©Vita Nostra 2001, anno 41, n.   domenica

In questo numero: p. 6

1) Lc 21,1-19

2) L'insegnamento recente del Magistero sulla "guerra giusta" di Stefano Pilia

1) Lc 21,1-19


1 E Gesus si fut postu a castiai, e at biu is chi nci poniant is ofertas insoru in s’aposentu de is orarias, e fiant arricus.
2 Ma at biu puru, una fiuda abbisongiosa getendinci duus soddus,
3 e at nau: "Deaderus, si ddu nau dèu: sa fiuda, custa pobora, nci at getau prus de totus.
4 Ca totus po ponni in s'oferta ant pigau de cussu chi teniant in prus, issa po contras, at pigau de su pagu chi teniat, at postu totu su beni chi teniat.

5 E in s'interis chi unuscantus fueddànt de su tempru, comenti fiat cuncordau cun totu sa petzeria bella e cun is donus fatus po impromissa, at nau:
6 "Totu custas cosas chi bieis, at a lompiri sa di chi no ant a lassai perda in pitzus de perda chi non nd’at èssiri sciusciada".
7 Aici dd'ant fatu custa pregonta narendiddi: "Su maistu, candu duncas ant a èssiri custas cosas e cali su sinnali candu custas cosas funt po sussèdiri?".


8 E at nau: "Castiai de non si fai cullunai , ca medas ant a benniri a nòmini miu, narendi: "Seu deu", e, "Su tempus est acostendi"; non sodigheis infatu insoru.

9 E candu eis a intèndiri de gherras e de rivolutzionis, non si sprameis, ca innantis depint sussediri custas cosas, ma no at a èssiri illuegu s'acabu".
10 Tandus ddis naràt: "S'at a pesai una genti contras a s'atra e un’arrènniu contras a s'atru
11 e nci at ari terremotus mannus e a logus famini e pestas, nci at ari spantus e de su celu sinnalis mannus.
12 Ma innantis de totu custas cosas ant a cicai de si cassai e s'ant a ponni in fatu e s'ant a intregai a is sinagogas e a is presonis, e si nd'ant a ingolliri ananti de urreis e guvernadoris po mori de su nòmini miu.
13 (Aìci) eis a tenniri manera de fai a testimongius.
14 Poneisì duncas in coru de non s'aprontai innantis (su de nai) po si difendiri.
15 Deu s'ap’a donai fueddus e sabiori chi totus
is nemigus de bosatrus no ant a podiri arresistiri e contrannarri.
16 E fintzas e is babbus e is mamas de bosatrus e totu, e fradis e parentis e amigus s'ant a intregai a genti chi nd'at a fai morri unuscantus de bosatrus.
17 E totus s'ant a tirriai po mori de su nòmini miu.
18 Ma nemancu unu pilu de sa conca de bosatrus s'at a perdiri.
19 Ma bosatrus abarrai firmus e s'eis a salvai.

 

2) L'insegnamento recente del Magistero sulla "guerra giusta"

di Stefano Pilia

 

A iniziare da Benedetto XV e dai suoi numerosi interventi durante il primo conflitto mondiale, continuando con Pio XII e la drammatica evoluzione del secondo conflitto, i temi della pace e della giustizia sociale diventano sempre più ricorrenti nel magistero di tutti i pontefici.

Forse una prima svolta si può intravedere negli interventi di Pio XII, soprattutto nella presa di coscienza che la guerra atomica, batteriologica e chimica avrebbe innescato un meccanismo di autodistruzione dell’umanità: “Non ci sarà alcun grido di vittoria, ma solo l’inconsolabile pianto dell’umanità, che desolatamente contemplerà la catastrofe causata dalla follia” (Messaggio natalizio, 1955).

Lo stesso concetto tradizionale di “legittima difesa” incomincia ad essere “rivisitato”, soprattutto considerando il potenziale bellico di certi Stati: “Quando tuttavia l’uso di questi mezzi comporta tale estensione del male che sfugge interamente al controllo dell’uomo, la sua utilizzazione deve essere rigettata come immorale” (Allocuzione del 30/9/1954).

Un altro decisivo passo in avanti è stato fatto da Giovanni XXIII; conclusasi la seconda guerra mondiale la chiesa si trovò in una situazione totalmente nuova; in particolare, in una fase di pace e di ricostruzione oramai attuata, veniva a maturare il concetto di “interdipendenza” fra i popoli e le nazioni ed emergevano con drammatica chiarezza le insopportabili diseguaglianze fra Nord e Sud del mondo. Nella Mater et Magistra (1961) e specialmente nella Pacem in terris (1963), dinanzi ai pericoli di una nuova guerra nucleare, dopo essere intervenuto con un memorabile messaggio ai popoli e ai capi di Stato, di fronte ad una gravissima crisi internazionale, il “papa buono” esorta a costruire la pace fondata sul rispetto  delle esigenze etiche che devono presiedere alle relazioni fondamentali fra gli uomini e gli Stati.

Nell’enciclica Pacem in terris si stigmatizza prima di tutto ”l’equilibrio del terrore” fondato sulla corsa agli armamenti “Ci è pure doloroso costatare come nelle comunità politiche economicamente più sviluppate si siano creati e si continuino a creare armamenti giganteschi; […] Gli armamenti, come è noto, si sogliono giustificare adducendo il motivo che se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sull’equilibrio delle forze. Quindi se una comunità politica si arma, le altre comunità politiche devono tenere il passo ed armarsi esse pure” (n° 59). E si promuove il disarmo come autentico passo verso la pace: “ […] che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito (n° 61).

È il Vaticano II che opera la terza e fondamentale svolta relativamente al problema della pace: in esso non si parla più di “guerra giusta”, ma, tale principio, è sostituito dal criterio etico, certamente più ristretto ed esigente, che è la “legittima difesa”; secondo la Tradizione della chiesa essa deve rispondere a tre condizioni:

 

1.      che ci sia un’aggressione violenta, fisica, in atto,

2.      che si faccia solo il minimo indispensabile per impedire il danno fisico incombente;

3.      che non si arrechi un danno maggiore del bene che si vuole difendere, anche se ciò fosse indispensabile per difendersi.

 

                   Il testo della Gaudium et spes che introduce tale concetto è il n° 79. In tale contesto il principio di legittima difesa tiene conto della responsabilità che si assumono i capi di Stato di difendere i diritti dei popoli loro affidati: “La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. Fintantoché esisterà il pericolo della guerra  e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati” […]. Ma a questo punto c’è una decisa chiarificazione: “[…] altra cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni […].

È evidente che in questo pronunciamento viene applicato il principio tradizionale della legittima difesa al pericolo di una guerra moderna; di conseguenza è esclusa ogni azione bellica che sia “vendicativa”, che sia pura rappresaglia; inoltre, è esclusa ogni azione militare che non sia strettamente necessaria alla difesa.

Ma, ed è questo il cuore del problema, è al n° 80 che viene esplicitato inequivocabilmente il terzo criterio della legittima difesa in base a due affermazioni.

Prima di tutto il fatto che le armi non convenzionali producono degli effetti che non possono essere ricondotti alla terza condizione che motiva la legittima difesa: “le azioni militari, infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni immani e indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga i limiti di una legittima difesa”; di conseguenza, neanche se fosse l’unico mezzo disponibile, l’uso delle armi nucleari non è mai lecito, neppure di fronte ad un aggressione atomica in atto. Alla presenza di un chiaro conflitto di valori, il bene comune della famiglia umana prevale sul bene di uno Stato; in altre parole, l’uso di tali armi, è sempre moralmente illecito.

In secondo luogo, e qui il linguaggio dei Padri conciliari diventa grave e autorevole, “Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità  e va condannata con fermezza e senza esitazione”.

Oltre a quanto esposto il Concilio dichiara che “la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità” (n°81) e ribadisce la necessità di istituire una autorità pubblica universale che garantisca reale sicurezza a tutti i popoli (n°82; 83-90).

Anche Paolo VI, in molte occasioni e specialmente nell'enciclica Populorum progressio del 1967, riprende il tema della pace e richiama tutti i governanti, ammonendoli che soprattutto «le diseguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e disordini e mettono in pericolo la pace (n° 76), dichiarando che solo uno sviluppo ordinato di tutti i popoli, nella collaborazione internazionale, è l'unica strada che conduce alla pace. Alla luce di questo documento papa Montini ha indetto una «giornata mondiale della pace», da celebrare il primo giorno dell'anno. Paolo VI, allo scopo di approfondire lo studio dei problemi della pace e della giustizia, istituì anche, prima in via sperimentale nel 1967 e poi in via definitiva nel 1976, la Commissione pontificia «Iustitia et pax», che ha elaborato e presentato alcuni documenti in proposito.

Giovanni Paolo II a sua volta ha proseguito su questa strada con i messaggi annuali per la giornata mondiale della pace ed in occasione del ventesimo anniversario della Populorum progressio quando ha emanato nel 1988 l'enciclica Sollicitudo rei socialis che riprende il tema della necessità di un vero sviluppo dei popoli. Nella tensione che viene a crearsi, il papa denuncia un grave pericolo per la pace mondiale.

Nel 1991, nell'enciclica Centesimus annus, riafferma questo concetto (n° 52b); oltre a ciò, dichiara che la vera pace non può mai essere concepita come il frutto di una vittoria militare (n° 18a). Guardando all'Europa e ai Paesi del Terzo Mondo, l'enciclica constata che per molti anni in Europa si è avuta una situazione di non-guerra più che di autentica pace e che la precarietà della pace nei Paesi del Terzo Mondo ha determinato in essi il fenomeno della militarizzazione (n°18c). Il papa infine illustra il ruolo importante delle grandi religioni del mondo per la pace e per una società degna dell'uomo (n° 60b).

Sui mezzi per assicurare la pace così si esprime, al n° 2304, il Catechismo della Chiesa cattolica (1992): “La pace non è la semplice assenza della guerra e non può ridursi ad assicurare l'equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l'assidua pratica della fratellanza. È la "tranquillità dell'ordine". È frutto della giustizia ed effetto della carità”.

Alla luce degli avvenimenti dell’11 settembre 2001, per quanto i mass-media continuino a parlare di uno scenario drammaticamente “nuovo”, ci rendiamo conto che troppi problemi sono stati disattesi e una grande fetta di umanità rimane sofferente e ai limiti della dignità umana e civile; tale situazione può, fatalmente, alimentare reazioni violente ed estreme, soprattutto da parte di chi non ha più niente da perdere ed è facile preda dei “paladini del riscatto” a tutti i costi.

 

Stefano Pilia

Docente di Morale presso l'ISR di Oristano