Sintesi dei principali risultati di una indagine nazionale

Le Organizzazioni di Volontariato nel Settore della Giustizia

Settore Studi e Ricerche (FIVOL)

La ricerca sulle organizzazioni di volontariato impegnate nel settore della Giustizia condotta nel 1999 per conto della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia ha conseguito i suoi scopi principali:

- identificare l’universo delle forze solidaristiche che attuano interventi specifici nei confronti della popolazione soggetta a provvedimenti penali. L’universo noto supera le 300 unità se consideriamo anche le organizzazioni che favoriscono l’attuazione delle misure alternative inserendo nella loro attività soggetti che ne beneficiano.

- descrivere e connotare questo fenomeno, attraverso un disegno di indagine a due livelli: uno, più descrittivo e analitico, attraverso una rilevazione nazionale con un questionario strutturato e compilato da 191 organizzazioni; l’altro, più qualitativo e valutativo, attraverso la metodica degli studi di caso con cui si sono esaminate dieci esperienze significative per un percorso condotto ed emblematiche per le "buone pratiche" nel settore della Giustizia. In aggiunta, ma preliminarmente alla ricerca fenomenologica, sono anche state rilevate le acquisizioni sul tema emerse dall’analisi del contenuto della stampa sociale e specialistica.

I risultati della ricerca sul campione delle 191 organizzazioni di volontariato
Le organizzazioni di volontariato che operano nell’ambito della giustizia rappresentano una realtà particolarmente ricca di iniziative, composita e vivace, per certi versi sorprendente e per altri ben caratterizzata. Con aspetti di tendenza da approfondire e incoraggiare.
Il volontariato attivo in questo settore incontra la giustizia perché incontra il bisogno nell’area del disagio e del rischio rispetto a minori, giovani, tossicodipendenti, immigrati extracomunitari o che, a partire dalla realtà del carcere, sente l’esigenza di espandere la propria sfera di azione per farsi carico anche dei fenomeni sociali correlati a quelli dell’area penale, soprattutto per far uscire l’utenza da questa, operare in termini preventivi e di sensibilizzazione sociale. Pertanto non è un volontariato prevalentemente specialistico, che nasce allo scopo di assistere o promuovere alla vita sociale detenuti ed ex-detenuti.
Si tratta di un segmento di volontariato in parte diverso dal fenomeno solidaristico nazionale: meno legato alle grandi sigle di appartenenza, e più locale, più espressione della comunità, ma anche fortemente collegato in consulte, coordinamenti e federazioni che dimostra la consapevolezza di avere un ruolo politico, per quanto non ancora pienamente esercitato in termini di pressione, di stimolo e di proposta nei confronti dei soggetti pubblici locali e penitenziari. Ciò gli permette anche di acquisire una strategia interna al movimento, di darsi una guida e obiettivi comuni.
È diverso dal fenomeno complessivo del volontariato sociale italiano anche per la preminente componente di ispirazione cristiana che lo anima fin dalle origini e che lo rende più prudente nel fare "sinergia meccanica" con il pubblico, in virtù dell’iscrizione ai registri regionali del volontariato e della disponibilità di qualche contributo economico. Un volontariato cattolico non più monolitico come era un tempo, fatto di volontari singoli, capaci di portare conforto ma anche ammortizzatori dei problemi umani interni al carcere, rivelandosi oggi marcatamente differenziato, collegato con la società civile, capace anche di proposte di impatto sulle istituzioni e ponte con la realtà esterna. "Visitare i carcerati" non è più solo sinonimo di carità ma di giustizia, di salvaguardia di diritti, di sfida all’umanizzazione delle persone in un ambito che tende alla rimozione delle loro potenzialità positive.
Altro aspetto del fenomeno osservato, ma in questo caso non difforme dall’universo noto del volontariato organizzato, è la concentrazione delle sue esperienze più consolidate e dei suoi modelli di intervento più complessi e riusciti, dentro e fuori il carcere, nelle realtà del Centro-Nord. E il meglio in questo caso si declina con il tempo, perché è la lunga sedimentazione di interventi, incontri, conflitti, diffidenze, sfide e prove, in una dialettica con l’istituzione e i suoi operatori, che spinge avanti la cultura dell’innovazione. Ci vuole tempo, fiducia e costanza. Ma oggi le realtà meridionali possono far tesoro dell’esperienza di chi ha già percorso un tragitto e può fare un bilancio.
Se lo scenario fondamentale del settore è quello sopra delineato la tendenza che già morde è quella dell’affermarsi di un volontariato più incline a specializzarsi, a secolarizzarsi e a meridionalizzarsi. Ma anche a spendersi sempre di più sul territorio, prima e dopo la detenzione, in alternativa o in sostituzione ad essa. La maggioranza piuttosto netta di organizzazioni - il 65,4% - si occupa già di persone che usufruiscono di misure alternative o sostitutive alla detenzione e il 55,5% di esse si fa carico anche dell’accompagnamento nella delicata fase del reinserimento di ex-detenuti.
La ricerca documenta come più territorio vuol dire anche più interventi, siano essi di sostegno e promozione per gli utenti, di allargamento delle attività, di maggiore collaborazione/cooperazione con altre realtà pubbliche o private, di mobilitazione di risorse "altre" sul territorio, di più iniziative di sensibilizzazione della popolazione.
Il futuro di questo movimento solidaristico è là dove nasce il problema non dove viene rimosso con il "congelamento" del detenuto, in spazi chiusi ad una sperimentazione positiva di sé, dove vigono regole e valori artificiali e uniformi, dove domina una cultura dell’espiazione che le difficili condizioni di reclusione rendono vendicativa e non riabilitativa.
Quali sono le cifre riassuntive che definiscono i contorni e la portata di questo mondo del volontariato? La fase preliminare della ricerca ha fatto emergere 351 formazioni solidaristiche che intervengono in questo settore presidiando in modo discretamente equilibrato le aree del paese.
La dimensione numerica stimata delle persone complessivamente coinvolte nell’universo di questo volontariato è di 15.000, di cui almeno 5.000 sono volontari attivi, i protagonisti primi delle organizzazioni solidaristiche che garantiscono un impegno complessivo settimanale di circa 21.500 ore. Si tratta di un contingente di persone capace di entrare in contatto in un anno con circa 63.000 persone e di farsi carico con progetti personalizzati o programmi mirati di oltre 13.300 detenuti, 3.500 ex-detenuti, almeno altrettante persone che usufruiscono di misure alternative o sostitutive e 4.900 famiglie.
Si tratta di organizzazioni di medie ma spesso anche di piccole dimensioni. Le persone che fanno parte di queste organizzazioni sono in media 45, ma se consideriamo solamente i volontari attivi tale cifra scende a 13 e in 4 organizzazioni su 10 non superano le 10 unità. Il ricorso alla risorsa remunerata riguarda il 44,5% delle organizzazioni, e sono quelle che offrono i servizi più strutturati, ampi e di impatto sul destino del detenuto e sovvenzionati dalle amministrazioni pubbliche. Ciò fa riflettere sul fatto che parte delle esperienze segnalate sono forse mature per transitare nell’impresa sociale o cooperativistica, ma anche che per sostenere alcune attività è necessario un mix di risorse gratuite e remunerate.
Ma è la dimensione qualitativa quella più importante. A cominciare da quello che fanno. La missione prima di queste organizzazioni è quella di dare sostegno psicologico-relazionale, fare interventi di appoggio di tipo socio-sanitario, garantire ascolto, informazione, consulenza ai loro utenti. È quanto si chiede al volontariato che è risorsa concreta di solidarietà per il sostegno della persona in difficoltà con il fine possibile di promuoverne la capacità autonoma di uscita dalla difficoltà stessa. Quindi la centralità della persona e la condivisione del problema per il suo superamento. Fin qui è un volontariato che assolve al suo compito primario. E anche al suo compito "secondario", ovvero educativo: in 58 casi su 100 mobilita le coscienze, fa azione di sensibilizzazione sull’opinione pubblica. D’altra parte il volontariato penitenziario non rappresenta certo tutta la società civile come si può dire forse del volontariato in generale. Pregiudizi, discriminazioni, paure e diffidenze pervadono l’opinione pubblica che non ha, peraltro, validi motivi di conforto nella gestione della giustizia (tutt’altro che rapida, sicura ed equa) e dallo stato attuale delle strutture penitenziarie, che nella loro uniforme capacità di afflizione non rinviano immagini ottimistiche circa una reale efficacia, ma piuttosto indulgono a pensare alla immutabilità del "reo" con nessuna garanzia di riduzione della recidivanza.
Oggi anche questo non basta più. Il carcere, come luogo emblematico delle miserie umane - come un tempo era l’ospedale psichiatrico - rivela la sua doppia natura di contenitore di persone escluse. La composizione umana del carcere si è deteriorata: giovani sbandati per la droga e immigrati extracomunitari costituiscono oggi due categorie emblematiche della sua popolazione (il 51% dei detenuti ha una o entrambe queste caratteristiche). Pertanto non è un caso che il bisogno percepito come più acuto dal volontariato è quello dell’inserimento lavorativo. Vi è larga consapevolezza che è questa la leva di ogni possibile progetto di cambiamento, la chiave di volta di un effettivo recupero. Occuparsi della formazione culturale e professionale, dell’orientamento al lavoro, farsi carico dell’accompagnamento ad una attività remunerata, favorire opportunità occupazionali, significa elevare detenuti e sanzionati alla dignità di persone e fare al tempo stesso prevenzione reale.
Questa appare la prima nuova sfida del volontariato organizzato e quella oggi più efficace per sostenere progetti di emancipazione dal bisogno, per aprire il carcere alla società esterna, per rendere la pena più rispondente alla sua funzione di recupero sociale. Da qui l’impegno delle organizzazioni esaminate (48 su 100), nelle carceri e fuori, per organizzare corsi pre-professionali, sviluppare competenze strumentali, sostenere progetti di lavoro, organizzare punti di informazione e consulenza, supportare stage all’esterno, accompagnare nei percorsi di lavoro esterno e ricercare o creare occasioni o spazi di lavoro. Non è un caso che il più elevato livello di congruenza tra domanda e offerta di interventi si abbia proprio sul lavoro: il 72% delle organizzazioni che realizza una qualche iniziativa per favorire l’inserimento lavorativo dei propri utenti rispondono ad una richiesta esplicita di questi.
E non è un caso che siano proprio le organizzazioni più collaborative, se non cooperative con enti e servizi pubblici a intervenire in questo senso. La nuova frontiera dell’integrazione pubblico-volontariato si gioca proprio sul tema dell’inserimento nel mondo del lavoro rispetto a cui il volontariato tenta di aprire una pista, di sperimentare forme e modalità compatibili con il sistema sanzionatorio, di sollecitare progetti e interventi, pur sapendo che il suo impegno non è sufficiente; serve anche il pubblico, nelle sue articolazioni istituzionali, l’impresa sociale, l’impresa profit, la società civile intera.
La seconda sfida del volontariato moderno nell’ambito della giustizia si gioca sul versante della applicazione delle misure alternative o sostitutive al carcere su cui si stanno cimentando diverse organizzazioni con ciò svolgendo una importante funzione di "territorializzazione" del carcere, di sperimentazione di nuove soluzioni. Senza il volontariato non sarebbe possibile in molti casi l’applicazione di misure alternative che abbisognano di un supporto logistico, organizzativo e umano oltre alle garanzie di efficacia di tale affidamento.
Il rapporto del volontariato con gli enti, i servizi e le istituzioni pubbliche appare in fase evolutiva e progressiva e tende a strutturarsi, anche se prevale la collaborazione rispetto alla convenzione: gli accordi formali coinvolgono circa un terzo delle organizzazioni.
È il Comune, ente locale elettivo delle politiche sociali, a costituire l’interlocutore primo del volontariato organizzato. E sono molte le organizzazioni che, nell’ultimo anno, hanno avuto, con questo soggetto titolare delle attività di assistenza sociale, un rapporto di collaborazione (71,2%) per progetti, iniziative anche congiunte che, per la metà delle organizzazioni, si esplica sulla base di un accordo pattizio. In questo rapporto privilegiato con il Comune si rivela la natura locale e fortemente radicata sul territorio delle forze solidaristiche e quindi la possibilità di collegare ad esso le politiche giudiziarie e il destino degli ex-detenuti.
Ma si nota una equivalente capacità del volontariato organizzato di fare sinergia con il variegato sistema delle istituzioni della Giustizia, di realizzare insieme progetti o iniziative, di essere disponibili a gravitare nell’operatività e nelle procedure specifiche di questi soggetti, sia in modo informale che formalizzato. I referenti primi di questo mondo sono le strutture di Servizio Sociale, soprattutto quelle per adulti - strutture con cui avvengono scambi e intese anche sul trattamento delle persone che beneficiano di misure alternative - e gli istituti penitenziari, di adulti e minori. L’incontro con queste équipe avviene in modo ancora sporadico e occasionale, ma riguarda pressoché 8 organizzazioni su 10, con maggior frequentazione degli operatori del carcere rispetto a quelli dei Servizi sociali.
Non mancano i rapporti con l’amministrazione penitenziaria per attività di rappresentanza e di consultazione. La partecipazione a tavoli di consultazione o a commissioni istituite da enti pubblici o istituzioni penitenziarie cominciano a interessare un numero considerevole di organizzazioni di volontariato (47 su 100), a significare che questo movimento è ormai considerato un interlocutore attivo e credibile per i soggetti pubblici competenti. Ed è un volontariato non meno attivo nei confronti delle altre organizzazioni di volontariato che operano nella giustizia, per fare insieme gruppo di pressione, coordinamento, consulta, caratterizzandosi questo settore, decisamente, come più compatto di quanto non sia ancora oggi il più esteso universo del volontariato organizzato e quindi più orientato a socializzare obiettivi e progetti.
Non mancano anche contatti con altre organizzazioni solidaristiche e di terzo settore con cui interagisce sul campo, nelle strutture penitenziarie, più per confrontare esperienze, che per fare programmazione comune e realizzare insieme specifiche iniziative.
Questa intensa trama di relazioni e collaborazioni produce non pochi risultati positivi. Con gli enti pubblici è tangibile la crescita della comune operatività, perché collaborazione produce più collaborazione, incrementa la capacità di lavorare insieme e di mobilitare le altre risorse del territorio, facendo passare in seconda schiera obiettivi più autoreferenziali (maggiore visibilità, reputazione, vantaggi sulla struttura organizzativa). Con i servizi del territorio - Servizio sociale e SERT in primis - il rapporto è per lo più concretamente finalizzato sia allo scambio di informazioni, che alla realizzazione di obiettivi operativi tangibili, per la soluzione dei problemi che riguardano i singoli utenti. Non vi è ancora quella vicinanza culturale che permette ai due soggetti di programmare insieme iniziative congiunte, e, soprattutto di formarsi insieme e di discutere delle comuni tematiche per operare in modo veramente integrato.
Con le realtà della Giustizia quello che oggi sembra contare di più sono i risultati in termini di relazione più che di realizzazione comune. Il miglioramento o l’intensificazione degli aspetti relazionali con i vari referenti della Giustizia è il massimo risultato oggi acquisito in attesa di trovare intese e progetti condivisi per una maggiore estensione ed efficacia delle attività. Va segnalato anche il riconoscimento di un ruolo e l’evidenziarsi di un rapporto fiduciario con le istituzioni penitenziarie dato che queste costituiscono complessivamente il principale canale di invio dell’utenza alle organizzazioni solidaristiche.
Infine, si tratta di un rapporto a basso costo per il pubblico: su 100 lire che il volontariato incamera solo 30 arrivano dalle casse pubbliche. Questo indicatore testimonia sia della "libertà" operativa del volontariato dal pubblico che la sua capacità di raccogliere altre risorse attraverso più fonti di entrata, anche se l’impressione è che i proventi siano relativamente pochi, come le stesse organizzazioni lamentano. Tuttavia va considerato che per molte attività di queste organizzazioni sono a costo bassissimo se non a costo "zero". Al riguardo queste organizzazioni, in gran parte tra di loro coordinate, hanno oggi la possibilità di chiedere la realizzazione di servizi e l’acquisizione di competenze ai Centri di Servizio per il Volontariato, dotati per lo più di cospicue risorse.
Nel rapporto con il pubblico non mancano segnalazioni preoccupate di problemi e di vincoli che determinano aree di criticità, inerzie operative e inutili attendismi. Come i vincoli di ordine amministrativo-burocratico, che contrassegnano il rapporto con gli enti locali, insieme alle procedure e alle incertezze che derivano dalla disciplina delle convenzioni e dalle politiche di erogazione di contributi. Problemi questi talvolta connessi con uno scarso interesse dell’amministrazione pubblica rispetto all’operato del volontariato o per incapacità ad assumere questa risorsa organizzata nella programmazione complessiva degli interventi di politica sociale. Con i servizi e le équipe del territorio il vissuto è quello del mancato riconoscimento di un ruolo paritario, così come è palese la percezione della sussistenza di reciproche diffidenze e di dissonanze cognitive nell’interpretazione e nel lessico del proprio agire, che solo iniziative di lavoro e formazione comune di lunga durata possono assorbire.
Anche nei confronti delle istituzioni penitenziarie le organizzazioni di volontariato lamentano procedure lente, burocratiche e rigide, giustificate da esigenze di sicurezza spesso mal interpretate. E che vanno oltre la preoccupazione della necessaria gradualità, prudenza e preparazione che caratterizza normalmente l’approccio degli operatori volontari alle strutture della Giustizia. Succede invece che il volontariato debba attendere, e anche lungamente, alla stregua di un fornitore qualunque del luogo di pena, in ragione della difficoltà ad essere considerato per quello che realmente è, ovvero il depositario di interessi terzi e di valori solidaristici e di cui la stessa struttura penitenziaria si avvantaggia in termini di qualità della propria "offerta".
Le diffidenze, le paure, i pregiudizi, gli inutili rinvii degli operatori penitenziari sono stati altresì esperienza di cui gli stessi ricercatori, che hanno avvicinato alcune strutture nella seconda fase della ricerca, sono stati buoni testimoni. In aggiunta, e da almeno un quarto delle organizzazioni, emerge poi la percezione di una scarsa considerazione del lavoro svolto dai volontari, a segnalare che vi è molta strada ancora da fare per costruire relazioni costruttive e di generalizzata efficacia con gli operatori della giustizia.
Per superare questi problemi il volontariato organizzato deve anche risolvere i propri. Che tende in parte a mascherare, a nascondere dietro quelli degli organismi che incontra, enfatizzando i limiti e i vincoli esterni o degli altri soggetti piuttosto che evidenziare le carenze organizzative interne, la scarsa preparazione dei propri operatori o altri ancora. E questa sensazione di un volontariato che non considera pienamente i propri limiti è evidenziato dalla maggioritaria considerazione che questi risiedano nelle sue ridotte risorse umane e finanziarie, limiti che precedono di gran lunga tutti gli altri problemi, difficoltà e vincoli interni ai gruppi solidaristici. D’altra parte acquisire più risorse e più finanziamenti significa avere più organizzazione e più strategia, più capacità progettuale e realizzativa. Ma non più di un quarto delle organizzazioni segnala limiti inerenti alla non elevata capacità di proposta e progettualità, alla discontinuità di impegno dei volontari, alla loro inadeguata preparazione. Se nel valutare i problemi di rapporto con gli altri soggetti si sottovalutano proprie debolezze o aspetti di corresponsabilità, se ci si concentra a rilevare quelli che limitano maggiormente la propria capacità operativa, emerge più fortemente il rischio delle responsabilità a fattori esterni: la scarsa collaborazione di enti locali, delle istituzioni della Giustizia e delle forze del terzo settore, insieme all’esiguo sostegno economico (fattori che rappresentano il 41% di tutti gli aspetti di problematicità rilevati). Emerge la non elevata consuetudine alla dialettica interna, attraverso riunioni periodiche, per discutere aspetti organizzativi, programmazione a breve-medio termine della propria operatività, monitoraggio e valutazione dei risultati, così come era emersa una scarsa consuetudine alla riflessione sull’operatività specifica insieme agli operatori pubblici. La cultura del fare domina sulla costante riflessione e messa in causa dell’agire, attitudine quest’ultima dei gruppi più ampi che realizzano, anche con équipe semiprofessionalizzate, servizi e interventi in convenzione o di importanza strategica per un organismo pubblico.
Infine, i problemi organizzativi maggiori emergono dalle unità che hanno al proprio interno o in affidamento utenti ed ex-utenti e per la gestione dei quali stanno cercando dei modelli non scontati né disponibili per rendere efficace e reiterata l’esperienza.
La contaminazione pubblico-volontariato è a "double face", non ha un andamento a senso unico per i benefici che ne possono venire al pubblico (motivazione degli operatori pubblici, con il miglioramento degli aspetti relazionali con gli utenti, capacità di avere una visione più ampia dei problemi e dei bisogni degli utenti, supporto effettivo dei volontari) ma si riversa positivamente sul volontariato stesso. Le organizzazioni più integrate con il pubblico non sono solo quelle più attive nella produzione di sperimentate forme di recupero sociale - dalle esperienze di inserimento lavorativo, alle misure alternative/sostitutive alla detenzione, alla sensibilizzazione della popolazione - ma sono contrassegnate in misura maggiore dagli indicatori positivi di sviluppo e vitalità: dall’investimento formativo sui volontari che è mediamente ampio per le realtà esaminate (67% dei casi con attività corsuali), alla promozione del proprio sviluppo attraverso campagne di reclutamento di volontari e attive modalità di raccolta fondi (quasi 1 organizzazione su 2, mediamente), fino alla capacità di fare rete, di connettersi con tutte le risorse del territorio. Chi dialoga bene con il pubblico risulta dialogare con tutti i soggetti del territorio.

Un fenomeno differenziato
Le organizzazioni esaminate non sono però tutte uguali.
Esistono tipi diversi di organizzazioni, in ragione della loro storia e ciclo di vita, della collocazione geografica, della ispirazione ideale e vocazione di intervento e della capacità di offerta. E di tutto questo insieme. Emergono anzitutto tre tipi di organizzazioni che rappresentano modi e momenti diversi di essere nel settore:

  1. il volontariato delle piccole dimensione e dalle "mani nude", che opera da molto tempo nelle strutture detentive in sinergia con i cappellani del carcere, che si prefigge di portare conforto e umanizzazione con pochi volontari molto motivati (talvolta affiancati da religiosi) a pochi detenuti, senza scalfire minimamente l’organizzazione carceraria, né creare una effettiva collaborazione con gli operatori penitenziari. È il volontariato della testimonianza (e della fede) che produce effetti positivi su un numero limitato di detenuti, attraverso un sostegno morale, psicologico e di piccola assistenza materiale, permettendo loro di reagire alla reclusione con una interiorizzazione positiva di valori di senso e aspettative utili per il ritorno in società. Il rischio di questi gruppi è quello di isolarsi nella propria nicchia operativa risentendo del clima di chiusura e rigidità del sistema complessivo;

  2. il volontariato dei progetti finalizzati in carcere. Esso programma interventi che impattano sull’ambiente carcere, o su una parte o componente di persone in stato di detenzione e che richiede una negoziazione e una legittimazione delle strutture della Giustizia, oltre che una dinamica costante con i suoi operatori, anche attraverso riunioni periodiche. Si tratta per lo più di specifici interventi di formazione dei detenuti, come possono essere il recupero scolastico o l’alfabetizzazione dei meno scolarizzati, l’allestimento e gestione di una biblioteca, le prestazioni strutturate (servizi) di informazione e consulenza per l’orientamento al lavoro, la realizzazione di appositi corsi per l’acquisizione di abilità manuali o di competenze teoriche pre-professionalizzanti per piccoli gruppi di detenuti, l’organizzazione di attività sportive, culturali e teatrali, anche in forma di intrattenimento oltre che di animazione dei detenuti. Attività che richiedono competenze e organizzazione specifica, raccordi e mediazioni e che quindi sono alla portata di gruppi di volontariato attrezzati, dotati di un discreto numero di attivisti e di alcuni professionisti a consulenza o alle dipendenze, in grado di reggere le attività più strutturate. Il rischio che queste unità incorrono è quello di supplire in permanenza alle carenze delle istituzioni penitenziarie vivendo in una situazione di sperimentazione continuata senza che si strutturino interventi a regime realizzati dalle istituzioni stesse;

  3. il volontariato che ha una visione "olistica", cioè globale e interconnessa, del problema e delle sue soluzioni: che opera in più ambiti e territori, che si occupa di detenuti ma non trascura la post-detenzione, che ha rapporti con la direzione del carcere ma anche con il Centro di Servizio Sociale per seguire meglio e verificare in itinere la situazione delle persone affidategli per le misure alternative o sostitutive alla detenzione. E che associa al suo intervento per l’utenza quello sulla popolazione con apposite e rituali manifestazioni ed eventi di sensibilizzazione sui temi e problemi della carcerazione, nonché della applicazione delle leggi più orientate al recupero sociale dei detenuti. È questo un volontariato che opera in convenzione con le istituzioni pubbliche e che è dotato di un organico a composizione mista, dove accanto ad un nutrito gruppo di volontari attivi vi sono obiettori di coscienza, soci o sostenitori - che danno il loro contributo in termini anche economici e intervengono negli eventi pubblici dell’organizzazione - e personale specializzato remunerato. Sono queste le unità a cui vengono affidate persone che usufruiscono di misure alternative o sostitutive e che ospitano familiari ed ex-detenuti come ulteriore e preziosa risorsa per motivazione e conoscenza dei problemi su cui l’organizzazione si cimenta. È questo tipo di volontariato che rappresenta la versione più sviluppata di un intervento solidaristico nel settore della giustizia, perché è in grado di unire il carcere al territorio, di sperimentare nuove soluzioni in quest’ultimo ambito, di fare cultura di accoglienza e di accompagnare gli ex-detenuti verso il pieno inserimento. Con garanzia di continuità e di qualità.

Alcune considerazioni conclusive
L’indagine si colloca in un momento particolare del dibattito sulla questione carceraria e sul tema della sicurezza dei cittadini. Da una parte, cresce la responsabilità della società civile nei confronti della popolazione carceraria e del suo destino, come l’indagine ben documenta, facendo presumere che la stagione delle riforme innestate sul vecchio sistema penitenziario possa continuare. Dall’altra, aumentano nella società paure e insicurezza rispetto ai fenomeni della criminalità, grande e piccola., peraltro enfatizzate in modo talvolta strumentale e allarmistico da forze politiche e mass media. Ciò frena, rinvia, ridimensiona la modernizzazione di un apparato spesso pesante, burocratizzato e sempre alle prese con l’emergenza carcere. Le stesse misure alternative, che pur vengono applicate in numero crescente negli ultimi anni, non sono ancora in grado di scalfire nella misura auspicabile la pena detentiva e quindi di mettere in discussione il carcere che vede aumentare la propria popolazione.
Le esperienze esaminate nell’indagine qualitativa (gli "studi di caso") dimostrano palesemente che le misure alternative funzionano e potrebbero essere maggiormente applicate. Il volontariato porta oggi un contributo fondamentale nel settore proprio interpretando in positivo la domanda di sicurezza delle comunità di appartenenza, vale a dire dimostrando che le migliori garanzie alla società si danno non escludendo la persona sanzionata ma aiutandola a diventare un "cittadino".
Le organizzazioni di volontariato sono diffusamente consapevoli della necessità di una loro proiezione sul territorio e per questo auspicano maggiori risorse economiche e umane e si appellano agli enti locali per disporre di spazi di ospitalità; in non pochi casi stanno attrezzandosi sul piano della struttura organizzativa e delle competenze. Talvolta dilacerandosi al loro interno per l’emergere ora dell’anima associativa, quella dei valori e della testimonianza ovvero dell’"essere" della organizzazione, ora dell’anima efficientista, quest’ultima protesa al "fare" e talvolta più orientata al modello dell’impresa sociale che alla gratuità pura. Le stesse organizzazioni molto stanno facendo anche sul piano dell’inserimento lavorativo delle persone sanzionate, che è la vera centralità rispetto al dettato costituzionale (art. 27) della finalità di riabilitazione sociale della pena. Duplice appare al riguardo la direzione di impegno del volontariato: la promozione di cooperative di produzione e lavoro, soprattutto per il primo avvio al lavoro, e la mobilitazione del tessuto produttivo nelle loro comunità di insediamento., ottenendo anche risultati importanti presso artigiani e imprenditori, come nei casi studiati di Livorno, di Biella e di Genova (per i minori "messi alla prova"). E’ un inserimento lavorativo spesso affiancato da programmi formativi, da un servizio di orientamento e di sostegno al lavoro ormai sperimentato in diverse realtà e assunto come obiettivo anche dai progetti realizzati con fondi europei (come "Andrea" nella realtà di Rebibbia, "Arcipelagus" a Livorno, entrambi della componente solidaristica dell’ARCI) che hanno permesso di fare uscire dal carcere i primi gruppi di persone. Si tratta di progetti che, in mancanza di una loro generalizzazione diffusa, dove vengono realizzati suscitano legittime aspettative da parte dei detenuti con il rischio di attribuire alle stesse organizzazioni di volontariato un’importanza superiore a quella reale e frustrando altresì le attese non corrisposte.
Il volontariato è altresì l’unica realtà che si fa carico delle famiglie dei reclusi (ed ex) con interventi progettuali, di sostegno, cura dei figli, ripristino di rapporti intrafamiliari, e che persegue il coinvolgimento degli stessi familiari nella vita associativa dove praticano l’auto-aiuto e possono diventare risorsa solidaristica importante.
Con il carcere, luogo e simbolo della pena, occorre comunque fare i conti e da esso è necessario partire per valutare problemi, progettare percorsi diversi, differenziare risposte, avanzare proposte e avviare soluzioni. Anche in termini di decarcerizzazione quando la reclusione appare inutile, dannosa, o controproducente (ad esempio, nel caso conclamato di chi deve rientrare in carcere mentre è ormai positivamente inserito in altra realtà del territorio), principio che è sufficientemente affermato nell’ambito del settore minorile dove si comincia a parlare di "residualità" del carcere.
Il volontariato è da sempre una risorsa irrinunciabile per una serie di attività in carcere: da quelle di tipo assistenziale (la povertà segue i detenuti in carcere) e di sostegno morale-psicologico (la solitudine è un’afflizione aggiunta) - dove spiccano gli operatori dei gruppi ispirati dalla Caritas - all’intervento culturale (pressoché dovunque la possibilità di lettura in carcere dipende dal lavoro dei volontari per allestire e dotare le biblioteche interne) e ricreativo-sportivo (l’UISP al riguardo si avvale dal ‘93 di un’apposita convenzione con il Ministero di Grazia e Giustizia). Nella crescita e differenziazione delle attività, servizi, progetti del volontariato vi è anche una certa attenzione a fare prevenzione sui soggetti a rischio, sui minori che sono alla deriva nei quartieri più problematici delle aree urbane, nella consapevolezza, esplicitata da un’organizzazione foggiana, che aiutare il giovane significhi "non trovarlo domani detenuto". Infine, le esperienze più mature non rinunciano ad un’azione di sensibilizzazione della comunità al problema, a partire dalle scuole, con un rapporto costante con i mass media locali, con conferenze e seminari, allo scopo di lavorare sui pregiudizi, sul senso di insicurezza e di paura della popolazione. E tale lavoro si sta estendendo, sia pure in modo non ancora sistematico, ai servizi di riconciliazione tra vittima e autore di reati, di prevenzione dei conflitti sociali tra individui e gruppi dello stesso quartiere e con il coinvolgimento della cittadinanza in iniziative di solidarietà su persone e su casi concreti.
Ed è linfa vitale per il carcere, nella misura in cui rompe tabù come, ad esempio, l’impossibilità di superare la routine con una progettualità specifica, e per la testimonianza contaminante rispetto ai valori della dignità della persona, della relazionalità; ma anche per la convinzione che ci possa essere per ogni persona detenuta un percorso di riabilitazione sociale a partire da un progetto di vita responsabilmente assunto.
Per molti detenuti poi, entrare in contatto con il volontariato costituisce la migliore garanzia di un recupero di diritti mai acquisiti, perché la popolazione che vi affluisce è sicuramente tra le più svantaggiate socialmente, culturalmente ed economicamente, come il grande numero di tossicodipendenti e di immigrati extracomunitari attesta (ormai oltre la metà dei detenuti), mentre il tasso dei reclusi "senza lavoro" (disoccupati o inoccupati) è tre volte più elevato di quello nazionale, e 4 su 10 non hanno raggiunto il livello di scolarizzazione dell’obbligo.
L’indagine fa emergere come il volontariato che opera in carcere sia quasi dovunque accettato e apprezzato perché considerato una risorsa importante. Tuttavia è forte la tendenza alla delega dei casi difficili, allo scarico di incombenze non soddisfatte dai pochi operatori tecnici e alla concessione di spazi "in cambio" della realizzazione di attività che il carcere da solo non è in grado di mettere in piedi (corsi formativi o prelavorativi, servizio biblioteca, organizzazione di attività ricreativo-sportive) e che talvolta nascono e muoiono con le risorse del volontariato. E’ il caso di molte esperienze di formazione al lavoro realizzate con successo in carcere, magari con l’aiuto di qualche obiettore e di qualche maestro d’arte esterno e che poi sono state abbandonate per mancanza di fondi, di organizzazione interna, di piena condivisione della struttura penitenziaria che non vi ha investito dopo la sperimentazione praticata dal volontariato. Pur incontrando il favore e la domanda delle persone detenute, queste sperimentazioni non trovano spesso continuità attraverso una loro istituzionalizzazione, con il rischio di perdere anche le eventuali opportunità che si creano all’esterno e che potrebbero dare ulteriore stimolo alle iniziative stesse.
Se il volontariato è presente e attivo nelle strutture della giustizia non è però ancora per lo più considerato o trattato alla pari dagli operatori pubblici. Se di fatto, come si rileva dal contributo di Coppola, la "pari dignità" è dichiarata da un insieme di norme non è diventata ancora prassi, non si è tradotta in concertazione di programmi e progetti, in operatività concreta, in comune impegno nella formazione. Non sembra ancora esservi da parte di tutte le istituzioni penitenziarie la volontà di inserire il lavoro del volontariato dentro un "progetto carcere" o un "progetto giustizia" - laddove vi è la volontà o la cultura a realizzarlo - e quindi a considerare tale lavoro in termini strategici in vista di un miglioramento complessivo dell’offerta nel penale. Talvolta anche per i limiti del volontariato, quando si pone come soggetto salvifico, non sufficientemente coordinato, battitore libero, come quando propone e progetta dall’esterno del carcere senza prima sensibilizzare le direzioni, coinvolgere gli operatori, discutere con loro finalità, procedure e risultati attesi. I limiti delle istituzioni penitenziarie sono invece quelli tradizionali, non ancora del tutto superati, quali: l’autoreferenzialità, la chiusura autarchica, talvolta la paura del nuovo e dell’innovazione che chi entra può portare all’interno delle strutture o delle équipes, con la percezione di un aggravio di compiti da parte degli operatori tecnici (troppo pochi gli psicologi, gli educatori) e, soprattutto di quelli di sorveglianza. I tecnici sono i principali interlocutori dei volontari, il cui contributo crescerebbe presumibilmente di quantità e qualità se fossero in maggior numero. Gli agenti di polizia penitenziaria sono invece spesso, e non a caso, destinatari di interventi da parte delle organizzazioni di volontariato come se costituissero una seconda utenza.
In definitiva, cominciano ad essere numerose e significative le collaborazioni positive tra gruppi e associazioni di volontariato ed istituzioni penitenziarie, e tali da giustificare ampiamente questa prima ricognizione di ricerca per rilevare metodi, criteri di azione sinergica e percorsi. Tuttavia tali collaborazioni non sono ancora condotte in modo permanente ed organizzato. Vale a dire che non vi è ancora, in generale, una disponibilità da parte dei soggetti pubblici e del volontariato a lavorare per progetti in stretta integrazione tra loro. Ed è questa la sfida che aspetta fin da oggi gli attori interessati e che la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia si pone come primo obiettivo.

Gli aspetti distinti del volontariato che opera nel settore della giustizia

- ESPRESSIONE DI COMUNITA’ LOCALI
- MATRICE CATTOLICA
- COLLEGAMENTI E COORDINAMENTI
- LAVORO PER PROGETTI
- RAPPORTO INTENSO CON ISTTITUZIONI E SERVIZI PUBBLICI
- ATTENZIONE ALLA FORMAZIONE
- RICERCA DI SOLUZIONI ORGANIZZATIVE CHE TENGANO INSIEMECOMPONENTI DIVERSE

Parole chiave del volontariato che opera nella giustizia

- ORGANIZZAZIONE
- PROGETTUALITA’
- INSERIMENTO LAVORATIVO
- RESPONSABILIZZAZIONE DELL’UTENTE
- SENSIBILIZZAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA
- TERRITORIALIZZAZIONE DEL CARCERE
- COSA SIGNIFICA PER LE ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO

Lavorare sul territorio

1. REALIZZARE UNA MOLTEPLICITA’ DI INTERVENTI
2. COOPERARE DI PIU’ CON SERVIZI E ISTITUZIONI PUBBLICHE
3. CONTRIBUIRE ALL’APPLICAZIONE DELLE MISURE ALTERNATIVE
4. FAVORIRE E ACCOMPAGNARE PROGETTI DI INSERIMENTO LAVORATIVO
   - programmi integrati
   - promozione di cooperative sociali
   - mobilitazione del tessuto produttivo locale
5. OCCUPARSI DELLA PREVENZIONE NELLE AREE A RISCHIO

Tab. 1 - Ambiti di impegno delle organizzazioni nell’ultimo anno e quello prioritario

tipologia degli ambiti

in totale

ambito prioritario

- penitenziario

87,2

63,4

- ospedale psichiatrico giudiziario

5,2

1,6

- post-penitenziario

55,5

7,3

- misure alternative alla detenzione

57,1

14,7

- messa alla prova e sanzioni sostitutive alla detenzione per minori

17,8

5,2

- famiglie (di una o pił delle categorie precedenti)

53,9

7,3

Tab. 2 -  I tipi di utenza delle organizzazioni di volontariato esaminate; entità e numero medio di utenza considerata e presa in carico

utenze

complessivamente

in carico

numero
utenti
complessivo

numero medio

totale

fino
a 50

pił
di 50

totale

fino
a 50

pił
di 50

in
totale

in
carico

- detenuti

75,4

37,7

37,2

56,0

46,6

9,4

26.829

179

38.5

- persone con misure alternative o sostitutive

59,2

54,5

4,7

49,2

48,2

1,0

2.372

22

11.5

- famiglie di utenti, ex o altri

48,7

43,5

5,2

38,8

37,2

1,6

2.081

23

14.5

- ex-detenuti

47,6

42,9

4,7

37,6

36,6

1,0

2.277

25

10.5

- minori messi alla prova o con misure cautelari

18,8

18,3

0,5

16,2

0,0

0,0

387

11

6.5

totale v.a.

 

 

 

 

 

 

33.946

 

 

Tab. 3 - Tipi di bisogno che le organizzazioni di volontariato considerano più acuti, le richieste che ricevono e i bisogni più soddisfatti

categorie

bisogni percepiti
come pił acuti

richieste testimoniate
degli utenti

bisogni valutati come
pił soddisfatti

- inserimento lavorativo

75,4

56,0

20,9

- socio-sanitari

72,3

64,9

36,1

- ascolto, informazione

64,9

76,4

67,5

- reinserimento sociale

48,2

31,9

17,3

- relazionale

41,9

33,5

37,2

- formativi

28,8

18,8

26,2

- di senso

26,2

---

28,3

- tutela dei diritti

17,8

26,2

14,1

- ricreativo-culturali

16,2

6,3

25,1

n.r.

0,5

2,1

9,4

totale risposte %

627,5

322,8

607,5

totale v.a.

191,0

191,0

190,0

Tab. 4 - I tipi di intervento che le organizzazioni di volontariato realizzano i valori massimi di presenza per alcuni indicatori descrittivi

tipi di intervento

in totale

area geografica
% più e meno

rapporto con
il pubblico

entrate
prevalenti

sostegno psicologico

74,9

+ nord 78,2
- centro 68,5

collaboraz.81,3

*

assistenza socio-sanitaria

59,2

+ nord 65,5
- sud 48,0

*

private 62,8

informazione e sensibilizzazione O.P.

59,2

+ nord 63,2
- centro 51,9

integrazione 72,5

pubbl. 62,9

reinserimento sociale

56,5

+ centro 63,0
- sud 52,0

collaboraz. 64,1

pubbl. 63,8

sostegno alle famiglie

51,8

*

collaboraz. 60,9

*

inserimento lavorativo

47,1

+ nord 58,6
- sud 32,0

integrazione 54,1

pubbl. 57,1

sport, altre attività

41,4

*

integrazione 59,5

pubbl. 52,4

ospitalità in centri

33,5

*

collaboraz. 39,1

pubbl. 37,1

tutela e promoz. diritti

31,4

+ centro 42,6
- sud 24,0

integrazione 37,8

pubbl. 37,1

Fonte: Settore Studi e Ricerche – FIVOL 1999

freccia torna indietro