Sintesi della Ricerca su:

Organizzazioni di volontariato e immigrazione

a cura di Renato Frisanco
Settore Studi e Ricerche della Fondazione Italiana per il Volontariato

Premessa
L’indagine sugli interventi di tipo solidaristico rivolti alle popolazioni immigrate ha interessato un campione di 279 organizzazioni - rispetto ad un universo censito a fine 1999 di 1.101 unità - di diverso tipo e profilo, sia informali sia strutturate dal punto di vista giuridico e organizzativo. La rilevazione è stata centrata sull’acquisizione di dati ed informazioni riguardanti le caratteristiche delle organizzazioni solidaristiche (anzianità, composizione, finalità, risorse, interventi attuati e beneficiari, punti di forza e di debolezza), il loro funzionamento interno e i rapporti con le realtà esterne, a cominciare da quello con gli enti pubblici. Allo scopo è stato utilizzato un questionario semi strutturato. Su un nucleo di 7 organizzazioni di volontariato sono stati poi condotti degli approfondimenti tramite la metodologia degli "studi di caso" per arricchire qualitativamente l’analisi sul fenomeno.

Quando nascono e la specificità del settore di intervento
La maggioranza relativa delle associazioni intervistate (43 su 100) nasce nel primo quinquennio degli anni ’90, anche come effetto dell’impulso dato dalla così detta Legge Martelli (la n. 39/90) che ne prevedeva la valorizzazione e ne stimolava il ruolo di mediazione tra le collettività di riferimento e le istituzioni locali.
Tuttavia la maggior parte delle organizzazioni (66 su 100) interviene su fasce di utenza mista, non solo immigrata, e per più tipi di bisogni e disagi. Molte di esse si sono rivolte agli immigrati in relazione all’insediarsi di queste popolazioni nel loro territorio di operatività e quindi con l’evolversi dei nuovi bisogni di intervento di cui queste sono portatrici.
Nel complesso mostrano un’esperienza operativa consolidata o in via di consolidamento, mentre un quarto del campione esaminato è di recente costituzione, a segnalare una mobilitazione reale e sempre attuale del volontariato, in questo difficile campo di intervento, con il graduale estendersi del fenomeno immigratorio nel nostro paese.
Poiché esse appartengono in maniera piena al mondo del volontariato sociale la loro operatività è indirizzata per il 75% dei casi totalmente o principalmente a favore di terzi e al miglioramento del benessere collettivo.
Nei due terzi dei casi le unità esaminate sono state promosse o fondate direttamente da centrali organizzative autoctone, laiche e religiose, oppure da gruppi di cittadini italiani, mentre una su quattro è stata fondata da gruppi di cittadini di origine straniera. Solo una parte minoritaria delle associazioni promosse da gruppi di cittadini stranieri (2 su 10) sono plurinazionali, in quanto coinvolgono nel progetto aggregativo persone di più nazionalità. Vale a dire che le associazioni fondate da cittadini stranieri di una specifica nazionalità tendono a coinvolgere nel progetto aggregativo molto più facilmente cittadini italiani che non stranieri di altre nazionalità, mentre sono soprattutto gli italiani a promuovere associazioni multietniche.

Strutturazione e composizione
Siamo altresì in presenza di realtà dotate di una discreta strutturazione formale e organizzativa. Gli organi di governo sono quelli essenziali e spesso organi direttivi ed esecutivi si sovrappongono a svolgere attività gestionali senza una netta suddivisione delle competenze. Sono però organizzazioni basate su una intensa attività partecipativa dei volontari o associati. Il numero di riunioni dell'Assemblea dei soci supera mediamente e di gran lunga quello previsto dalle normative correnti che ne impongono almeno una nel corso dell’anno amministrativo.
Un’associazione su tre di quelle che hanno dichiarato di avere l’Assemblea dei soci (83,5%) svolge riunioni aperte a tutti gli associati con una frequenza media trimestrale e il 42,5% ne svolge più di 4 l’anno. Ciò dimostra - anche sulla base delle percentuali che si registrano per le riunioni degli altri organi statutari - che siamo in presenza di realtà associative con una significativa strutturazione organizzativa che, pur basandosi su differenti livelli decisionali, non trascurano la partecipazione assembleare degli associati.
All’interno degli organi direttivi ed esecutivi si nota una significativa concomitanza di dirigenti italiani e stranieri - in 3 casi su 10, in media - a indicare uno sforzo a realizzare processi di integrazione e di inserimento socio-culturale - nonché economico e finanche politico - attraverso lo scambio ravvicinato e il lavoro comune tra gli appartenenti alla popolazione italiana e a quelle di origine straniera. Ciò rappresenta, in linea di principio, il consolidamento di esperienze concrete di carattere interculturale e configura, tra l’altro, una sorta di modello gestionale di buone prassi.

Finalità e attività
Le organizzazioni perseguono variegate finalità che spaziano su differenti dimensioni di intervento. Esse realizzano mediamente attività afferenti a 4,7 dei 9 settori considerati, dimostrando così di poter mettere in atto sistemi di risposte che tengono conto di una visione olistica, complessiva dei bisogni e dei problemi connessi al fenomeno immigratorio. Quelle maggiormente perseguite sono di carattere socio-assistenziale, in quanto coinvolgono, in diversa maniera, l’82% del campione. E’ il campo di intervento che configura specificatamente l’azione volontaria in senso stretto e in cui l’attenzione sociale attiva e partecipata verso i cittadini più deboli si associa a forme manifeste di solidarietà assistenziale diretta e sovente personalizzata. Altrettanto significative - sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo - appaiono altri due tipi di finalità: quella culturale (73 OdV su 100) e quella della difesa e promozione dei diritti di cittadinanza (71 su 100). La prima si esprime nella duplice prospettiva di salvaguardare le rispettive culture di origine e di attivare, localmente, scambi culturali tra la popolazione italiana e quella straniera, mentre la seconda è finalizzata a prevenire/contrastare forme variegate di discriminazione che possono investire cittadini stranieri.
Entrambe le finalità permettono di soddisfare più obiettivi: favorire la compresenza pacifica di culture diverse attraverso la pratica dei diritti della persona verso una piena cittadinanza, facilitare scambi e relazioni, ricercare modalità di incontro e di mutua valorizzazione tra le stesse. Insomma, di produrre i presupposti basilari della convivenza civile e del riconoscimento del pluralismo culturale come configurazione ordinaria della società.
Nelle differenti aree geografiche del territorio nazionale le associazioni esaminate realizzano diversamente le specifiche finalità. Le organizzazioni collocate al Centro del Paese realizzano in particolare l’impegno culturale, ma soprattutto gli aspetti formativi: ovvero la finalità scolastico-educativa e quella formativo-professionale e, con scarti differenziali minori, anche quella sportivo-ricreativa. Il Nord, invece, primeggia solo per l’impegno sindacale-tutelativo e presenta la punta percentuale più bassa per le attività sanitarie, evidentemente più garantite dal sistema sanitario pubblico. Il Sud primeggia per l’intervento sanitario e ha l’aliquota più elevata per le finalità di tipo religioso (2 su 10). Siamo qui in un contesto polarizzato da valenze operative di segno opposto rispetto al Nord, dove il processo immigratorio e la cultura dei servizi pubblici sono più avanzati e il volontariato è chiamato meno a coprire vuoti e a fare da "cuscinetto" nelle realtà locali.
La capacità di intervento delle associazioni è considerevole se si tiene conto delle ore di apertura della sede operativa, soprattutto nelle unità presenti al Sud e tra le realtà maggiormente formalizzate e iscritte ai registri regionali del volontariato per operare in convenzione con il pubblico.

Le risorse umane delle organizzazioni
Nel complesso delle 279 unità considerate operano poco più di 12 mila persone con diverso ruolo, intensità e responsabilità di cui il 78,2% è costituito da volontari. Questi dati proiettati sulle 1101 organizzazioni censite su scala nazionale danno un totale di 42.318 persone impegnate con 37.125 volontari.
Quasi tutte le associazioni possono contare in maniera piuttosto stabile sul contributo operativo continuativo dei volontari che rappresentano spesso l'unica risorsa che le sostiene. Alla presenza di questi, si aggiunge un numero molto consistente di volontari sporadici (in 8 OdV su 10), che prestano cioè attività in modo più saltuario ed eventualmente legato a necessità specifiche, in funzione delle iniziative promosse, di emergenze temporanee o anche di momenti favorevoli di diffusione delle informazioni circa le attività della struttura.
La presenza di personale remunerato di vario tipo (fisso, ma soprattutto a prestazione o con rimborso spese forfetario) si ravvisa in poco meno di un terzo delle unità (31 su 100), soprattutto laddove è richiesta una maggior stabilizzazione e continuità delle attività, tra le associazioni più "solide" e strutturate.
La presenza degli italiani in queste organizzazioni risulta numericamente molto più rilevante di quella degli stranieri. I primi rappresentano il 76,6% dei volontari operativi e continuativi. Lo scarto si riduce notevolmente per le categorie degli operatori remunerati dato che gli stranieri sono maggiormente vincolati alla necessità di lavorare e operano come mediatori culturali. I volontari impegnati in queste organizzazioni forniscono per lo più una disponibilità di tempo limitata: 58 volontari su 100 non più di cinque ore a settimana.
Dal punto di vista delle caratteristiche socio-anagrafiche, spicca l’età media più giovane dei volontari stranieri concentrati nella fascia di età 19-40 anni. Non manca una componente significativa di stranieri tra i 46 ed i 60 anni a dimostrazione del ruolo socialmente, politicamente, culturalmente attivo delle prime generazioni di migranti stabilitesi nel nostro paese. Tra i volontari stranieri è nettamente prevalente la presenza maschile, al contrario del gruppo autoctono in cui prevale il genere femminile.
Per quanto riguarda il livello di istruzione superiore i due gruppi presentano una differenziazione scarsamente apprezzabile, che attesta la forte qualificazione dei volontari stranieri.
Rispetto al turn over registrato negli ultimi due anni tra i volontari delle organizzazioni, si può rilevare la sostanziale stabilità delle presenze in poco meno della metà del campione.

L’utenza delle organizzazioni
Le OdV, realizzando nel complesso un vasto raggio di attività annoverano categorie di beneficiari altrettanto variegate e differenziate per sesso, età e nazionalità, oltre che per condizione sociale. Essi accedono per lo più ai servizi in modo non vincolato a d alcuna forma di tesseramento o iscrizione (per 75 OdV su 100).
Le organizzazioni esaminate hanno un’utenza che appartiene quasi sempre alle classi di età adulta, raramente è anziana, mentre un terzo si esse si occupa di minori. Anche considerando l’insieme delle attività prevalgono quelle non specializzate, ovvero non indirizzate a specifiche fasce di età ma rivolte prevalentemente alla popolazione adulta in generale con tutte le differenti problematiche o i bisogni espressi.
Le associazioni con beneficiari esclusivamente stranieri sono complessivamente un terzo del campione, e tra queste prevalgono quelle aperte a più gruppi nazionali. La maggioranza delle OdV (57 su 100) esprime una vocazione effettivamente universalista, con una utenza mista di italiani e di stranieri di diverse nazionalità. La percentuale più ridotta si rileva invece presso le strutture che accolgono sia italiani che stranieri di una sola nazionalità (9,3%).
Rispetto al genere la maggioranza delle strutture (73 su 100) ha un'utenza paritariamente o prevalentemente maschile, soprattutto per quanto concerne i beneficiari immigrati.
Uno dei criteri di valutazione della qualità degli interventi, ma anche del bisogno è la tendenza accrescitiva dell’utenza. Negli ultimi due anni 8 organizzazioni su 10 hanno verificato un saldo positivo nella variazione annuale dell’utenza. I nuovi utenti stranieri sono aumentati mediamente del 25% nell’ultimo anno, mettendo in difficoltà non poche organizzazioni. Ciò testimonia sia il grado di apprezzamento per le modalità o la filosofia di intervento e, ancora, per la qualità delle iniziative proposte; ma segnala anche lo sforzo fatto dalle organizzazioni stesse di ampliare i propri servizi incrementandone il numero o le risorse umane e materiali a disposizione degli utenti. Tale andamento accrescitivo presumibilmente registra anche un aumento della domanda trainata dall’aumento dell’offerta solidaristica - in particolare per quella sanitaria e formativo-professionale - a fronte di una persistente inadeguatezza dei servizi sociali esistenti a soddisfarli o della presenza di ostacoli di natura giuridica e/o culturale che impediscono o limitano notevolmente le possibilità di accedervi.
(esperienza piacentina)
Va sottolineata anche una presenza diffusa nelle organizzazioni di immigrati irregolari come fruitori di servizi. 9 organizzazioni su 10 ammettono gli irregolari a godere di tutte (nella maggioranza dei casi) o di alcune prestazioni da esse offerte, testimoniando così una prevalente apertura nei confronti di questa popolazione e svolgendo un’importante funzione di soddisfazione di diritti spesso negati.

Rapporto con le istituzioni pubbliche e la rete delle collaborazioni
Poco più della metà delle organizzazioni risultano iscritte ai registri regionali del volontariato mentre non più di 3 organizzazioni su 10 hanno un rapporto di convenzione con istituzioni pubbliche per la gestione di servizi. Il numero più elevato di convenzioni sono con le amministrazioni comunali, soprattutto nelle aree settentrionali dove il lavoro congiunto tra Ente pubblico e organizzazioni non profit è più avanzato e articolato che nel resto del paese.
Il rapporto di collaborazione in partnership - organizzazioni similari, associazioni, fondazioni, istituzioni pubbliche, imprese - è piuttosto praticato: riguarda 8 OdV su 10. Soprattutto con il pubblico è la presenza di dirigenti italiani è un valore aggiunto per le collaborazioni. Lo svolgimento in comune di attività tra associazioni diverse, ma legate da relazioni di partenariato viene giudicata una pratica sostanzialmente positiva dai due terzi delle associazioni considerate e rivela anche un forte senso di solidarietà tra le altre organizzazioni del settore.
Esse rivelano inoltre una specifica propensione anche a partecipare a coordinamenti, consulte o a far parte di federazioni, mentre 1 su 2 aderisce a più di una di queste sovrastrutture organizzative.

La mobilitazione delle reti sociali territoriali
Si è cercato di comprendere e definire quali relazioni reticolari mobilitano (o meno) le associazioni per rafforzare e rendere maggiormente funzionale l’intervento di aiuto e di supporto all’integrazione sociale. Per esplorare la natura delle risorse che le associazioni mobilitano è stata predisposta una griglia di domande finalizzata a comprendere il carattere delle reti sociali maggiormente attivate per soddisfare al meglio le esigenze provenienti dall’utenza. Il risultato è che pressoché 8 organizzazioni su 10 svolgono le proprie attività coinvolgendo (e promuovendo le dovute connessioni interorganizzative) regolarmente i diversi nodi reticolari di prossimità dell’utenza oppure semplicemente presenti sul territorio. In sostanza, le associazioni fanno della mobilitazione delle reti locali e delle reti di prossimità dell’utenza una pratica corrente per rendere maggiormente efficaci le rispettive attività. Delle diverse tipologie di reticoli (aggregate sulla base del principio che le caratterizza, ossia: il dono, la reciprocità, la cittadinanza e il mercato) il sistema maggiormente coinvolto è quello delle reti terziarie, basato sull’esigibilità dei diritti di cittadinanza (1 risposta su 2). E’ stato così individuato il reticolo ideal-tipico in grado di concorrere adeguatamente alla produzione di forme di aiuto erogabili ad una utenza di origine straniera si compone di servizi socio-assistenziali a carattere pubblico, di gruppi parrocchiali e di familiari dei diretti interessati.

Le fonti di finanziamento delle organizzazioni
Le attività svolte dalle associazioni sono sostenute attraverso diverse modalità di reperimento dei fondi, perlopiù in maniera combinata tra loro e indicative di diversificate strategie e competenze messe in campo. La forma di finanziamento più diffusa è rappresentata dalle quote associative, adottata dal 61,5% del campione. Spiccano anche le donazioni provenienti da singole persone e i contributi di "benefattori" legati alle associazioni (54 su 100). A queste due importanti fonti di sostentamento seguono nell’ordine, i finanziamenti pubblici (46 su 100), le attività di autofinanziamento (44 su 100) e l’autotassazione degli aderenti (43 casi su 100). Si è poi constatato che, rispetto alla possibilità di veder riconosciuta attraverso l’assegnazione di finanziamenti pubblici la propria attività, la collaborazione tra componenti italiane e componenti immigrate rappresenta una formula vincente. Si può ipotizzare in effetti che questa alleanza svolga una funzione di "ponte" tra due realtà che permette alle organizzazioni di destreggiarsi bene, da un lato, nei meccanismi della propria gestione e del contesto sociale, culturale e politico di riferimento e, dall’altro, nella relazione con le comunità straniere di riferimento.
Anche per l’acquisizione di finanziamenti privati le differenze rispetto alla composizione nazionale delle strutture (in particolare dei loro fondatori) sono determinanti. Il tasso più alto di presenza di finanziamenti privati si riscontra tra le associazioni fondate solo da italiani (85,7%), che fanno valere evidentemente la maggiore dimestichezza con il contesto territoriale e sociale di riferimento. Le associazioni a fondazione mista ne beneficiano quasi nella stessa misura (82%) purché siano presenti stranieri di più nazionalità. Quelle fondate solo da stranieri sono sostenute dall’esterno in misura minore.
Le associazioni nate più recentemente (dopo il ’96) mostrano una maggiore dimestichezza con i meccanismi della progettazione finanziata (64 su 100 rispetto alle 47 su 100 tra quelle sorte prima dell’’89).
Nel complesso le risorse economiche risultano stazionarie (47 Organizzazioni su 100) o in crescita (31 su 100). Le organizzazioni che spendono di più sono quelle che agiscono in campo sanitario e in campo formativo-professionale, in quanto si tratta di attività che comportano alti costi di gestione, sia per la qualificazione del personale coinvolto (in entrambi i casi) sia per il costo dei materiali e delle strutture necessarie alla loro realizzazione.

Principali problematiche, punti di forza e punti di debolezza
Nello svolgimento delle attività non mancano discussioni, prese di posizione e a volte anche conflitti nella scelta delle migliori strategie da impiegare o quantomeno tentare di attivare per far fronte alla complessità organizzativa e gestionale delle organizzazioni.
Le tematiche che vengono maggiormente dibattute e avvertite sono in particolare:

  1. quella di programmare e articolare al meglio la ricerca di fondi economico-finanziari, sia con progetti mirati alle attività che caratterizzano la mission dell’organizzazione che con la ricerca di sponsor privati, nonché attivando rapporti più collaborativi con gli Enti locali. La crescente capacità operativa delle organizzazioni non è commisurata alla capacità di reperire sufficienti risorse economiche in grado di sostenere le richieste di aiuto sociale, in particolare quello alloggiativo e lavorativo. Questo è anche il punto di maggior debolezza delle organizzazioni;

  2. l’importanza del radicamento sul territorio e la funzione di sensibilizzazione in favore di processi di inserimento ed integrazione socio-lavorative e culturale degli immigrati attraverso maggiori pressioni politico-sociali, ossia proponendosi come "minoranza attiva" in favore dell’allargamento dei diritti di cittadinanza che significa concretamente garantire i processi di inclusione.

Per quanto riguarda, invece, i punti di forza riscontrabili nelle organizzazioni intervistate emergono: la forte motivazione sociale, la coesione interna, la condivisione degli obiettivi strategici, la fiducia tra gli operatori, nonché la capacità di lavorare in rete con altre organizzazioni territoriali, al fine di aumentare l’efficacia della risposta alle esigenze provenienti dall'’utenza di riferimento. Una provata capacità di attrarre volontari e risorse del territorio.
Infine la capacità di relazione con le comunità straniere, efficacia della mediazione tra i servizi sociali territoriali e le comunità/gruppi stranieri che ricorrono alle prestazioni dell’associazione.
I bisogni degli immigrati più avvertiti e il disagio che consegue alla loro scarsa soddisfazione sono, nell’ordine: la povertà economica, la disoccupazione, la precarietà abitativa e la solitudine o isolamento.
In second’ordine viene l’efficienza dell’organizzazione professionale messa in campo, le qualifiche adeguate degli operatori impiegati e la gestione efficace dei servizi e delle prestazioni erogate. Insomma, l’insieme degli aspetti necessari al buon funzionamento dei servizi preposti a livello territoriale.

ALCUNE PRIME CONCLUSIONI

Volendo condensare in alcuni flash le caratteristiche delle organizzazioni di volontariato (OdV) che funzionano meglio (sulla base degli indicatori posti in allegato), si rilevano i una serie di aspetti. Un primo aspetto di carattere generale è consiste nel rilievo che sono le organizzazioni miste, ovvero composte da gruppi di responsabili e operatori italiani e stranieri di più nazionalità a rivelare costantemente indicatori di efficienza e di realizzazione più soddisfacenti sia rispetto alle organizzazioni miste ma con stranieri di una sola nazionalità che, soprattutto, di quelle mononazionali.
Tra gli aspetti più qualificanti vi sono:

  1. la capacità di collaborare con il pubblico (dalle piccole collaborazioni, quelle di mediazione culturale, di disbrigo pratiche burocratiche con gli immigrati alla gestione di servizi in convenzione) e l’essere chiamati a partecipare a tavoli di consultazione come soggetti politici in rappresentanza di bisogni e istanze delle popolazioni immigrate portando un contributo di proposta in funzione della programmazione locale degli interventi. Va rilevata altresì la strategia delle connessioni perseguita sul territorio con altre realtà di terzo settore anche per cercare di conciliare e integrare il più possibile i propri interventi specifici con quelli di altre organizzazioni e competenze.

  2. la capacità di produrre beni relazionali a partire dai rapporti interni basati su forte motivazione e condivisione di obiettivi e valori. La coesione associativa determina altresì scarsi livelli di turn over e una domanda di ingresso nell’associazione e di svolgimento dell’attività abbastanza sostenuta; ma vi è anche la capacità di reperire risorse finanziarie e di aggregare come volontari professionisti e operatori sociali qualificati;

  3. la capacità di intervenire in modo anticipatorio rispetto a problemi e bisogni nuovi o scoperti - grazie al buon radicamento territoriale - ma anche l’innovazione nella proposta e nella realizzazione dei servizi (ad es. i corsi sperimentati a scuola nelle lingue madri degli immigrati per far loro mantenere la cultura di origine e per farli crescere bilingui) e di operare con attenzione alla qualità: come il poliambulatorio Santa Chiara di Palermo che si basa su una buona organizzazione professionale di operatori qualificati con l’apporto scientifico e la supervisione dell’Istituto di medicina interna dell’Azienda Sanitaria Locale.

  4. la capacità di favorire processi virtuosi di auto-aiuto tra gli immigrati, esprimendo nei suoi interventi la filosofia del self-help, dello stimolo alla partecipazione aiutando gli immigrati ad essere protagonisti reali del proprio destino fornendo loro a partire dall’ascolto informazioni, orientamenti, strumenti formativi, opportunità, possibilità di accesso a risorse, progetti.

  5. l’attività operativa è congiunta ad uno specifico impegno culturale e politico di divulgazione di conoscenze sul fenomeno, di sensibilizzazione e informazione dell’opinione pubblica e di studio - per molte OdV attraverso attività convegnistica - ricerca e documentazione. Ma anche feste, meeting interetnici (come quello annuale di Piacenza) o il periodico meeting internazionale antirazzista di Cecina. Laddove opera bene l’OdV diventa luogo e occasione di positive relazioni interculturali e centro di riferimento per le comunità straniere e la comunità cittadina.

  6. la capacità di superare i momenti di crisi che inevitabilmente vi sono dopo una fase pioneristica che si esaurisce con lo slancio motivazionale iniziale o a seguito della crescita dell’organizzazione quando l’aspetto efficientistico-organizzativo tende a prevalere su quello ideale-valoriale dei fondatori. L’uscita dalla crisi avviene perché l’organizzazione non è isolata, trova il sostegno degli altri gruppi di volontariato, dei gruppi di immigrati a cui il lavoro era diretto e per essere riuscita a creare rapporti significativi con il territorio, le istituzioni pubbliche. Questi legami permettono all’associazione di trovare stimoli e incoraggiamenti a proseguire nel campo della solidarietà. Inoltre è vincente la valorizzazione costante del lavoro collettivo e la ricerca della partecipazione più larga possibile alle decisioni importanti, anche per non creare divisioni – e pertanto separatezza emotiva e gestionale – tra i momento delle decisioni e delle scelte strategiche da quello prettamente operativo e quotidiano – e a volte problematico e stressante - di interfaccia con i beneficiari diretti dell’intervento.

INDICATORI DI BUONE PRASSI DELLE ORGANIZZAZIONI ESAMINATE

1 la partecipazione regolare a coordinamenti, consulte e/o l’appartenenza a federazioni;
2 la composizione mista, fatta di italiani e di stranieri di più gruppi etnici o nazioni negli organi direttivi
3 la funzione di difesa e promozione dei diritti con realizzazione di dibattiti e incontri politico-culturali sul tema
4 realizzazione di più macroattività a favore degli immigrati
5 presenza di più figure di operatori coinvolti nell’attività dell’organizzazione
6 basso turn-over dei volontari operativi e continuativi
7 incremento dei beneficiari dei servizi dell’organizzazione negli utlimi 2 anni
8 differenziazione delle entrate finanziarie nel corso dell’ultimo anno
9 l’organizzazione ha rapporti significativi di collaborazione con enti e servizi pubblici
10 valutazione positiva dell’esperienza di collaborazione realizzata con altre organizzazioni
11 l’organizzazione svolge attività di ricerca sociale e/o di documentazione sul tema e i problemi dell’immigrazione
12 sprettro e qualità delle iniziative formative predisposte per l’aggiornamento dei volontari

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