Sintesi della Ricerca:

LA VOCE DEL VOLONTARIATO

Indagine nazionale sulle Organizzazioni di volontariato

a cura di R. Frisanco, S. Trasatti, A. Volterrani

copertina La voce del volontariato

 
realizzata con la collaborazione dei Centri di Servizio

Un ringraziamento particolare va ai rappresentanti dei nove Centri di Servizio che hanno seguito da vicino l'indagine, partecipato ai seminari di impostazione e di discussione dei risultati, curato il monitoraggio della rilevazione. Essi sono: CSV UNIVOL di Torino, Associazione Promozione e Solidarietà di Roma, POLIS di Potenza, "Vivere Insieme" di La Spezia e, in rappresentanza di altrettante regioni; CIESSEVI di Milano, CSV di Verona, CESEVOBO di Bologna, CESVOT della Toscana e Sardegna Solidale.

Il risultato della ricerca
La ricerca offre alle tante organizzazioni operanti sul territorio e ai Centri di Servizio una notevole quantità di notizie utili sul rapporto tra il volontariato e la comunicazione. Poiché è la prima nel suo genere, essa traccia inoltre le linee per ulteriori approfondimenti e aggiornamenti. I temi sollevati e le molteplici suggestioni e ipotesi di lettura del fenomeno sono in così gran numero da rendere difficile il compito di riportarli tutti.
Pertanto i risultati della ricerca, condensati in questo capitolo, non sono "conclusivi" e costituiscono piuttosto un primo elenco - comunque abbastanza organico rispetto al tema prescelto - di questioni sufficientemente delineate nei loro contorni e suffragate dalle risultanze empiriche della ricerca. Oltre ai risultati vengono qui presentate alcune proposte operative specifiche che riguardano i Centri di Servizio per il Volontariato, la cui distanza dalle singole organizzazioni solidaristiche potrà essere ridotta dall’avere essi per primi una strategia comunicativa.
Si possono compendiare nei seguenti undici paragrafi i risultati empirici e i commenti salienti scaturiti dall’indagine.

Queste organizzazioni e "le altre"
La "materia" esaminata è, come si è già detto, molto giovane. È giovane la frequentazione dei media da parte del volontariato; è giovane lo stesso interesse degli studiosi, che di fronte ad un fenomeno già di per sé molto recente (almeno nella sua forma moderna) come il volontariato organizzato, si è finora appuntato su altri aspetti più "urgenti": organizzativi, giuridici, sociologici, storico-ideologici.
Quanto sia recente l’attenzione alla comunicazione da parte di questo "movimento" sociale è del resto rivelato dalle caratteristiche generali del campione della ricerca, composto di gruppi in prevalenza medio-grandi come numero di volontari e sufficientemente organizzati: evidentemente rappresenta la punta avanzata di quella parte di organizzazioni che, tra le 10.516 censite dal Rapporto Fivol del ’97, avevano evidenziato una qualche dimestichezza con la comunicazione.
Eppure, anche una platea così selezionata ha mostrato nel complesso un livello di risorse, di consapevolezza e di preparazione ancora ampiamente inferiore alle necessità richieste a chi dovrebbe essere presente nell’attuale "società dell’informazione".
Se ciò fa concludere che la stragrande maggioranza delle organizzazioni di volontariato intrattiene con il mondo della comunicazione contatti molto scarsi e occasionali, quando non nulli, ci mette anche in guardia da un primo pericolo nel valutare i risultati. Il pericolo è quello di applicare uniformemente lo stesso metro di giudizio usato per le 472 realtà esaminate anche alle altre 10.000 rimaste fuori dall’universo individuato per questa ricerca. Tra quelle 10.000 compare, infatti, una larghissima fetta di associazioni molto piccole, spesso precarie, non ancora giunte neppure a soddisfare le condizioni basilari per la propria esistenza e riconoscibilità sul territorio, nonché ad un adeguato senso di appartenenza da parte di soci e volontari. È chiaro che per questa miriade di gruppi occorrerebbe anzitutto una ricerca che analizzasse preventivamente il grado di alfabetizzazione sui meccanismi dei media, di percezione dell’importanza della comunicazione per la stessa azione volontaria, di elaborazione delle esperienze vissute nell’ambito che ci interessa.
Aspetti che il questionario somministrato nell’indagine ha dato in gran parte per scontati, puntando direttamente a definire le caratteristiche delle attività e delle strutture comunicative, la loro efficacia, i bisogni percepiti.
Molte delle valutazioni che hanno percorso i capitoli di questo rapporto di ricerca sarebbero pertanto estensibili a tutto il volontariato solo nella misura in cui questo avesse assunto, nella sua totalità, l’ottica della comunicazione (in particolare verso l’esterno) come componente strutturale della sua presenza nella società. Cosa che oggi non è evidentemente vera.

Quale attenzione alla comunicazione?
Un primo elemento riguarda la quota relativamente alta di organizzazioni – quattro su dieci – che pongono la comunicazione tra le prime tre attività ritenute più importanti. È questo uno snodo fondamentale, che nella ricerca viene messo in relazione con quasi tutte le altre variabili.
Si scopre così che si tratta di un’attenzione cui non sempre consegue quello che ci si attenderebbe. In altre parole, emerge la sensazione di trovarsi spesso di fronte a una "dichiarazione di intenti" più che ad un elemento effettivo della strategia organizzativa. Oppure che non sia stato colto appieno il significato di essere realmente attenti alla comunicazione.
Le contraddizioni tra l’alto livello di considerazione, per questo ambito di attività e l’operatività concreta, emergono anzitutto a proposito della comunicazione interna - che non è percepita come "vera" comunicazione - e degli eventi esterni come convegni, seminari etc.., di cui non sembra cogliersi il risvolto comunicativo consistente nel "portare fuori" la propria immagine. Si notano, inoltre, riguardo la insufficiente consapevolezza della necessità di apprendere nozioni sul funzionamento dei media e sulle tecniche giornalistiche; così come è scarsa la propensione ad effettuare un minimo di valutazione, almeno sull’efficacia della propria comunicazione e su quella più attinente ai propri interessi.
Un ulteriore segnale proviene dalla formazione: le risorse per essa impiegate sono in generale alte, ma molto raramente tra le competenze prescelte vi sono quelle relative alla comunicazione; ciò vale per la generalità dei volontari, ma anche per coloro che si occupano specificatamente del settore, per i quali si nutre la fiducia nella formazione "sul campo", allo stesso modo di come avviene nel giornalismo.
Infine, dà importanza alla comunicazione il volontariato più innovativo, strutturato, che gestisce servizi. Quello, insomma, più maturo, più "cresciuto", più consapevole del proprio ruolo anche politico. La cosa interessante è che coloro che più investono in questo campo sono anche più critici sia nei confronti del proprio modo di comunicare, sia nei confronti dei modi in cui viene trattata la comunicazione e dei suoi effetti.

Le risorse della comunicazione
Fra i dati strutturali evidenziati dalla ricerca, alcuni mostrano tendenze oramai abbastanza avviate, che indubbiamente possono interessare anche tutta quella massa di organizzazioni che ad oggi si può dire non abbia nemmeno iniziato a comunicare.
La prima tendenza riguarda le strutture e/o competenze per la comunicazione: ve ne è una presenza significativa, almeno a livello numerico, e per la maggior parte risalente a un’epoca molto recente. Si tratta di ambiti dell’attività dei gruppi che, oltre ad essere ormai strutturati, in un buon numero di casi hanno anche registrato un aumento sia degli addetti che delle loro qualifiche. Queste ultime, inoltre, sono sempre più di tipo prettamente giornalistico, spesso perché possedute da soggetti che nel giornalismo hanno operato o operano con una certa intensità, anche a livello professionale.
Ma si tratta, lo ripetiamo, di tendenze. Se ci si addentra nelle percentuali e negli incroci statistici, infatti, si fa una certa fatica a delineare con esattezza le caratteristiche di tali strutture e competenze. Lo scenario appare estremamente fluido, indefinito, in continua evoluzione; insomma una situazione in assestamento e, forse, ancora in cerca di una dimensione.
Lo stesso si può dire per l’impiego di risorse economiche. Nel nostro campione esso non è apparso affatto irrilevante, se si eccettuano alcune organizzazioni del Sud che lamentano ristrettezze in tal senso. Ma una lettura in filigrana lascia trasparire come tale denaro non sia sempre speso bene. A volte vengono sbagliati i destinatari, altre volte i tempi, altre ancora si "raccoglie" troppo poco rispetto all’impegno profuso. Pur tenendo conto della componente di casualità che condiziona ogni intervento sui media - anche ben pianificato - questo si può considerare un effetto di quella attenzione per la comunicazione un po’ sui generis, cui si accennava sopra. Un’attenzione che non può evidentemente essere occasionale, come dimostrano quelle organizzazioni che hanno raccolto buoni frutti in seguito alla scelta di investire in modo organico in questo settore.

Limiti umani e limiti "impersonali"
La scarsità di mezzi economici - nonostante il denaro speso sia relativamente cospicuo - è comunque sentita ancora da molti come una delle limitazioni più importanti allo sviluppo di una cura adeguata per la comunicazione. Tuttavia, ai primi posti di questa classifica sono indicati altri vincoli, di tipo organizzativo e oggettivo: la quotidianità schiacciante, le "troppe cose da fare", la scarsità di tempo.
Le realtà coinvolte nella ricerca appaiono invece benevole su due possibili condizionamenti veramente cruciali: la scarsa sensibilità per la comunicazione da parte dei responsabili delle organizzazioni; e quella per il volontariato da parte degli operatori dei media. In sostanza vengono assolti sia gli uni che gli altri.
Nel primo caso si potrebbe superficialmente pensare a un’autoassoluzione (i compilatori dei questionari erano di norma persone con ruoli direttivi nei gruppi), ma ad una interpretazione più attenta l’atteggiamento sembra piuttosto derivare dalla convinzione abbastanza diffusa che, tutto sommato, a livello di comunicazione, si sta facendo non solo il possibile ma anche il necessario. È invece inatteso il secondo dato, il quale rivelerebbe l’assenza di quella mania di persecuzione nei confronti dei comunicatori di professione, che spesso viene rimproverata al volontariato.
Viene però da chiedersi: possibile che a determinare tutte le difficoltà generalmente riconosciute al rapporto tra comunicazione e volontariato vi siano solamente limiti "impersonali" e i fattori umani siano così ininfluenti?

La strategia attuale: organizzazione interna e comunicazione esterna
Si rileva una più netta propensione alla comunicazione esterna rispetto a quella interna. La comunicazione interna sembra essere meno importante, anche in considerazione della ridotta consistenza media delle organizzazioni di volontariato nel nostro paese, e tende ad esaurire nei rapporti "faccia a faccia" e nelle riunioni periodiche la necessità di mantenere la coesione del gruppo. Le unità esaminate rivelano una forte attenzione alla organizzazione interna (l’attività più importante) e al tempo stesso, cercano la visibilità esterna e mediatica, in relazione alla esigenza di accreditarsi un’immagine o di ottenere l’attenzione di vari interlocutori esterni, soprattutto per il volontariato che si candida o è di fatto un soggetto attivo delle politiche sociali in qualità di gestore di servizi.
Si tratta però più spesso di una comunicazione con l’esterno senza relazione, senza l’obiettivo di costruire reti, di dialogare e interagire operativamente mettendosi in gioco e uscendo dall’isolamento.
La forte frammentazione che ancora caratterizza le organizzazioni di volontariato tende a ridurre gli effetti virtuosi della comunicazione esterna. Ma è certo che chi attribuisce maggiore importanza alla comunicazione è in rapporto più stretto con altre organizzazioni di volontariato e di terzo settore così come con istituzioni pubbliche e private.
Se la comunicazione, interna ed esterna, fa parte soprattutto dell’esperienza dei settori nuovi, della partecipazione civica (difesa dei diritti, ambiente cultura e protezione civile) le unità che la praticano realmente sono soprattutto quelle che operano nel settore sanitario e che si fanno carico della tutela e promozione dei diritti.
Appare inoltre acclarata una correlazione positiva tra tensione allo sviluppo organizzativo, operativo e gestionale delle organizzazioni e il loro maggior orientamento alla comunicazione. Non vi è propensione ad un’informazione competente se non per crescere e strutturarsi con maggiore solidità e presenza nella società.

Il rapporto con i media: intenso a livello locale ma ancora prevalentemente "agito"
Nei confronti dei media vi è un rapporto che riguarda la quasi totalità di organizzazioni esaminate, ma non più di un quarto delle realtà esaminate ha con essi un rapporto di scambio e collaborazione significativo attraverso diversi tipi diversi di accesso. In particolare, quello che viene maggiormente soddisfatto dalle organizzazioni di volontariato, anche quelle meno propense e attrezzate per la comunicazione, è la "partecipazione a dibattiti", in cui i volontari forniscono una testimonianza diretta della loro operatività e dei fenomeni sociali in cui sono coinvolti. Ma più spesso fungono da informatori dei media per il riporto di notizie e dati, se non anche per la fornitura di casi emblematici da proporre all’attenzione del pubblico.
Il volontariato in rapporto con i media è più agito che attore di informazione e cultura specifica, pur non mancando iniziative di proposta ai media di temi che lasciano pensare a potenzialità notevoli di incisività del volontariato sul sistema di comunicazione.
Il rapporto con i media è in generale ricercato e articolato ma risulta molto più significativo con i media locali, in particolare con la stampa, piuttosto che con quelli nazionali, più prossimi alle organizzazioni operanti nei contesti metropolitani.

Quale produzione informativa e per che cosa?
Le organizzazioni di volontariato sono grandi produttrici di materiale, soprattutto cartaceo. Se una su due pubblica bollettini e riviste – per quanto a periodicità diradata, a tiratura limitata e a diffusione gratuita e senza pretese di tipo informativo-giornalistico - nella gran parte dei casi divulgano materiali illustrativi e promozionali sull’organizzazione, le attività in corso e in una cospicua minoranza producono materiali di documentazione e formazione. Un altro grande impegno del volontariato consiste nella produzione di comunicati stampa, molto ripresi dai media locali, e anche correttamente pubblicati, pur se non vengono frequentemente valorizzati nel giusto modo (per risalto o importanza accordata). Non sempre però è chiaro l’obiettivo e la funzione del comunicare, così come è minoritaria l’attività di monitoraggio della produzione comunicazionale propria e altrui, con pericoli di scadimento nella routine e nell’autoreferenzialità. Solo le organizzazioni più mature per cultura specifica sono in grado di produrre e valutare consapevolmente la propria comunicazione in quanto soggetta ad una strategia di azione non occasionale. Si può in buona sostanza considerare la capacità di fare comunicazione di una organizzazione come indicatore saliente della volontà di incidere con un progetto di azione consapevole e mirato nella realtà sociale in cui opera e quindi maggiormente finalizzato alla partecipazione e al cambiamento. Ed è quanto oggi si chiede al volontariato moderno.

La questione dell’autoreferenzialità
L’autoreferenzialità è un vizio piuttosto diffuso. Gli stessi mass media sono criticati perché utilizzano, per molti argomenti, una sorta di linguaggio in codice, poco accessibile, come fosse riservato ad una ristretta cerchia di persone. E tutte le categorie che hanno in qualche modo a che fare con il pubblico sono prima o poi accusate (o si autoaccusano) di non saper "parlare alla società", "entrare in sintonia", "far capire i problemi" e così via.
Il volontariato è una "categoria" a parte, ma non fa eccezione. La ricerca lo denuncia nelle premesse teoriche e ne fornisce due parziali conferme con l’elaborazione dei questionari: la prima volta a proposito del legame molto forte tra comunicazione e organizzazione; la seconda a proposito dei contenuti (prevalentemente interni) e della diffusione (limitata) dei numerosi bollettini stampati.
Conferme abbastanza scontate, del resto, per chiunque segua le discussioni tra i diretti interessati su volontariato e comunicazione, dibattiti dove i problemi dell’organizzazione e dei volontari, insieme all’urgenza di rappresentare e far rappresentare la propria identità, finiscono sempre per prevalere sulle istanze più generali e sulle strategie.
Tutte le singole realtà appartenenti a movimenti fondati su grandi ideali condivisi hanno trascorso nei primi anni gran parte del tempo a raccontare se stesse, a presentarsi. È evidentemente un’esigenza fisiologica a cui il volontariato non sfugge, e l’autoreferenzialità nel comunicarsi all’esterno ne è un’espressione. Essa, tuttavia, è anche un pericolo di cui tenere ben conto nel processo di maturazione politica che il volontariato sta compiendo; un pericolo che certamente va aggirato insieme ad altri (lo scarso respiro nella proposta, la tensione etica...), ma che non può essere considerato secondario, pena la perdita di efficacia e di forza complessive per quel cambiamento sociale che il volontariato aspira a ottenere. Inoltre se la ragione di esistere del volontariato risiede nel servizio agli altri – con tutti i valori etici connessi – è proprio nella centralità degli altri che si misura una comunicazione eticamente orientata.

Dalla colpevolizzazione dei media alla capacità di critica
Presa in valore assoluto, la non colpevolizzazione dei giornalisti è comunque un altro dei punti fermi della ricerca; un buon punto di partenza per lo sviluppo di una cultura della comunicazione sufficientemente laica e non preconcetta.
È poi apprezzabile la presenza di uno spirito critico abbastanza sviluppato nel giudicare il trattamento ricevuto sui media. Infatti, anche quando ammettono che molti dei loro comunicati stampa vengono pubblicati, spesso non sono contenti di come vengono poi ripresi nei loro contenuti e valorizzati per spazio e rilievo accordati. Il fatto che tale capacità appartenga per ora solo alle organizzazioni più attrezzate dal punto di vista comunicativo, è un’altra "notizia utile" per tutto il volontariato, in quanto indica la strada da seguire.
Dal punto di vista dei contenuti, questo aspetto della ricerca rivela, per usare un gioco di parole, che più il volontariato è attento, meno è contento. Il modo in cui vengono recepiti i propri comunicati stampa (il questionario si limitava ad essi) viene cioè giudicato tanto più negativo quanto più i media vengono osservati con cognizione di causa. Sarebbe interessante, in una prossima indagine, estendere la valutazione all’intera attività di comunicazione del volontariato, per verificare se si tratta di una casualità o di una situazione di consolidata insensibilità e disattenzione da parte dei media.

La comunicazione fa tendenza nel mondo del volontariato
Proviamo a riassumere, nei due classici elenchi, i molti stimoli di questa ricerca.
Nel primo elenco, quello positivo, si possono inserire alcune tendenze abbastanza visibili: quella a far entrare nelle voci organizzative anche la figura dell’addetto alla comunicazione, o quantomeno di una "entità" che somigli a questa funzione; la tendenza al consolidamento di una certa vivacità nella produzione di strumenti comunicativi, dall’editoria stampata ai comunicati, agli opuscoli; alla crescita della qualificazione del personale destinato a gestire la comunicazione; a non colpevolizzare solo il sistema dei media per i problemi riscontrati nell’entrarvi correttamente in contatto; a giudicare gli effetti della propria comunicazione con un certo spirito di critica e di autocritica, e non in base a preconcetti.
Ma la tendenza maggiore proviene da quello che, con un’immagine abusata, nel nostro contesto potremmo definire lo "zoccolo duro": quel quasi 41% di organizzazioni del 2° tipo ("in crescita e alla ricerca di maggior competenza") individuate dalla cluster analysis (cap. 1 parte III). Si tratta di gruppi che, oggi, si concedono il minimo indispensabile nell’ambito della comunicazione, ma che avvertono con nettezza il bisogno di fare di più. Hanno cioè capito - anche se spesso solo a livello di percezione - che "quella cosa" è importante, che il dedicarvi più tempo e risorse genera ricadute su tutte le branche di attività del gruppo: sull’organizzazione, sull’immagine, sui rapporti con le istituzioni, sull’efficacia stessa degli strumenti con cui si è scelto di assolvere alla propria mission.
Insieme al 24% delle organizzazioni più avanzate risultanti dalla stessa cluster (1° tipo: "strutturate e soddisfatte per la comunicazione"), esse indicano che il volontariato è in maggioranza ben orientato verso una qualche specializzazione nel comunicare. Nel momento attuale, tuttavia, il panorama complessivo sembra essere più vicino a un grande work in progress: troppo poco sbozzato per lasciar intravedere quale sarà il vero esito di quel positivo orientamento.

La via alternativa alla comunicazione del volontariato
Nella colonna negativa dell’ideale elenco che tentiamo di fare, compaiono elementi di tipo più culturale e strutturale, legati a una maturità nel comunicare che parrebbe ancora ben lontana dall’essere raggiunta.
In primo luogo, permane la resistenza a far assumere agli strumenti di comunicazione esterna la piena "cittadinanza" tra le azioni basilari del volontariato, come forme irrinunciabili per il dialogo con l’opinione pubblica che si vorrebbe/dovrebbe sensibilizzare. In seconda battuta, è ancora troppo poco presente la consapevolezza che la conoscenza dei meccanismi di fondo dei media vada coltivata esattamente come quelle competenze (tecniche, giuridiche, relazionali) per la cui formazione non sembrano invece essere lesinate risorse temporali ed economiche.
Infine, si avverte la perdurante assenza nell’attuale prevalente cultura del volontariato di una concezione dell’attività di comunicazione interpretata in modo differente da come avviene nel mondo della politica, dell’economia, dei vari interessi di lobby.
Il volontariato può trarre da questa ricerca alcuni insegnamenti per sviluppare una possibile via alternativa alla comunicazione. Le sue caratteristiche potrebbero essere le seguenti: una forte componente etica; un "tono" di particolare sobrietà nel rappresentarsi; uno spirito di reale servizio per quei soggetti più deboli a cui, in qualche modo, si può dare voce; una conseguente dose di disinteresse per la pura promozione dell’immagine dell’organizzazione e/o dei propri leader; una strutturazione professionale, ma molto leggera, delle competenze per la comunicazione; un’attività di formazione continua, per i volontari e per la cittadinanza che si ha la possibilità di intercettare, su come si "leggono" i media e su come tutti possono essere meno passivi nei loro confronti; un intento formativo nei confronti degli stessi mezzi di comunicazione, praticato arricchendo per quanto possibile il bacino delle fonti attendibili da poter consultare; una frequente opera di monitoraggio dell’informazione, a cominciare da come vengono trattati i temi di interesse dell’associazione e del disagio sociale in genere.
Il volontariato - o almeno la sua più ampia componente - si trova oggi solo sulla soglia di ingresso del grande mondo della comunicazione, ed ha la possibilità di entrarvi in modi diversi. Ma ha il dovere di farlo con efficacia, e anche con un pizzico di originalità. È infatti questo il nostro auspicio o, ancora meglio, la nostra utopia.

Quale ruolo per i Centri di Servizio e quale proposta per la comunicazione?
Un’ultima e importante riflessione riguarda il ruolo dei Centri di Servizio quali agenti di sviluppo del volontariato nella loro funzione di stimolatori e supporter reali anche sul versante della comunicazione.
La ricerca documenta che attualmente il rapporto tra i Centri di Servizio per il Volontariato e le organizzazioni sul tema della comunicazione è assolutamente insufficiente ma che esistono ampi margini di intervento, di consulenza e di formazione sulle competenze e sulle attività delle organizzazioni. E’ proprio nelle aspettative di almeno un quinto di queste organizzazioni lo sviluppo e il consolidamento, in collaborazione con i Centri di Servizio, di strategie comunicative ma anche di informazioni su tecniche basilari, cultura specialistica e produzione di materiali complessi. Inoltre, poiché il campione esaminato costituisce la "punta avanzata" del fenomeno, sulla comunicazione esiste un universo del volontariato ancora inesplorato e, in gran parte, da stimolare su questo tema.
E’ questa, comunque, una guida importante alla lettura: riconoscere che gli interventi o le possibili azioni non possono seguire improbabili o deleterie omogeneizzazioni e generalizzazioni. Un approccio che parte dalla consapevolezza che, soprattutto nel campo della comunicazione, è importante, innanzitutto, ascoltare e conoscere bisogni e problemi dei propri interlocutori e non costruire interventi rivolti a "masse indistinte".
Una conoscenza e un ascolto che non possono (o meglio non dovrebbero) essere episodio, ma, invece, di tipo continuativo sui singoli territori di riferimento dei Centri di Servizio. Ciò prefigura una sorta di osservatorio permanente sulle organizzazioni di volontariato rispetto a questo tema.
Infine è opportuno sottolineare che non esistono "ricette preconfezionate" quando si affronta la comunicazione. Le differenze di contesto, di culture e di soggetti che si muovono su un territorio possono portare ad attivare strumenti e strategie completare ente diverse.
Infine, è opportuno sottolineare la necessità di cominciare un lavoro che miri a diffondere consapevolezza sulla cultura e sul ruolo della comunicazione per poter costruire servizi che rispondano alle esigenze reali dei cittadini e di tutto il movimento del volontariato.
Tre sono i temi distinti ma convergenti di un'azione incisiva dei Centri di Servizio: la formazione, sia quella avanzata che quella di base, il servizio e la diffusione di una cultura della comunicazione.

La formazione avanzata
Le associazioni del campione, come più volte ripetuto, rappresentano "la punta avanzata" delle organizzazioni di volontariato. Almeno una parte di esse richiede una iniziativa Normativa che non si limita alle tecniche basilari, ma, invece, un intervento che potremmo definire "formazione per classi dirigenti".
La necessità di pensare strategie di comunicazione capaci di costruire relazioni con i media significa anche e soprattutto comprendere e conoscere i media, il loro funzionamento, i loro pregi e difetti Ma significa anche apprendere che adottare strategie di comunicazione avanzate ed innovativi può consentire di "parlare" a chi, fino ad ora, è stato lontano dal mondo della solidarietà e dell'emarginazione.
La formazione avanzata non può prevedere interventi complessi, ma, piuttosto, interventi mirati a gruppi specifici, brevi e intensivi.

La formazione di base
La formazione di base sulle tecniche e sulla produzione di materiali complessi dovrebbe essere attivata per quella parte di organizzazioni che ne facciano specifica richiesta e che, comunque, sono rivolti prevalentemente a chi è ancora lontano dall'affrontare temi e problemi legati alla comunicazione. Sono interventi formativi ad hoc che le organizzazioni preferirebbero costruire in proprio, ma che i Centri di Servizio potrebbero offrire recuperando risorse e professionalità sui loro territori.

Collegamento e stimolo sui grandi temi di interesse del volontariato
Uno dei ruoli che i Centri di servizio potrebbero giocare, soprattutto nei confronti delle associazioni di piccola e media dimensione, è quello di facilitare l'approccio ai media oltre a proporre a questi, e comunicare al territorio, alcuni grandi temi relativi al sociale, soprattutto quando si affrontano temi di interesse comune. Porre all'attenzione del grande (o piccolo) pubblico alcuni temi del disagio sociale da parte di più soggetti associativi sullo stesso territorio, genera sia confusione nell'opinione pubblica e negli interlocutori sia un possibile conflitto fra le associazioni.
Inoltre, senza assumere ruoli di rappresentanza che non competono loro, i Centri potrebbero collegare esperienze e attività di comunicazione particolarmente significative con altre dove l'attività di comunicazione è scarsa o assente.

Promozione della cultura della comunicazione
Il rischio insito nella proposta di interventi di promozione della cultura della comunicazione è il sottoporsi all'accusa di rimanere agganciati ad un livello troppo teorico, troppo distante dalla pratica del lavoro quotidiano delle associazioni. Ma all'assenza di una cultura della comunicazione, non si può rispondere solo con "ricette tecniche" o modelli adatti a tutte le situazioni e i contesti. E' necessario preliminarmente far crescere consapevolezza dell'importanza della comunicazione.
Molte organizzazioni che non sono entrate nel campione (ma anche alcune che ne fanno parte) non si pongono nemmeno il problema della comunicazione interna o esterna.
E' il compito più difficile dei Centri di Servizio che, in un contesto come quello emerso dalla ricerca, potrebbero trovare ostacoli nel far percepire l'importanza della comunicazione come attività integrata e fondante dell'organizzazione di volontariato.

Comunicazione organizzativa
Un'attenzione particolare potrebbe essere data alla comunicazione organizzativa. La necessità di costruire relazioni con l'ambiente esterno (istituzioni, altri soggetti del terzo settore, i cittadini, le imprese, etc.) non può prescindere da una crescita delle relazioni interne all'organizzazione. Il processo di osmosi continua fra interno ed esterno è spesso posto in secondo piano da tutte le organizzazioni (non solo di volontariato). Proporre interventi formativi e organizzativi in questo campo, senza per questo trasformare le organizzazioni di volontariato in soggetti imprenditoriali, assume una nuova centralità soprattutto per garantire sia una migliore comunicazione sia per iniziare a costruire una migliore qualità nei servizi offerti.

La funzione di supporto e di servizio
Visti i limiti espressi dalle associazioni di volontariato nel fare comunicazione (pochi addetti, poche risorse finanziarie, pochi strumenti, poco tempo), i Centri di Servizio potrebbero attivare funzioni di supporto e di servizio. Queste potrebbero riguardare, a titolo di esempio, l'ufficio stampa e l’ufficio comunicazione. La loro attività non dovrebbe sovrastare l'identità e le funzioni del soggetto associativo, ma, invece, proporsi come service per coloro che non abbiano le risorse interne sufficienti ad attivare queste funzioni di comunicazione.
Infine, quale comunicazione per i Centri di Servizio? Anch'essi sono espressione delle organizzazioni di - volontariato. Proprio per questo, in alcuni casi, le indicazioni sugli aspetti formativi e promozionali date per le associazioni hanno un valore anche per i Centri, sia per far crescere professionalità interne nel campo della comunicazione sia per adottare specifiche strategie al riguardo.

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