©Vita Nostra 2001, anno 41, n. 27, domenica 1 luglio 2001, p. 6

© Vangelo di Luca 2001. Traduzione in sardo campidanese, variante del Sarcidano isilese, 
di Antioco e Paolo Ghiani. Consulenza esegetica di Antonio Pinna.
Proposta di traduzione di Paolo Ghiani con osservazioni di Antonio Pinna e di Antioco Ghiani.

 

1) 

Lc 10,1-20 (Domenica 8 luglio)
Andendi andendi

1 Apustis de custas cosas, su Sinniori at sceberau atrus settantaduus {alcuni manoscritti: settanta} iscientis e ddus at mandaus a duus a duus ananti suu a dònnia citadi e logu a innui fiat andendi.
2 E ddis naràt: "Su leori est meda, ma is messaius pagus, pregai duncas su meri de su leori chi pongiat messaius in su leori suu.
3 Baxi: mirai, deu si mandu comenti angionis in mesu de lupus.
4 No ingollais bussa, né bèrtula, né atrus sandullus e in sa bia non si stenteis a saludai e a annovai a nemus.
5 A cali si siat domu chi andeis a bivi, innantis innantis narai: Salludi e paxi a is de icusta domu.
6 Chi innì ddu'at unu fillu de paxi, sa paxi chi dd'eis auguriau at a abarrai cun issu, ndichinò si nd'at a torrai e at a abarrai cun bosatrus.
7 Abarrai duncas in cussa domu bivendisì de su chi si donant, ca a chini treballat ddi dexit sa paga sua. No andeis de domu in domu.
8 E candu intrais a una citadi e s'arricint, papai de su chi s'ant a ponniri ananti,
9 e sanai is chi ddui funt malaidus e naraiddis: Est lòmpiu acanta de bosatrus s'arrenniu de Deus.
10 Ma candu intrais a una citadi e non s'arricint, besseinci a is pratzas insoru e narai:
11 Fintzas e su pruinu de sa citadi de bosatrus chi s'est apicigau a peis nci ddu scutulaus a bosatrus e totu. Ma depeis isciri ca s'arrenniu de Deus est acanta.
12 Si nau ca, in sa dì de su giudìtziu, Sodoma at a podiri aguantai prus chi non cussa citadi.

13 Ohi! Tui, Corazin. Ohi! Tui, Betsaida.
Poita ca chi in Tiro e in Sidoni fiant sussedias is operas poderosas chi funt sussedias in mesu de bosatrus, giai de tempus meda iant ari furriau de pentzamentu, bestius cun arroba de sacu e sterrius in su cinisu.
14 Po cussu, in su giuditziu, Tiro e Sidoni ant a podiri aguantai prus de bosatrus.
15 E a tui Cafarnau,
fintzas a celu ti nci ant a artzai?
Fintzas a s'inferru ti nci ant a abasciai.


16 A chini ascurtat a bosatrus ascurtat a mimi, e a chini minuspretziat a bosatrus minuspretziat a mimi".

17 Is settantaduus fiant torraus cun prexu, narendi: "Sinniori, fintzas e is dimonius s'abarrant a sa suta candu fadeus su nomini tuu".
18 E issu ddis at nau: "Deu bia s'aremigu arruendindi de su celu comenti unu lampu.
19 Ca deu s'apu donau sa fortza de apetigai colorus e scrapionis, e donnia frotza de su nimigu, e nudda s'at a noxi.
20 Ma non si ndi prexeis ca is ispiritus si ponint a sa sutta de bosatrus, prexaisindi prus a prestu ca is nominis de bosatrus funt iscritus in is celus".

 

2)

La settima parte del tempo: teologia ed economia alternative

CHE COSA E' UNO STILE DI VITA CAPACE DI FUTURO (SOSTENIBILE)?

dal rapporto di Gerhard  Scherhorn* - parte II

 

Proseguiamo una nostra riflessione su alcuni temi che ci sembrano basilari per formarsi delle proprie convinzioni nelle attuali discussioni attorno al  summit dei G8 e ai temi della globalizzazione. Noi li affrontiamo sullo sfondo delle conseguenze teologiche ed economiche implicate dalla affermazione biblica del "riposo sabatico". Riportiamo oggi una seconda parte della relazione del Prof. Gerhard Scherhorn, che abbiamo iniziato a presentare la settimana scorsa. Il testo completo è disponibile su Internet a diversi indirizzi. Evidenziazioni nostre.

 

Così possiamo formulare un secondo risultato:

Uno stile di vita è sostenibile solo se realizza allo stesso tempo benessere di beni, di tempo e di spazio. Questo è un problema di massimizzazione. La combinazione ottimale di benessere di beni, tempo e spazio si realizza solo ad un livello medio di benessere materiale.
Poiché l'accumulo di sempre più beni materiali (beni e servizi comprati) porta le persone ad aver bisogno di tempo e di spazio.

Noi abbiamo però bisogno di tempo libero e di uno spazio sano, per riconoscere che il senso del ben"essere" sta nei beni immateriali (attività decise da sé e piene di senso, relazioni sociali soddisfacenti e ricche di aiuto, conoscenze illuminanti e significative), che noi stessi produciamo, e abbiamo bisogno di tempo e di spazio per comportarci di conseguenza.

Se le cose stanno così, perché non ci limitiamo, ragionevolmente e sistematicamente, ad un livello medio di benessere materiale?

Perchè anche al di sopra di questo livello è possibile accrescere la qualità della vita attraverso un po' di più di beni, comperando tempo e spazio.

Chi ha molto denaro può pagare i servizi e vivere in riserve protette.

Tuttavia solo alcuni ricchi potrebbero essere ricchi a sufficienza per gustare un simile oligarchico stile di vita. E tuttavia questo stile di vita possono sognarlo tutti…

Questo sogno è allo stesso tempo il prodotto e la forza motrice della società industriale.

La maggior parte dei consumatori sognano una ricchezza e un comfort che non possono avere, poiché i modelli di consumo che vanno in giro per il mondo sostengono e rinforzano il sogno di uno stile di vita oligarchico.

Se la sua irrealizzabilità non è riconosciuta (e quando lo è viene rimossa), questo perpetua la produzione industriale e la rende distruttiva.

Nel nostro modello di consumo non siamo ancora arrivati alla democrazia, né per l'uguaglianza, né per la fratellanza, e di conseguenza neppure per la libertà, perché sogniamo ancora l'ascesa, il primato, i privilegi.

L'idea democratica sta all'opposto. Essa richiede che poco alla volta tutte le persone siano libere dalla necessità di beni e giungano a gustare il benessere di tempo e di spazio. Da uno stile di vita democratico non ci si può aspettare altro che un benessere materiale medio, anche se poi nella realtà ci sono alcune differenziazioni.

Il modello dello stile di vita oligarchico al contrario porta ad una società di privilegiati e di marginalizzati, che deve distruggere se stessa perché i favoriti non sono mai saturi (soddisfatti) e gli svantaggiati non possono essere liberati dalla necessità. La terza osservazione recita dunque:

E' sostenibile solo uno stile di vita democratico. Può avere forme diversificate. Non è livellante, poiché anche con una certa spesa in beni si può vivere con un proprio stile originale. Ma è fraterno, perché nessuno si arricchisce alle spalle di altri. E' solidale, perché si tiene conto dei bisogni degli altri. Ed è libero dalla dipendenza dai beni materiali, perché non si ha mai la sensazione pressante, che il proprio valore dipenda da essi e che non si deve spendere sempre di più solo perchè ci sono persone che hanno di più.
Un misurato benessere materiale significa più qualità della vita perché la rinuncia al desiderio di beni inutili ottimizza il benessere di tempo e di spazio. Per riconoscere che cosa è inutile, dobbiamo considerare realmente, ed evitare, i costi del benessere – la distruzione dell'ambiente, i pericoli per la salute, la limitazione dei beni immateriali attraverso l'eccesso di quelli materiali -. Per questo l'azione comune è necessaria. Creare e mantenere il benessere di spazio è un compito della collettività. Il clima e le risorse possiamo proteggerle solo insieme. Anche il benessere di tempo non si può accrescere con l'azione individuale, quando gli altri insistono nell'accumulo di sempre più beni. Anche solo per accorciare l'orario di lavoro è necessario il consenso della ditta e dei colleghi. In ogni caso è perlomeno necessaria la consapevolezza della collaborazione con gli altri e spesso anche l'esperienza dell'agire insieme. Senza comunità il singolo può solo "scendere", ma questo implicherebbe una rinuncia ai beni e alle risorse in quantità tale che solo a pochi sarebbe possibile.

Questa è allora la quarta considerazione:

Stili di vita sostenibili non sono solo privati. Essi concernono il pensare e l'agire insieme.
Qui sta un grosso ostacolo, poiché la disponibilità ad agire collettivamente è stata scoraggiata ampiamente dai sistemi di socializzazione delle società industriali. Fino al primo medioevo è stata sempre presente. Poiché le relazioni di proprietà e di produzione non impedivano a nessuno di usare le terre incolte, anche quando esse appartenevano al re, ad un altro signore o alle istituzioni ecclesiastiche.

"I boschi e i pascoli erano così abbondanti che in un modo o nell'altro tutti potevano accedervi" (Massimo Montanari, La fame e l'abbondanza, Roma 1993, capitolo 1, paragrafo 6).

Poi però vennero privatizzati dai proprietari terrieri, e il pensiero della proprietà collettiva – soprattutto la preoccupazione per la natura come bene collettivo - andò perso.

Ma la capacità di "essere insieme" (con le persone, con la natura) – e il bisogno di essere insieme- è innato negli esseri umani, quindi anche il sentimento di comunità può essere nuovamente scoperto. "Per un appartenente del nostro modo di vivere in società la punizione peggiore è l'isolamento" si dice in medicina (Randolph M. Nesse & George Wiliams, Perché ci ammaliamo, Monaco 1997).

Naturalmente non esiste "lo" stile di vita sostenibile. Esso può invece avere molte forme. Ma esse hanno alcuni elementi comuni. Non può essere diversamente. Poiché l'ottimizzazione di benessere di tempo – spazio e beni significa una certa misura nel desiderio di beni, quindi presuppone che esista la sazietà. La tendenza della società industriale è di negare la sazietà dei bisogni materiali. Questo viene notoriamente raggiunto, in modo tale che i consumatori vengono distolti dal chiedersi prima di un acquisto "mi serve veramente questa cosa?". Noi dimentichiamo questa domanda quando compriamo beni nella inconsapevole speranza di compensare con essi un bisogno immateriale.

I bisogni immateriali di fondo degli uomini sono il bisogno di competenza, di appartenenza (comunanza, essere insieme) e di senso. Ad essi non viene data risposta nella società industriale, e dietro questa mancanza c'è una logica, poiché la conseguenza è che compriamo più beni di quelli di cui abbiamo davvero bisogno.

(continua nel n. 28)

 

*Gerhard Scherhorn è responsabile della sezione "Nuovi stili di benessere" dell’Istituto di Wuppertal in Germania. Collabora con i Bilanci di Giustizia per il monitoraggio sulla qualità della vita delle famiglie aderenti all’operazione.

A cura di Bilanci di Giustizia. Per informazioni: tel. 041-5381479, lunedì-martedì-giovedì dalle 15.00 alle 19.00;