©Vita Nostra 2001, anno 41, n. 26 domenica 24 giugno 2001, p. 6

© Vangelo di Luca 2001. Traduzione in sardo campidanese, variante del Sarcidano isilese, 
di Antioco e Paolo Ghiani. Consulenza esegetica di Antonio Pinna.
Proposta di traduzione di Paolo Ghiani con osservazioni di Antonio Pinna e di Antioco Ghiani.

 

9,51-62 Domenica 1 luglio 2001

Andendi andendi

51 Tandus, sendu acanta de lompi, po issu, su tempus de nd’essi pigau a celu, (est sussediu ca) Gesus at impunnau faci a Gerusalemi. 52 Aici at mandau missus ananti suu e custus si funt postus in caminu e funt intraus a una bidda de samaritanus po aprontai po issu. 53 Ma no dd'ant bofiu arriciri, ca issu fiat andendi faci a Gerusalemi.

54 E aici candu is iscientis Giacu e Giuanni ant biu sa cosa, ant nau: «Sinniori, bolis a pregai chi ddis calit lampu de celu po ddus sperdi?». 55 Ma issu si fut furriau e ddus at certaus. 56 E si nci fiant incaminaus a un'atra bidda.

57 E in s'interis chi fiant faendi caminu, unu dd'at nau:«Ap'a sodigai cun tui a dònnia logu anc’as a movi». 58 E Gesus dd'at arrespustu: «A dònnia margiani sa tana sua e a dònnia pilloni su niu suu, ma a su Fillu de s'omini mancu una perda po arrimai sa conca». 

59 A un'atru dd'at nau: «Sodiga cun mimi». Ma cussu dd'at arrespustu: «Sinniori, lassamì andai innantis a nc'interrai a babbu miu». 60 Ma issu dd'at nau: «Lassa a is mortus a nc'interrai is mortus insoru. Tui bai e predica s'arrènniu de Deus».

61 E un'atru dd'at nau: «Ap'a sodigai cun tui, Sinniori, ma innantis lassa chi mi dispeda cun is de domu mia». 62 Ma Gesus dd'at arrespustu: «Nemus chi at getau sa manu a s'aradulu e s’abarrat castiendi a palas est bonu po s'arrènniu de Deus».

 

Commenti

1) 

Riprende la lettura di Luca

Dalla lingua alla teologia

1) Una lettura senza aggettivi. Ricomincia questa settimana la lettura festiva del vangelo di Luca. Era durata dal 21 gennaio fino al 25 febbraio ed era stata interrotta nel periodo quaresimale e pasquale. È chiaro che in queste condizioni non è sufficiente limitarsi a ciò che si sente in chiesa per comprendere il senso della composizione dell'opera di Luca nel suo insieme. Se uno volesse entrare veramente in contatto con la narrazione di Luca in quanto tale, deve passare dalla lettura domenicale "semicontinua" (così l'hanno chiamata) a una "lettura" vera e propria, senza aggettivi più o meno inventati e coerenti. Per far questo, alcune parrocchie hanno pensato di fornire l'aiuto di incontri biblici periodici, sempre legati alle scadenze liturgiche. Chi non può frequentare questi incontri, dovrà ritagliarsi un po` del tempo del "riposo sabatico" per dedicarlo alla lettura diretta e continuata del testo del vangelo. Senza preoccuparsi troppo di leggere note e commenti, ma preoccupandosi invece di leggere il testo di seguito, facendo attenzione soprattutto se ciò che si legge fa ricordare in qualche modo, per somiglianza o per differenza, ciò che si è già letto o riletto. In questo senso, una lettura è sempre una "rilettura".

2) Lingua. Il brano di Lc 9,51-62 segna l'inizio di quella parte del vangelo di Luca che gli studiosi chiamano "sezione del viaggio". La traduzione sarda proposta in questa stessa pagina rende bene il senso della frase greca: "51 Tandus, sendu acanta de lompi, po issu, su tempus de nd'essi pigau a celu, est sussediu ca Gesus at impunnau faci a Gerusalemi". Il verbo sardo "impunnai", come dice Antioco Ghiani in una nota di risposta, "portat gia in sei s'idea de andai, ma non feti, bolit fintzas e narri ca dd'at fatu cun detzisioni manna". Si è ritenuto quindi inutile tradurre letteralmente in greco con "at impunnau po andai ", presente in una prima proposta di traduzione.

Non per amore dei confronti, ma per favorire una maggiore consapevolezza delle questioni implicate dalla traduzione in sardo, affianchiamo a questa traduzione Ghiani, discussa con il sottoscritto a livello di consulenza esegetica, con tre altre traduzioni disponibili. Una più antica, e consultabile sul nostro sito internet www.sufueddu.org, è di un anonimo che traduce nel 1900 per un progetto editoriale curato dalla casa editrice Claudiana, ispirandosi alla traduzione del Diodati (1657): " 51 E fiat suççediu chi cumplendusì su tempus ch'issu depiat essiri arriciu in celu issu hiat fattu su firmu proponimentu de s' indi andai a Gerusalemmi, 52 e hiat mandaus ananti de sei algunus missus... ". La traduzione Vargiu (1990) segue in genere da molto vicino la traduzione dinamica della Ldc-Abu, e qui traduce: "Mentris s'accostàt su tempus chi Gesus depiat lassai custu mundu, iat detzidìu, chenza de farta peruna, de andai faccias a Gerusalemi, e iat mandau a innantis unus cantus missus". La traduzione Cuccu (1997), che si vuole formale a costo di usare modi di dire e giri di frase poco sardi, dice invece: "Èsti sussédiu insàras chi in su mèntris fíanta po si cumplìri de su tóttu, is dísi de s'assunziòni Sùa, Íssu e tóttu, puru, hàdi intostàu sa cara po andài a Gerusalémmi. E hàdi mandàu deinàntis a sa facci Sùa, missus e, andendi, ... ". Non commentiamo qui tutte le differenti "scelte" di traduzione. Ricordiamo soltanto che la valutazione di una traduzione comporta una verifica su tre aspetti fondamentali: l'accuratezza (si traduce tutto senza aggiungere o togliere elementi di senso?), la chiarezza (si comunica davvero facilmente quello che l'autore intendeva comunicare?), la naturalezza (ci esprime in modo coerente con il modo di esprimersi della lingua di arrivo, qui il sardo?). Non ci interessa qui esprimere il nostro parere sulle diverse traduzioni affiancate. Siamo però convinti che il mettere a confronto diverse traduzioni permette una maggiore consapevolezza critica circa i problemi della traduzione e una crescita nel dibattito attuale sulla traduzione in sardo della Bibbia.

3) Teologia. Qui ci limitiamo a osservare che la solennità del greco di Luca mostra come l'autore è consapevole di iniziare qui una parte importante del suo racconto. Gli studiosi si trovano tutti d'accordo su questo punto, ma hanno invece pareri diversi su come poi Luca organizzi questo viaggio. Torneremo su questo aspetto nelle prossime domeniche. Qui ci limitiamo a suggerire, all'eventuale lettore "sabatico" che decidesse di leggere di seguito il racconto lucano del viaggio a Gerusalemme, di immaginare di essere in teatro ad assistere alle diverse scene. Ora in teatro (almeno da un punto di vista classico) le scene sono organizzate, a partire da Aristotele, in modo molto semplice, secondo il famoso principio di unità di tempo di luogo e di azione. Il lettore attento all'aspetto narrativo del vangelo farà dunque attenzione a notare quando nel testo cambia almeno uno di questi fattori: o lo spazio o il tempo o gli attori.
Nella pagina di oggi, inizia lo spazio del "cammino" che sarà menzionato poi diverse volte. Con la stranezza che dopo nove capitoli, in 17,11 Gesù si trova ancora praticamente nel medesimo luogo di adesso, tra la Samaria e la Galilea. È più importante oggi fare un'osservazion sugli attori: il racconto comincia con portare l'attenzione sugli ostacoli che si incontrano lungo la strada o per cominciare la strada. In realtà, ogni attacco assume un particolare significato per il seguito, e di fatto, la salita di Gesù verso Gerusalemme riceverà nel suo svolgersi una sua caratteristica drammatica sia dal rifiuto di chi non crederà sia dagli annunci della morte di Gesù e della distruzione di Gerusalemme. Se Gesù che entra a Gerusalemme (19,38) sarà acclamato "re" e se tutto il viaggio costituisce dunque una proclamazione del "regno"che viene con Gesù, il testo comincia con l'indicare al lettore a quali condizione potrà egli stesso entrare nel regno e seguire la via di Gesù.

Antonio Pinna

2) 

La settima parte del tempo: teologia ed economia alternative

CHE COSA E' UNO STILE DI VITA CAPACE DI FUTURO (SOSTENIBILE)?

dal rapporto di Gerhard  Scherhorn*

 

Proseguiamo una nostra riflessione su alcuni temi che ci sembrano basilari per formarsi delle proprie convinzioni nelle attuali discussioni attorno al  summit dei G8 e ai temi della globalizzazione. Noi li affrontiamo sullo sfondo delle conseguenze teologiche ed economiche implicate dalla affermazione biblica del "riposo sabatico". Portiamo oggi all'attenzione dei lettori parte di una relazione del Prof. Gerhard Scherhorn, del Wuppertal Institute, professore emerito dell'Università di Hohenheim. Il testo completo è disponibile su Internet a diversi indirizzi. Evidenziazioni nostre.

 

"Benessere", nella lingua tedesca, indicava prosperità e benessere (salute), assenza di necessità e convivenza pacifica in una comunità.

Solo nel ventesimo secolo la parola è stata legata al significato materiale, alla crescita e alla spesa di beni e servizi, al ben"avere" o, come si può anche dire, al "benessere di beni".

A partire dagli anni '60 viene via via riconosciuto, che questo restringimento non regge più.

Poiché porta con sé il fatto di credere ancora ad una crescita del benessere, nonostante la nuova produzione venga ottenuta attraverso danni all'ambiente, pericoli per la salute, peggioramento del clima sociale. Nei Paesi più industrializzati è proprio questo il caso: a partire dagli anni settanta il benessere netto non cresce più, nonostante il prodotto interno lordo cresca – crescono solo i costi sociali del benessere, i costi della produzione e del consumo scaricati sulla collettività.

Da una parte ci sono le spese "di riparazione", i costi del benessere che vengono pagati.

Essi vengono fatti, per riparare i danni che la produzione o il consumo di beni hanno provocato – danni alla salute, ai mezzi di trasporto (attraverso gli incidenti stradali), agli edifici (disastri creati dal cambiamento climatico), all'ambiente naturale, alle opere d'arte e ai monumenti che vengono erosi dalle piogge acide, all'acqua dei fiumi e dei mari, alle falde acquifere, al terreno coltivabile, all'atmosfera, al clima. Quello che viene speso per riparare questi danni, fa crescere sì il prodotto interno lordo, ma non il benessere, e diminuisce le chance di una vita futura. Nel migliore dei casi ripristina il livello di benessere che già si era precedentemente raggiunto.

Dall'altra ci sono i costi non pagati , cioè tutti quei danni che non vengono riparati, ma sopportati, ad esempio, l'urbanizzazione, l'allungamento della distanza dal luogo di lavoro, il traffico, lo smog estivo, il peggioramento dell'aria nelle città, l'inquinamento da rumore, lo stress, la diminuzione delle riserve di materie prime, ecc. Anche questi costi innalzano il prodotto interno lordo, perché il loro valore viene aggiunto al suo calcolo, anche se dovrebbe essere invece detratto, MA essi diminuiscono quello che rimane al reale benessere per le persone e alle chance di futuro.

Con l'aiuto dell'INDICE DI BENESSERE ECONOMICO SOSTENIBILE, elaborato da Cobb, è stato stimato in più paesi (USA; Germania, Inghilterra, Olanda, Austria, ecc) che i costi del benessere si sono sviluppati proporzionalmente al prodotto interno lordo. Il risultato complessivo è: la loro quota rispetto al prodotto lordo, negli stati industrializzati, è cresciuta sempre più e a partire dagli anni '70 sono cresciuti solo i costi del benessere, ma il benessere netto non più. Ciò sta ad indicare che la crescita del prodotto interno lordo significa solo distruzione aggiuntiva (e nel caso migliore recupero), ma ciò che aiuta il reale benessere degli uomini non può più essere accresciuto. Alexander Max-Neef lo ha espresso in un'ipotesi base: Da un certo livello di produzione in poi, non serve più l'ulteriore crescita del prodotto lordo, perché questo finisce interamente in costi per la collettività e quindi del futuro.

Da qui consegue una prima considerazione: Uno stile di vita può essere sostenibile solo se non viene ottenuto a spese della collettività.
Lo sforzo di innalzare il benessere materiale ha messo gli stati industrializzati in un vicolo cieco. Si recano da soli danno, e costringono i paesi del Sud a fare altrettanto e a potenziare i danni complessivi. Una riflessione sul concetto di "benessere" porterebbe fuori dal vicolo cieco.

Inoltre bisogna riconoscere che lo star bene include anche il giusto utilizzo di tempo e spazio.

BENESSERE di TEMPO si ha quando c'è tempo sufficiente non solo per il guadagno di denaro (lavoro retribuito) e per comprare, ma anche per le relazioni sociali, per la collaborazione ai compiti della società, per le attività creative, per gustare la natura e l'arte, per le attività fisiche e il riposo. Per tutto questo vengono utilizzati anche dei beni, ma non una quantità sempre maggiore di beni, altrimenti l'acquisto e l'uso dei questi assorbe le energie e la consapevolezza, e il tempo diventa poco. Benessere materiale e di tempo allo stesso tempo si può ottenere solo se si mantiene una certa misura nel desiderio di beni.

BENESSERE DI SPAZIO si ha quando c'è abbastanza spazio per respirare, passeggiare, viaggiare, giocare, abitare, e quando lo spazio è sano e salubre: aria, acqua e terreno liberi da sostanze dannose, rumore e desertificazione, abitazioni e strade non sono abbandonate né affollate, c'è spazio per giocare per i bambini, per gli adulti spazio per comunicare, c'è spazio per l'ambiente di esistere. Anche il benessere di spazio richiede beni, anch'esso è messo in pericolo se per la loro produzione e il loro consumo lo spazio vitale viene limitato.

*** [proseguimento al n. 27 di Vita Nostra]

Così possiamo formulare un secondo risultato:

Uno stile di vita è sostenibile solo se realizza allo stesso tempo benessere di beni, di tempo e di spazio. Questo è un problema di massimizzazione. La combinazione ottimale di benessere di beni, tempo e spazio si realizza solo ad un livello medio di benessere materiale.
Poiché l'accumulo di sempre più beni materiali (beni e servizi comprati) porta le persone ad aver bisogno di tempo e di spazio.

Noi abbiamo però bisogno di tempo libero e di uno spazio sano, per riconoscere che il senso del ben"essere" sta nei beni immateriali (attività decise da sé e piene di senso, relazioni sociali soddisfacenti e ricche di aiuto, conoscenze illuminanti e significative), che noi stessi produciamo, e abbiamo bisogno di tempo e di spazio per comportarci di conseguenza.

Se le cose stanno così, perché non ci limitiamo, ragionevolmente e sistematicamente, ad un livello medio di benessere materiale?

Perchè anche al di sopra di questo livello è possibile accrescere la qualità della vita attraverso un po' di più di beni, comperando tempo e spazio.

Chi ha molto denaro può pagare i servizi e vivere in riserve protette.

Tuttavia solo alcuni ricchi potrebbero essere ricchi a sufficienza per gustare un simile oligarchico stile di vita. E tuttavia questo stile di vita possono sognarlo tutti…

Questo sogno è allo stesso tempo il prodotto e la forza motrice della società industriale.

La maggior parte dei consumatori sognano una ricchezza e un comfort che non possono avere, poiché i modelli di consumo che vanno in giro per il mondo sostengono e rinforzano il sogno di uno stile di vita oligarchico.

Se la sua irrealizzabilità non è riconosciuta (e quando lo è viene rimossa), questo perpetua la produzione industriale e la rende distruttiva.

Nel nostro modello di consumo non siamo ancora arrivati alla democrazia, né per l'uguaglianza, né per la fratellanza, e di conseguenza neppure per la libertà, perché sogniamo ancora l'ascesa, il primato, i privilegi.

L'idea democratica sta all'opposto. Essa richiede che poco alla volta tutte le persone siano libere dalla necessità di beni e giungano a gustare il benessere di tempo e di spazio. Da uno stile di vita democratico non ci si può aspettare altro che un benessere materiale medio, anche se poi nella realtà ci sono alcune differenziazioni.

Il modello dello stile di vita oligarchico al contrario porta ad una società di privilegiati e di marginalizzati, che deve distruggere se stessa perché i favoriti non sono mai saturi (soddisfatti) e gli svantaggiati non possono essere liberati dalla necessità. La terza osservazione recita dunque:

E' sostenibile solo uno stile di vita democratico. Può avere forme diversificate. Non è livellante, poiché anche con una certa spesa in beni si può vivere con un proprio stile originale. Ma è fraterno, perché nessuno si arricchisce alle spalle di altri. E' solidale, perché si tiene conto dei bisogni degli altri. Ed è libero dalla dipendenza dai beni materiali, perché non si ha mai la sensazione pressante, che il proprio valore dipenda da essi e che non si deve spendere sempre di più solo perchè ci sono persone che hanno di più.
Un misurato benessere materiale significa più qualità della vita perché la rinuncia al desiderio di beni inutili ottimizza il benessere di tempo e di spazio. Per riconoscere che cosa è inutile, dobbiamo considerare realmente, ed evitare, i costi del benessere – la distruzione dell'ambiente, i pericoli per la salute, la limitazione dei beni immateriali attraverso l'eccesso di quelli materiali -. Per questo l'azione comune è necessaria. Creare e mantenere il benessere di spazio è un compito della collettività. Il clima e le risorse possiamo proteggerle solo insieme. Anche il benessere di tempo non si può accrescere con l'azione individuale, quando gli altri insistono nell'accumulo di sempre più beni. Anche solo per accorciare l'orario di lavoro è necessario il consenso della ditta e dei colleghi. In ogni caso è perlomeno necessaria la consapevolezza della collaborazione con gli altri e spesso anche l'esperienza dell'agire insieme. Senza comunità il singolo può solo "scendere", ma questo implicherebbe una rinuncia ai beni e alle risorse in quantità tale che solo a pochi sarebbe possibile.

Questa è allora la quarta considerazione:

Stili di vita sostenibili non sono solo privati. Essi concernono il pensare e l'agire insieme.
Qui sta un grosso ostacolo, poiché la disponibilità ad agire collettivamente è stata scoraggiata ampiamente dai sistemi di socializzazione delle società industriali. Fino al primo medioevo è stata sempre presente. Poiché le relazioni di proprietà e di produzione non impedivano a nessuno di usare le terre incolte, anche quando esse appartenevano al re, ad un altro signore o alle istituzioni ecclesiastiche.

"I boschi e i pascoli erano così abbondanti che in un modo o nell'altro tutti potevano accedervi" (Massimo Montanari, La fame e l'abbondanza, Roma 1993, capitolo 1, paragrafo 6).

Poi però vennero privatizzati dai proprietari terrieri, e il pensiero della proprietà collettiva – soprattutto la preoccupazione per la natura come bene collettivo - andò perso.

Ma la capacità di "essere insieme" (con le persone, con la natura) – e il bisogno di essere insieme- è innato negli esseri umani, quindi anche il sentimento di comunità può essere nuovamente scoperto. "Per un appartenente del nostro modo di vivere in società la punizione peggiore è l'isolamento" si dice in medicina (Randolph M. Nesse & George Wiliams, Perché ci ammaliamo, Monaco 1997).

Naturalmente non esiste "lo" stile di vita sostenibile. Esso può invece avere molte forme. Ma esse hanno alcuni elementi comuni. Non può essere diversamente. Poiché l'ottimizzazione di benessere di tempo – spazio e beni significa una certa misura nel desiderio di beni, quindi presuppone che esista la sazietà. La tendenza della società industriale è di negare la sazietà dei bisogni materiali. Questo viene notoriamente raggiunto, in modo tale che i consumatori vengono distolti dal chiedersi prima di un acquisto "mi serve veramente questa cosa?". Noi dimentichiamo questa domanda quando compriamo beni nella inconsapevole speranza di compensare con essi un bisogno immateriale.

I bisogni immateriali di fondo degli uomini sono il bisogno di competenza, di appartenenza (comunanza, essere insieme) e di senso. Ad essi non viene data risposta nella società industriale, e dietro questa mancanza c'è una logica, poiché la conseguenza è che compriamo più beni di quelli di cui abbiamo davvero bisogno.

 

*** continua nel n 28 ***

Se vogliamo evitare questo, dobbiamo assicurarci che i bisogni immateriali vengano soddisfatti. Perciò la quinta osservazione:

Gli stili di vita sostenibili possono essere molto diversi, ma si basano su elementi che sono orientati al bisogni di competenza, appartenenza e senso.

Competenza significa occuparsi dell'ambiente naturale e sociale autonomamente, in maniera creativa ed efficace. Da questo bisogno nasce il desiderio di essere protagonisti del proprio agire; esercitare delle attività che valorizzano le proprie capacità, che si ritengono interessanti e importanti; esplorare il proprio ambiente; risolvere i problemi attraverso la propria personale riflessione e azione; sentire il proprio corpo; fare qualcosa con le proprie mani; produrre o riparare beni da sé; essere attivi artigianalmente o artisticamente; gustare la professionalità e l'arte…

Appartenenza significa sentire il legame interiore con l'umanità e la natura e provarne gioia. Da questo bisogno nasce la disponibilità ad aiutare, l'esperienza di amore per la natura, la protezione dell'ambiente, l'impegno di gruppi ambientalisti contro la distruzione ambientale, la responsabilità per le generazioni future e il legame con le passate generazioni, il desiderio di un commercio giusto, la difesa dei consumatori, la difesa dei pazienti…

Senso significa provare che il proprio esistere è far riferimento a qualcosa che non è se stessi, ma un legame più alto, un compito più grande.

Questo bisogno richiama il desiderio di esercitare la giustizia, trasmettere la vita e le conoscenze, gestire responsabilmente e sobriamente le proprie energie vitali (Joe Dominguez & Vicky Robin, La borsa o la vita, New York 1992).

Se si prende tutto questo insieme, diventa chiaro, che stili di vita sostenibili non possono rimanere limitati ad una dimensione privata. Anche se è del tutto normale che sia in questa dimensione che inizia il cambiamento della vita, sarebbe senza senso che lì rimanesse.

Capace di futuro (sostenibile) non deve essere solo la vita privata, ma anche la professione e la politica. Se noi abbiamo iniziato nella nostra piccola cerchia, non dovremmo mancare di allargare sempre il cerchio.

Questo significa anche nel senso contrario, che è ragionevole iniziare dal poco, non pretendere troppo da sé subito, ma all'inizio proporsi un obiettivo e raggiungerlo. Anche quando sembra piccolo. Solo quando lo avremo consolidato, seguiranno i passi successivi, quando sarà giunto il loro tempo.

PS. Il Prof. Gerhard Scherhorn è responsabile della sezione "Nuovi stili di benessere" dell’Istituto di Wuppertal in Germania. Collabora con i Bilanci di Giustizia per il monitoraggio sulla qualità della vita delle famiglie aderenti all’operazione. Nei prossimi numeri di Vita Nostra, proseguendo sulla scia dell'ultima osservazione della relazione, passeremo ad illustrare le iniziative dei Bilanci di Giustizia e del Consumo critico.

(a cura di Antonio Pinna)

*Gerhard Scherhorn è responsabile della sezione "Nuovi stili di benessere" dell’Istituto di Wuppertal in Germania. Collabora con i Bilanci di Giustizia per il monitoraggio sulla qualità della vita delle famiglie aderenti all’operazione.

A cura di Bilanci di Giustizia. Per informazioni: tel. 041-5381479, lunedì-martedì-giovedì dalle 15.00 alle 19.00;