La legge-quadro sul volontariato è ormai prossima al tagliando dei primi 10 anni di vita. Si profilano i primi bilanci e non mancano richieste e proposte di modifica perché, nel
frattempo, molte cose sono in movimento nel volontariato e nello scenario che fa da sfondo al fenomeno solidaristico. Con tanti problemi e interrogativi anche per il prossimo futuro. Uno di
questi è il rapporto delle organizzazioni di volontariato con le istituzioni pubbliche che è oggi molto più ricercato ma che non è privo di incognite e di nodi da
sciogliere. Come l’ipotesi che l’"istituzionalizzazione" del volontariato iscritto - e quindi utente e partner al tempo stesso dell’Ente locale - ne modifichi
l’identità stessa. E che l’iscrizione al registro sia un’opportunità utilizzata indiscriminatamente da una variegata gamma di organizzazioni molte delle quali di
volontariato hanno solo il nome.
In questo scenario quale è il ruolo delle Regioni nella gestione del Registro del Volontariato? E’ un ruolo di mera regolamentazione burocratica di un fenomeno posto sotto
controllo pubblico e quindi soggetto a procedure e adempimenti oppure è anche, e soprattutto, un ruolo di promozione, monitoraggio e stimolo attraverso politiche attive di
valorizzazione, qualificazione, e supporto al contributo innovativo del volontariato?
E in una fase di crescente propensione all’iscrizione al Registro pubblico da parte delle organizzazioni di volontariato (d’ora innanzi OdV) quanto sono attrezzati in termini
concettuali e di risorse investite gli Uffici regionali competenti a trattare la materia nelle diverse fasi dell’ammissione, della verifica periodica e del controllo circa la sussistenza
dei requisiti e del funzionamento delle organizzazioni iscritte?
Per affrontare questi e altri quesiti e fornire un contributo di analisi circa i problemi di attuazione della legge 266 il Settore Studi e Ricerche della FIVOL ha realizzato una ricerca che ha
analizzato l’operato delle Regioni per quanto concerne la regolamentazione del fenomeno volontariato e la gestione del registro regionale. Tra i nodi da dirimere nella gestione del
registro ne sono emersi con forza due.
Le "maglie" larghe e le "maglie strette" del Registro
Un problema trasversale a tutte le Regioni è quello della definizione di volontariato su cui non vi è stato fin qui uno sforzo di approfondimento e di chiarificazione. In assenza
di ciò le Regioni si limitano a ribadire la presenza dei requisiti previsti dalla L. 266/91 (artt. 2 e 3) e dall’Osservatorio Nazionale e gli Uffici preposti al filtro di ingresso
nei Registri a riscontrarli facendo affidamento sulla documentazione allegata alla domanda di ammissione. Il tentativo maggiormente realizzato dalle Regioni è stato quello di definire le
finalità e le attività compatibili con lo spirito del volontariato, estendendole ai nuovi temi del sociale e della partecipazione civica (ambiente, territorio, cultura, beni
artistici, educazione degli adulti) e allargandole ai temi della qualità della vita e della promozione sociale. L’ampliamento delle finalità riconosciute al volontariato ha
inevitabilmente innescato meccanismi di automatica inclusione nei registri di tutte le realtà che comunque le realizzano. Restano da affrontare però due problemi: quello della
reale (e consapevole) valenza solidaristica e quello della gratuità effettiva laddove la composizione mista dei gruppi rende difficile stabilire a "prima vista" quanto sia effettivamente
determinante l’apporto dei volontari. Questo è peraltro l’indicatore che connota specificatamente il volontariato rispetto alle altre realtà di terzo settore.
Meno facile è stato il tentativo di concettualizzare l’attributo della solidarietà - per altro non interpretato nemmeno dalla legge-quadro nazionale – e da alcune
realtà riferito quasi unicamente all’intervento nei confronti delle categorie di portatori di bisogno, da altre utilizzato per comprendere fenomeni di "spontanea" socializzazione e
aggregazione di diverso tipo (da cui la presenza di cori, bande, associazioni sportive, gruppi per il tempo libero e le attività ricreative).
La stessa documentazione richiesta all’ammissione, anche molto disomogenea per quantità e qualità da Regione a Regione, a fronte di un controllo solo formale permette di
discriminare diversamente, e solo parzialmente, le domande in ragione dei criteri di gestione delle risorse, dei ruoli specifici dei volontari e del loro peso reale anche in termini
decisionali.
Per cui vi sono visioni del fenomeno inevitabilmente diverse nei Registri ed è probabile che alcune ambiguità interpretative potranno essere rimosse agli effetti della recente
emanazione della legge sull’associazionismo pro-sociale, sicuramente in grado di accogliere negli appositi registri molte realtà connotate più per le valenze sociali e
mutualistiche più che per quelle di tipo solidaristico.
Occorre comunque pervenire ad una esplicitazione maggiore del concetto di solidarietà, dato che anche nel disegnare il profilo dell’associazione di promozione sociale si fa
riferimento al vantaggio di terzi. E quindi stabilire, ad esempio, se le organizzazioni di auto mutuo aiuto, stanno dentro la solidarietà, e a quali condizioni, o stanno fuori. Su questo
le Regioni rivelano il massimo di differenziazione.
Attualmente siamo in presenza di diversi "contenitori" regionali del volontariato, non tanto in ragione di esplicitate e convinte definizioni assunte circa gli attributi di una organizzazione
di volontariato, ma piuttosto per l’assenza di definizioni e criteri discriminanti. Ogni Regione ha quindi un registro che risente della preparazione, della severità e
scrupolosità dei propri referenti nell’azione di filtro, della presenza o meno di un albo sull’associazionismo e dell’"utilizzo" delle organizzazioni di volontariato
nell’ambito di politiche di welfare locali, non senza tentativi e tentazioni di egemonizzare anche a fini politici un movimento in crescita ed organizzato in cambio anche di cospicui
finanziamenti. Non a caso l’Ufficio che si occupa del volontariato è in diversi casi cooptato nell’ambito della Presidenza delle varie Giunte regionali.
E’ evidente, infine, che la disomogenea registrazione del fenomeno si riflette sulla altrettanto incerta descrizione e interpretazione dello stesso quando viene messo sotto osservazione
attraverso rilevazioni che riguardano esclusivamente il volontariato istituzionalizzato.
I vincoli regionali nella gestione del registro
Le Regioni sono alle prese, pressoché nella loro generalità, con un fenomeno di crescente portata che richiede molteplici e crescenti adempimenti - basti pensare alla concessione
di contributi e finanziamenti su progetto - ma senza essere adeguatamente attrezzate in termini di risorse umane. Mediamente operano dalle 2 alle 3 persone negli Uffici "competenti" ma che non
sono quasi mai dedicati a trattare esclusivamente la materia del volontariato e ricevono per di più poco aiuto da altri Uffici o Settori della Regione. Questa situazione di scarso
investimento istituzionale sul fenomeno impedisce che alcune funzioni basilari vengano di fatto realizzate. Due sono le conseguenze più vistose di tale carenze per gli uffici preposti.
Anzitutto si devono limitare ad un controllo formale-burocratico e senza poter dare una sufficiente attenzione all’interpretazione e valorizzazione del fenomeno sul territorio. In altri
termini, non paiono in grado di occuparsi della gestione del fenomeno, ma solo della mera regolazione burocratica. Ciò provoca anche scarsa divulgazione e promozione del fenomeno
"associazionismo di volontariato" da parte degli uffici regionali. Inoltre dimostrano una sostanziale difficoltà e inefficacia nel compiere una effettiva istruttoria per il controllo
concreto dei requisiti necessari. Ciò vale anche per la revisione periodica della sussistenza nel tempo dei requisiti che, lasciata all’autocertificazione, è vanificata
qualunque sia la mole di documenti e dichiarazioni di idoneità che vengono richieste alle OdV. Anzi, più sono i documenti prodotti e meno è possibile esaminarli. Il punto
più debole nella gestione del registro rimane il controllo, previsto anche attraverso visite ispettive in loco e di competenza dei soli organi regionali, e che di fatto è rimasto
inevaso. Anche per mancanza di criteri operativi di attuazione: come, su chi, quando e con quali competenze fare il controllo?
Questi e altri problemi inducono un ripensamento delle Regioni circa la loro funzione regolamentativa. Alcune vi stanno già provvedendo con il decentramento delle competenze
amministrative dei Registri. Ed è quello che analizzeremo nel prossimo numero della rivista.