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Aggiornato al 11/3/2001
Libri e censura: laddove esiste
(di Francesco Catania)
Qualche tempo fa, il presidente della Regione Lazio, Storace, fece scoppiare uno scandalo con la sua proposta di istituire una commissione di saggi affinché venissero selezionati i libri di testo ‘giusti’, e ‘non marxisti’ (definizione, nella quale, peraltro, rientravano -a quanto pare di comprendere leggendo le cronache sui giornali, vedendo i TG e sorbendosi i ‘Porta a Porta’- tutti i testi che non mettevano sullo stesso piano coloro che hanno combattuto per la Repubblica di Salò ed i partigiani). La stampa ha lasciato ampio spazio sia ai fatti di cronaca grigia in cui i giovanotti approntavano su Internet liste nere con i nomi degli insegnanti faziosi, sia alle gustose scenette in parlamento dove, sotto gli occhi dei bambini delle elementari, i nostri politici si scambiavano civilmente gli epiteti di “fascista” e “comunista”. Anche gli studiosi hanno avuto ampia occasione di dire la propria. Quello che forse nessuno vi ha spiegato è che, però, in realtà, esistono tutt’ora stati in cui i libri di testo devono passare sul serio il vaglio di una censura. Solo negli USA ci sono 22 stati in cui il controllo c’è e condiziona seriamente la vita non solo degli autori, ma delle stesse case editrici. Questi controlli sono nati a livello ‘politico’, ma, a differenza di quanto accade nel nostro Paese, non sono facilmente bollabili né come ‘di destra’, né come ‘di sinistra’. Anzi, spesso e volentieri le commissioni sono formate da persone che capiscono poco di politica almeno quanto di educazione giovanile, ma che, in compenso, sanno fare la voce grossa e coagulare intorno a sé i gruppi di interesse più svariati (dai fondamentalisti cristiani ai capitalisti-sfegatati, passando ovviamente per i gruppi ispano-americani e femministe-nazionaliste). I risultati di questa selezione censoria sono stati sotto il profilo economico la distruzione dell’editoria scolastica (solo sei case editrici in tutti gli Stati Uniti possono sopportare i costi di adeguare e stampare più volte i libri), mentre dal punto di vista stilistico i testi sono stati appiattiti in una scarna cronologia degli eventi più importanti. D’altronde, tanto per rendere l’idea di quanto sia pregnante il controllo, nel Texas comandato dai conservatori, un libro venne bocciato perché ‘afferma, poco patriotticamente, che il presidente Washington aveva un carattere irruento ed ispira il socialismo fornendo un immagine troppo positiva di Franklin D. Roosevelt (considerato alla stregua di un ‘comunista’ perché aumentò il numero degli appalti governativi per salvare il paese dalla ‘Grande Crisi’ NdR); un altro libro, nella democratica California, non passò il vaglio perché definiva gli africani “schiavi” invece di “persone ridotte in schiavitù”, negando così loro i diritti fondamentali e recependo una sfumatura che sfugge perfino ai professori universitari. E fin qui, sembrerebbe una diatriba tra Repubblicani e Conservatori, ma che dire quando alla McMillan McGraw-Hill un libro viene revisionato perché il vocabolo ‘magia’ esprime un concetto anticristiano? O quando un libro viene respinto perché le fotografie dei presidenti (maschi) surclassano in numero le immagini delle donne, violando così la parità tra i sessi? La risposta è semplice. La censura sui libri di testo non è necessariamente una ‘cosa’ di destra o di sinistra. E’ una minaccia al libero pensiero ed all’espressività degli autori ed all’intelligenza dei lettori. In un paese libero, ognuno deve poter stampare quello che desidera: se a parte del pubblico non piace, quella parte di pubblico è liberissima di giudicarlo, criticarlo e comprarne un altro. Fare un libro unico che accontenti destra e sinistra, conservatori e progressisti, significherebbe, come gli USA stanno tristemente dimostrando, rendere la storia poco più di un calendario imparato a memoria, indigeribile per lo studente medio e perfettamente inutile: se non si impara a comprendere il mondo di oggi tramite gli eventi di ieri, che razza di storia è?