Il Conflitto
"Dalle cose alle persone"

Imparare a lavorare con gli altri è uno dei compiti ineludibili di chi vuole impegnarsi in un' associazione di volontariato così come lo è per chiunque operi in contesti in cui si deve collaborare con altri.
Questa affermazione riguarda una realtà così diffusa ed abituale che suona scontata. Così come sembra scontato che chi "deve" lavorare con altri "sappia" farlo.
Tanto più se si tratta di volontari: chi ha motivazioni altruiste non può non essere capace di collaborare con altri che abbiano le sue stesse motivazioni.
In realtà non è così. Molte iniziative originate e sostenute dalle migliori intenzioni individuali falliscono perché chi si impegna in esse non ce la fa a sintonizzare le proprie energie con quelle degli altri e vede nelle iniziative di questi soltanto ostacoli al raggiungimento di obiettivi apparentemente condivisi.
E il fallimento inatteso e frustante ma inoppugnabile, viene in genere spiegato sulla base di un fatto naturale.
"Le cose non riescono perché è impossibile lavorare con te" o più chiaramente ancora, "con il tuo carattere rovini tutto".
Così procedendo non si mette in discussione la buona disposizione dell’altro (o degli altri) né tantomeno la propria; è un qualcosa di naturale, cioè di immodificabile, che ha reso vani i nostri sforzi, nessuno ha colpa, anche se "lui" (o "lei "o "loro") dovrebbe stare più attento sapendo com’è, a non rovinare tutto, dovrebbe impegnarsi in compiti diversi....e così via.
Non c’è nulla di "naturale", cioè di inevitabile e immodificabile, nella causa di questi insuccessi. Se proprio si vuole chiamare in causa il carattere di uno o di alcuni non si deve ignorare che anche quello si forma e si differenzia nelle interazioni sociali propri di tutti i processi di crescita.
Chi partecipa ad una interazione sociale condivide inevitabilmente con i suoi interlocutori quello che succede. Nessuno è responsabile di tutto, nel bene o nel male, anche se il contributo di uno può avere un peso ben diverso da quello di un altro ( o di altri) nel determinare il risultato che si raggiunge.
La crescita di ogni organizzazione richiede una lucida consapevolezza della forza, costruttiva o distruttiva, propria delle relazioni fra le persone.
Un gruppo di volontariato, come ogni gruppo umano, non funziona soltanto se tutti quelli che lo compongono sono amici, condividono lo stesso status, le stesse responsabilità e non hanno mai punti di vista divergenti. Gruppi con queste caratteristiche non esistono e chi pretende di adeguarsi ad un tale prototipo per iniziare a fare qualcosa è destinato al fallimento. L’incontro fra persone è produttivo se i protagonisti sanno portare un proprio contributo, sanno considerare con attenzione quello portato dagli altri, sanno esprimere il loro eventuale disaccordo su qualche punto distinguendo il contenuto discutibile (opinabile, insensato) da chi lo esprime.
Il rovescio dello stereotipo che fa immaginare il gruppo produttivo come necessariamente esente da conflitti e da gerarchie funzionali consiste nel dare per scontato che, se ci sono conflitti, questi sono causati dalla qualità perversa, o almeno maldisposta, delle persone in gioco. In altre parole: non ci si deve arrabbiare mai con nessuno, perché se ci si arrabbia non si può non aggredire l’altro.
Come dire che ogni divergenza suscita risposte di tipo pulsionale come se fra l’accordo completo su tutto e l’aggressione nei confronti dell’ altro non ci fossero alternative molteplici per esprimere dissenso e per gestire il conflitto. Sul piano interpersonale così come sul piano dei rapporti fra gruppi o fra istituzioni.
Chi pretende di impegnarsi nel volontariato e non sopporta opinioni diverse delle proprie, non sa continuare a parlare con chi dà torto o lo critica, non sa allargare i propri orizzonti riflettendo su punti di vista divergenti, è, almeno in quel momento, un velleitario.
Se non capisce rapidamente che la realtà è diversa ed impara ad agire in modo conseguente produrrà soltanto danni e difficoltà a chi dovrebbe collaborare con lui (o con lei).
Imparare a mantenere una relazione con altri con cui si è in disaccordo così come si può imparare a gestire un conflitto interpersonale sino, talvolta, a trarne profitto. Ma poiché questi elementi di maturità non sono acquisiti in modo naturale, è indispensabile che ci sia l’ opportunità di acquisirli attraverso la formazione. Ecco dunque un bell’argomento per la formazione, e l’auto formazione, dei volontari.

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