©Vita Nostra 2001, anno 41, n. 25, domenica 17 giugno 2001, p. 6

© Vangelo di Luca 2001. Traduzione in sardo campidanese, variante del Sarcidano isilese, 
di Antioco e Paolo Ghiani. Consulenza esegetica di Antonio Pinna.
Proposta di traduzione di Paolo Ghiani con osservazioni di Antonio Pinna e di Antioco Ghiani.

Lc 1,57-66 Domenica 24 giugno - San Giovanni Battista

 

57 Po Elisabeta tandus fut lòmpiu su tempus suu e ddi fut nàsciu unu fillu. 58 E is bixìnus de domu e is parentis suus ant intèndiu ca su Sinniori nd'iat tentu piedai meda e si ndi prexànt cun issa. 59 E a is otu dis est sussediu ca funt bennius po fai scrapuddai su pipiu e fiant po ddi ponni su nòmini de su babbu, Zacaria. 60 Ma sa mamma si fut posta a narriri: " Ca no: est a ddi ponni Giuanni". 61 E dd'ant nau: "Non nci at nemus, de totu is parentis tuus, chi ddi nerint custu nòmini". 62 Tandus faiant acìnnidus a su babbu ita iat a bolli a ddi ponni. 63 E issu at pedìu una taulita po iscriri e ddu'at iscritu: "Su nòmini suu est Giuanni". E totus si fiant spantaus. 64 E illuegu si ddi fut aberta sa buca e strobìa sa lingua e si fut postu a fueddai benedixendi a Deus.

65 E a totus is bixinus ddis at intrau timorìa e in totus is montis de Giudea chistionànt de totu custus fueddus.
66 E totus is chi ddus iant intendius ddus ant postus in coru insoru, narendi: "Ita at a bessiri duncas custu pipiu?". Berus est ca sa manu de su Sinniori fiat cun issu.

 


Commenti (continuano sul tema del "riposo sabatico", a cura di Antonio Pinna)

 

1)

La "settima parte" del tempo: teologia ed economia alternative

Non risparmiare in amore

Il parere di un economista


Domenica 10 giugno, La Repubblica (p. 15) pubblicava un articolo di Giorgio Ruffolo a commento di recenti proposte sulla "libertà di licenziare" come strumento di crescita economica. Il commento era significativamente titolato "Economia senza amore". Lo riprendiamo (le evidenziazioni sono nostre) su questa pagina di "letture sabatiche" non solo per le riflessioni sul problema specifico dei licenziamenti, ma anche perché le argomentazioni proposte ci permettono di proseguire il tema di come la benedizione biblica sul sabato, settima parte del tempo (Gen 2,3) può trasformarsi in benedizione di vita sostenibile per il popolo in cammino dalla schiavitù dell'Egitto verso la terra della promessa (Es 16: cfr Vita Nostra 10 giugno 2001, n.24).


Ruffolo, economista di formazione, inizia il suo commento con un incipit intrigante : "Che cosa risparmiano gli economisti? L'amore, rispondeva Dennis Holme Robertson, brillante economista cambridgeano. E voleva dire che per affrontare i problemi della ricchezza e della scarsità non si deve contare su grandi risorse di altruismo sociale. A causa di questa sua rinuncia metodologica, l'economista può risultare antipatico. Nei giorni scorsi questa vessatissima questione è stata evocata nel corso di uno scambio polemico tra Claudio Magris e Antonio Martino sul tema: licenza di licenziare. Magris non criticava la tesi di Martino: in sostanza, che la licenza di licenziare è la via migliore per indurre le imprese ad assumere; ma contestava il tono di "compiaciuta durezza" e la "faccia feroce" con cui quella tesi era stata presentata. Martino replicava confermando la sua ricetta e, quanto al tono, attribuendolo ironicamente alla fantasia del suo critico".

Il fondatore della rivista Micromega conferma la sua capacità di andare al fondo dei problemi, quando, dopo aver ammesso ma non concesso che a promuovere il miracolo economico americano sia stata la flessibilità del lavoro e non piuttosto "una politica macroeconomica espansiva, resa possibile dall'assenza di vincoli esterni e dalla forza del dollaro", pone il problema in termini diremo etici: "Voglio ipotizzare, senza concedere, che funzioni. Che cioè la libertà di licenziare sia uno strumento essenziale per realizzare la piena occupazione nell'ambito di quel modello dell'economia "all'americana" che l'on. Martino, insieme a tanti altri, considerano come un obiettivo ideale. Il punto che mi preme di sollevare è se quel modello di economia, e di società ci piace".

A questo punto, Ruffolo, autore non si dimentichi di opere come La qualità sociale (Laterza 1990), nella quale cercava di spiegare che, oltre certi limiti, la crescita incontra rendimenti decrescenti e costi crescenti, esemplifica con una serie di "se ci piace" il tipo di società che un certo tipo di ragionamento economico efficientista presuppone e crea:
"Se ci piace davvero che, alla società legata all'ideale del posto fisso, ne subentri una pervasa permanentemente dall'ansia e dal timore di perdere il posto; nella quale solo a una minoranza di privilegiati sia concesso di disegnarsi un piano di vita.

Se ci piace - lo dico con le parole di un economista liberale, John Stuart Mill - una società "affascinata dall'ideale di vita professato da coloro i quali considerano la normale situazione degli esseri umani quella della lotta per il successo: che il calpestarsi, scontrarsi, prendersi a gomitate, pestarsi i piedi... rappresentino quanto di meglio si possa desiderare per il genere umano, e non già gli spiacevoli sintomi di una delle fasi del progresso industriale".

Se ci piace ristabilire una condizione di piena discrezionalità del potere imprenditoriale all'interno dell'impresa rispetto ai lavoratori, condizione che mi appare come il vero obiettivo della campagna condotta in favore della "mobilità in uscita".

Se ci piace che quella "merce fittizia" - come la definiva Karl Polanyi - che è la forza di lavoro, una strana merce che pensa, e che attraverso due secoli di lotte ha acquistato il diritto di negoziare "politicamente" le condizioni del proprio impiego, sia restituita nella condizione di merce vera, attraverso un processo di "rimercificazione del mercato del lavoro".

Se ci piace una società che sanzioni i rapporti di forza emersi nella maratona del mercato, e dove la protezione sociale non sia concepita come diritto di tutti, ma come sussidio per i più sfortunati".

A questo punto, Ruffolo, che fu Segretario Generale della programmazione economica fino al 1975, e dal 1994 Presidente del Centro Europa Ricerche, passa alla parte propositiva del suo commento, riportando il concetto tecnico di "mercato" all'interno di quello etico di "bene comune": "E se [questa società] non ci piacesse? Dovremmo lo stesso subirla, in nome delle leggi imprescrittibili del mercato? Ma il mercato non è un'istituzione inventata dagli uomini per accrescere il benessere di tutti? Strumento formidabile per moltiplicare la ricchezza, non dovrebbe essere compreso in un sistema politico cui toccasse la responsabilità di promuoverne una più equa divisione? Se così fosse, le rigidità che emergono nel suo ambito, per esigenze di protezione sociale, dovrebbero essere ridotte, quando è manifesto che esse si traducono in un danno collettivo, a condizione che quella protezione sia assicurata con altri mezzi. Anche il problema dei licenziamenti potrebbe essere proposto, per via negoziale, se esistesse un sistema di protezione, di riqualificazione e di reinserimento, che non abbandonasse mai il lavoratore. Il miglioramento della competitività comporta un rafforzamento della solidarietà".

L'autore del "Progetto per la sinistra del 2000", così conclude: "Sistemi equilibrati di questo tipo vanno progettati e costruiti, non possono essere depositati nel grembo di divinità imperscrutabili, come sono divenuti, nel nostro tempo cinico e areligioso, i "Mercati". Occorre costruirla, una società che concilii l'equità e l'efficienza, non appenderla superstiziosamente ai capricciosi indici della Borsa. Certo, per costruirla dovremmo adoperare, come cemento, un po' più di altruismo e di solidarietà. Dovremmo risparmiare un po' meno sull'amore, insomma, per dirla con Robertson. Se gli economisti, quell'economia di mercato in una società solidale, si dedicassero a progettarla, forse, diventerebbero un po' più simpatici".

Questa conclusione ce ne ricorda un'altra, sempre di Ruffolo, apparsa sul Manifesto del 30 luglio 2000, su un articolo a commento di una proposta di incontro tra economisti e ambientalisti, e che mi sembra non inutile ricordare mentre in Italia è sempre alto l'allarme per il summit dei G8 a Genova. In quel commento, l'economista "fine intellettuale della sinistra", sosteneva che per avere una crescita diversa "occorre [in terzo luogo] estendere il settore non mercatistico dell'economia associativa [...] : il mondo delle relazioni interpersonali e sociali dirette è no profit. All'orizzonte più estremo dell'opulenza, le società umane possono riscoprire la gratuità, il disinteresse, la reciprocità, l'economia del dono, l'egoismo dell'altruismo. [Finalmente (e torno all'insegnamento di Hirsch, ma anche a quello di Stuart Mill, economista liberale ignoto ai liberisti) occorre che l'economia politica rientri nei limiti di un'etica pubblica, di un'etica della società, con buona pace della signora Thatcher e dei devoti del Dow Jones e del Nasdaq. Bisogna che anche gli economisti ultras si convincano che la terra non è un pozzo senza fondo e che la mente non è uno spazio vuoto, riservato alla pubblicità".]

Nostra riflessione conclusione: se l'economia del sabato e della manna implicata dal racconto del capitolo 16 dell'Esodo, si poteva riassumere nei tre principi: principio del sufficiente per tutti, principio del non accumulo, principio del dono, a quanto pare chi poi formulò la legislazione del "riposo sabatico", settimanale nella vita personale e generazionale nell'anno giubilare, oltre che buon teologo, forse doveva essere anche buon economista. Ma, a quanto pare, non solo di una economia ma anche di una teologia "diverse".

 

2) 

 Sabato: il  riposo dalla competizione

Il parere di un teologo

 

Alla fine degli anni 80, il primo non cattolico a difendere una tesiicia Università Gregoriana fu Samuele Bacchiocchi, con una ricerca sulle origini e sul significato del sabato. Il suo lavoro fu in parte pubblicato nel volume Riposo divino per l'inquietudine umana, Edisioni AdV, Firenze 1983. Ne riportiamo una pagina che, da un punto di vista teologico, può affiancarsi al commento economico e politico di Giorgio Ruffolo, pubblicato a fianco.

 

Immagine grafica della Carta di Peters

La cosiddetta "Carta di Peters" vuole rappresentare sul piano le proporzioni reali dei diversi territori, in modo che una regione non appaia più grande di quello che è rispetto alle altre. Ad esempio, nelle rappresentazioni usuali, l'Europa appare più grande in modo sproporzionato rispetto all'Africa.

 


Sabato, riposo dalla competizione

Un terzo modo attraverso il quale l'osservanza del Sabato apporta il riposo di Cristo alla nostra vita è quello di liberarci dalla preoccupazione di raggiungere e produrre. La pressione che la nostra società competitiva esercita su di noi può produrre frustrazioni impensate. La competitività può scoraggiare, disumanizzare, demoralizzare una persona, può far sì che amici diventino nemici. Abbiamo detto al capitolo terzo che per imitare il modo di vita degli altri, alcuni cristiani di oggi, come gli Ebrei di una volta, scelgono di uscire a raccogliere durante il Sabato. Ma la Scrittura sottolinea il non senso di tale avidità, quando afferma con una punta di ironia: " Non ne trovarono " (Esodo 16: 27). Il Sabato insegna al cuore avido a essere riconoscente, e un cuore riconoscente è il luogo dove riposa la pace e il riposo di Cristo.
Limitando temporaneamente la nostra produttività, il Sabato ci insegna non a competere ma a sentirci l'uno vicino all'altro. Ci insegna a vedere i nostri simili non quantitativamente ma qualitativamente, cioè non in termini delle loro entrate ma in termini del loro valore umano. Se il signor Bianchi è in cassa malattia durante la settimana noi potremmo pensare che ha avuto poche entrate. Durante il Sabato, comunque, dal momento che siamo in adorazione con lui e in sua compagnia, noi apprezziamo non il poco che ha fatto ma il molto che offre alla chiesa e alla comunità attraverso il suo esempio e la sua testimonianza cristiana. Così, liberandoci dalla pressione della competitività e della produzione, il Sabato ci permette di apprezzare più pienamente i valori umani delle persone e la bellezza delle cose. Questa libera e più piena considerazione di Dio, delle persone e delle cose apporta gioia, armonia e riposo alla nostra vita.

(Samuele Bacchiocchi, Riposo divino per l'inquietudine umana, Edizioni AdV, Firenze 1983, p. 199)

 

Riposo dalle tensioni sociali

"Anche se un ebreo vendeva cipolle e un altro possedeva grandi foreste di legname, durante il Sabato essi erano uguali, tutti erano re, tutti davano il benvenuto alla Regina del Sabato, tutti cantavano il kiddush, tutti gioivano nella gloria del settimo giorno... Durante il Sabato non c'erano né banchieri né impiegati, né agricoltori né chi dava la terra in affitto, né ricchi né poveri. C'erano solo Ebrei che santificavano il Sabato" (Samuel H. Dresner, The Sabbath, p. 43).
(Samuele Bacchiocchi, Riposo divino per l'inquietudine umana, Edizioni AdV, Firenze 1983, p. 200)