eliminino progressivamente le barriere doganali ai prodotti dei Paesi in via di sviluppo. È una misura non facile, e che dovrà essere accompagnata da qualche nuova forma di sostegno alle produzioni interne, principalmente agricole, ma è lo stesso una misura praticabile.
Non meno praticabile, e forse più incisiva è la terza proposta, quella che chiede di tassare i movimenti di capitale con una imposizione minima, che cioè non incida sugli investimenti e sul commercio internazionali: potrebbe essere lo 0,1 per cento già suggerito dall'economista Tobin (la cosiddetta «Tobin tax»), tuttavia sufficiente a scoraggiare la speculazione selvaggia sul denaro, una «merce» che oggi è possibile scambiare senza oneri e senza regole, sfuggendo al controllo dei governi e determinando a volte crisi imponenti. Le risorse che si ricaverebbero da questa tassa potrebbero in parte sostituire imposte oggi chieste ai cittadini e in parte essere utilizzate per ridurre il peso del debito internazionale.
Ma non basta. Il «Documento di Genova» propone infatti di istituire un «Fondo giovani del mondo». Istituzioni finanziarie, società multinazionali, tutto il mondo economico potrebbero partecipare alla «cultura del dare» investendo una piccola frazione del loro volume d'affari a vantaggio delle nuove generazioni. In sintesi, gli interessati dovrebbero volontariamente destinare una parte del loro movimento di capitali o comunque di profitti all'acquisto di quote del Fondo. I governi, da parte loro, potrebbero considerare tali sottoscrizioni quali costi aziendali, quindi non soggette ad imposte. Il Fondo investirebbe le risorse in parte in aiuti immediati e diretti (cure mediche, cibo, ecc.), in parte in progetti educativi e sanitari gestiti assieme da Ong e agenzie dell'Onu.
Un'altra parte andrebbe investita in strumenti finanziari e nell'acquisto di ricchezze naturali. Infine, un marchio «Fondo giovani del mondo» potrebbe essere utilizzato a fini di immagine dalle aziende o enti che aderissero.
Si tratta, come si vede, di un ventaglio di proposte ampio, ambizioso e ancora da definire in tutti i particolari. Non ci si può aspettare - come ha osservato John Langmore, degli Affari economici e sociali dell'Onu - che il prossimo G8 di Genova possa discutere tutte queste possibilità, ma sarebbe tuttavia desiderabile e ragionevole che i «grandi» esaminassero concretamente almeno alcune delle proposte.
Si potrebbe sperare che, come minimo, si impegnino a realizzare una più veloce riduzione del debito, ad aumentare gli aiuti, a ridurre le barriere doganali. «Forse tra una generazione - ha concluso Langmore - molte proposte saranno state accolte, tanto che potrà sembrare strano l'averne discusso, e anacronistico parlarne ancora». E se fosse, la sua, una meravigliosa profezia?
Elio Maraone
Nostro Inviato