©Vita Nostra 2001, anno 41, n. 44    domenica 02 dicembre
 

In questo numero: p. 6

 

1) Mt 3,1-12 Bentu e fogu. Inizia la traduzione in Logudorese di Socrate Seu.

 

2) Tuvone su Melchiorre Dore / 3
 

 

 

1) Mt 3,1-12

Traduzione in campidanese di Ghiani Antioco e Ghiani Paolo:

 

Ghiani 2

1 In cussas dis, in su desertu de sa Giudea si presentat Giuanni su Batista predichendi

2 e narendi: "Furriai de pentzamentu, ca est po lòmpiri s'arrènniu de iDeus".

3 Ca est de issu chi at fueddau su profeta Isaia, narendi:

Boxi de unu chi tzerriat in su desertu,
aprontai sa bia de su Sennori,
aderetzaiddi is moris.


4 E issu, Giuanni, portàt sa besti de pilu de camellu e una cintroxa de peddi in lumbus e su papari cosa sua fiat pibitziris e meli aresti.

5 Tandus suncurriat anca fut issu totu sa Giudea e totus is chi fiant de is logus a fùrriu de su Giordanu, 

6 e si faiant batiai de issu in s'arriu Giordanu arreconoscendi is pecaus insoru.

7 E issu candu at biu Fariseus e Sadduceus medas andendi a su bàtiu suu ddis at nau: "Arratza de piberas! Chini s'at amostau a si fuiri de s'ira chi est po ndi benni?

8 Fadei biri, duncas, ca eis furriau de pentzamentu.

9 E non si cretais chi si siat bastanti a nai: po babbu teneus a Abramu! Si nau ca Deus ndi podit pesai a Abramu de icustas perdas.


10 Sa seguri est getada giai a s'arraixini de is matas: dònnia mata, duncas, chi non fai frutu bellu ndi dda segant e nci dda getant a su fogu.
11 Candu deu si batiu cun acua, est ca podeis furriai de pentzamentu, ma su chi benit apustis miu est prus forti de mimi e deu non seu bonu mancu a nci dd' aporriri is sandullus; candu s'at a batiai issu e totu, at essi cun bentu (de Deus) e fogu.
12 Ca su trebutzu de bentulai issu ddu portat giai in manus e at a illimpiai s'axrola sua e at a incungiai su trigu suu in su staulu suu; ma sa palla dd'at a abbruxai cun fogu chi non si nd'istudat (nemus ndi podit studai).
 

 

Traduzione in logudorese di Socrate Seu



Mt 3,1 In cussas dies in su desertu de Giuda si presentat Giuanne su Batista preighendhe,

Mt 3,2 e nerzendhe: "Cunvertide-bos, su regnu 'e sos chelos difatis est giai acurtzu".

Mt 3, 3 Difatis est custu su ch'est istadu annuntziadu pro mesu 'e Isaìa su profeta, chi narat:
 

"Boghe de unu giuilendhe in su desertu:
"Aprontade sa 'ia 'e su Segnore,
faghide 'eretos sos caminos suos".

Mt 3,4 Isse, Giuanne, giughìat sa 'este de pilu 'e cammellu e inghiriada a sos lumbos suos una tzinta 'e peddhe; su mandhigu sou fit tilipirches e mele areste.

Mt 3,5 Tandho acurrìan a isse dae Gerusalemme e dae totu sa Giudea e dae totu sa leada a inghìriu 'e su Giordanu,

Mt 3,6 e si faghìan batizare dae isse in su riu Giordanu, cunfessendhe sos pecados issoro.

Mt 3,7 Assora, idendhe medas de sos Fariseos e de sos Sadduceos chi 'enìan a su batizu sou, lis nerzèit: "Erentzia 'e pìberas, chie bos at insinzadu a fuire dae s'aìru ch'est acanta a benner?

Mt 3,8 Faghide duncas frutu chi siat proa de sa cunversione ,

Mt 3,9 e no pessedas chi siat bastante 'e narrer intro 'e 'ois etotu: "Pro babbu tenimus a Abramu". Difatis bos naro chi Deus ndhe podet pesare fizos a Abramu dae custas pedras.

Mt 3,10 Giai sa 'istrale s'agatat afaca a sa raighina 'e s'àlvure; donzi àlvure duncas chi no faghet bonu frutu ndh'est segada e ch'est betada in su fogu.

Mt 3,11 Eo bos batizo in abba pro sa cunversione, ma su chi 'enit pustis de a mie est prus forte 'e me et eo no so dignu de che li porrire sos sàndhalos; isse etotu bos at a batizare in bentu 'e Deus e in fogu.

Mt 3,12 Giai sa pala est in manos suas e at a innetare 'e su totu s'arzola sua e incunzare su trigu sou in su granale, ma sa paza at a brujare in fogu chi no istudat. 
 

2) Tuvone su Melchiorre Dore / 3

 

Frade bos fia e bos dep'esser frade

 

In questi ultimi tempi lo studio della Sacra Scrittura si è molto evoluto, con il conseguente moltiplicarsi di metodi scientifici. Fino a qualche decennio fa, il metodo storico – critico (che pone maggiormente l’accento su quello che è il linguaggio umano), ha prevalso. Ma qualunque sia la sua validità, il metodo storico - critico non può avere la pretesa di essere sufficiente per tutto. Esso lascia necessariamente nell’ombra numerosi aspetti degli scritti che studia (Cfr. L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, n° 36).

Attualmente vengono proposti altri metodi e approcci, per approfondire anche altri aspetti. Tra questi ritroviamo quello dell’analisi narrativa che si concentra sul modo in cui la storia viene raccontata, la esamina nel suo evolversi. Per l’esegesi della Bibbia, questo tipo di analisi può risultare molto utile visto che corrisponde alla natura narrativa di un gran numero di testi biblici (Cfr. Ivi, n° 42).

Probabilmente Melchiorre Dore, nello scrivere Sa Gerusalemme Vittoriosa, aveva intuito alcuni di questi parametri dell’analisi narrativa, utili per estrapolare, dai racconti della Bibbia, il messaggio divino. 

Un racconto è costituito da sequenze: una sequenza correlativa iniziale e una sequenza correlativa finale. Correlativa perché quella iniziale, richiede sempre, un’altra sequenza, quella finale, la quale risolverà i problemi della iniziale. Nella sequenza iniziale si manifesta la rottura di un ordine, quest’ordine verrà ristabilito nella sequenza finale. Tra le due vi è lo svolgersi di varie sequenze denominate, dalla narratologia, topiche.

Ciò che qui voglio mettere in evidenza è come il can. Melchiorre Dore, nel tradurre la Sacra Scrittura in poesia logudorese, abbia prestato attenzione a questa divisione delle sequenze sopra presentata.

Se prendiamo il tema della fratellanza come filo di Arianna della nostra storia, possiamo stabilire due quadri:

Ø      Cap. 37 – 41: rottura dell’ordine iniziale, la famiglia di Giacobbe si divide con successivi isolamento ed esaltazione di Giuseppe.

Ø      Cap. 42 – 50: sottomissione dei fratelli, riconciliazione e restituzione dell’unita familiare.

Il tema della fratellanza, rientra in quello che è il messaggio divino contenuto nel racconto, considerata anche l’importanza che questo ha nella mentalità semitica, fortemente legata alle genealogie e, nel caso specifico, al ruolo dei dodici figli di Giacobbe che diventeranno le dodici tribù di Israele.

Il poeta sardo, sembra cogliere questi aspetti in profondità. Una lettura attenta della sua opera mostra come egli nel tradurre la Bibbia abbia seguito questi parametri. Con l’ottantunesima ottava inizia la storia della famigli di Giacobbe. Le ottave precedenti hanno cantato il formarsi di questa famiglia. Subito l’autore all’inizio del racconto della storia di Giuseppe pone queste parole:

                                                                              Zuseppe, amadu fizu de Israele,

                                                                              est pius dae sos frades istimadu,

  ca fit fizu naschidu dae Rachele,

                                                                              s'abbizzat chi sos frades an mancadu

                                                                              e comente a su babbu fit fidele

                                                                              sas mancanzias tottu at accusadu;

                                                                              contat sas visiones chi s'at bidu

  ed est dae sos frades persighidu.

               

            Melchiorre Dore tende subito a rimarcare, l’ordine iniziale che si rompe. In questa ottava sono, quindi, contenuti i motivi della discordia tra Giuseppe e i suoi fratelli (predilezione di Giacobbe per Giuseppe, l’accusa dei fratelli di fronte al padre, le visioni).

            Dopo aver narrato le molteplici vicissitudini che seguirono a questa rottura iniziale, (vendita di Giuseppe, arrivo in Egitto, interpretazione dei sogni, carestia, ecc…), Melchiorre Dore crea un ottava in cui narra la ricomposizione dell’ordine iniziale, è lo fa con una espressione che, a parer mio, è fortissima. Il poeta pone sulla bocca di Giuseppe queste parole:

                                               Zuseppe so, su chi hazis cumerzadu

                                                                              Cun su modu piùs barbaru e tirannu!

                                                                              Benide tottus e tottus m’abbrazade,

                                                                              frade bos fia, e bos depp’esser frade!

           

            Inizialmente Giuseppe ricorda ai fratelli il grave gesto (barbaru e tirannu) da loro compiuto e, dalle parole dure, sembra quasi non voler concedere il perdono. Ma la durezza viene poi rotta dall’invito ai fratelli, a tutti i fratelli (ripete due volte tottus, quasi a sottolineare che nessuno deve essere escluso) ad abbracciarlo, concludendo con la profonda espressione: frade bos fia, e bos depp’esser frade.

            L’unità è ricomposta, Giuseppe emerge come l’uomo dell’unità. Ma l’espressione bos depp’esser frade (vi devo essere fratello), sembra quasi sottolineare il fatto che non è solo Giuseppe a volerlo, che non è solo la sua volontà ad agire. E, in effetti, è proprio così: è Dio, nel sottofondo del racconto sacro, a guidare la storia e a condurre i fratelli dall’odio alla riconciliazione.

            Si può allora affermare che Melchiorre Dore, nella traduzione di questi passi, è riuscito a cogliere e a comunicare pienamente il messaggio contenuto in questo racconto. Prestando eccessiva attenzione alla importanza che i singoli termini possono avere, (tipico dell’analisi storico – critica), forse non sarebbe riuscito, completamente, in questo intento.

  Antonello Tuvone

Studente di Teologia – IV anno