Capitolo 2

LE TECNOLOGIE DIDATTICHE

 

Spesso, quando si parla di tecnologie didattiche[1], ci si riferisce ad alcuni strumenti come la televisione, la radio, la lavagna luminosa ed il computer. In realtà, per una definizione corretta ed esauriente delle education technology, è assolutamente limitativo soffermarci solo sui software e sugli hardware che vengono utilizzati nell’insegnamento e nell’apprendimento, ma bisogna estendere il nostro interesse anche ai processi attraverso i quali si raggiungono gli obiettivi didattici. Le tecnologie didattiche riguardano, quindi, sia gli strumenti tecnologici, sia le pratiche d’insegnamento, tutti finalizzati al processo educativo.   

 

Con il termine “tecnologie didattiche”, si fa riferimento ad un ambito caratterizzato da sistematicità e interdisciplinarietà in cui vengono integrate le varie discipline.

 

2.1 QUANDO NASCONO LE TECNOLOGIE DIDATTICHE (MACCHINE PER INSEGNARE)

 

Le education technology (o tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento) hanno origine negli anni ’20 con uno psicologo americano, Sidney Pressey. Le macchine per insegnare, da lui progettate, consistevano in un congegno molto semplice, con cui venivano presentate, all’utente, delle domande a scelta multipla. Una volta che l’allievo individuava quella che per lui era la risposta giusta, doveva premere il bottone corrispondente ad essa; se la risposta era esatta, la macchina proponeva l’argomento seguente, se, invece, la risposta era errata, la macchina registrava l’errore e obbligava lo studente a procedere per scelte successive, sino a quando non trovava la soluzione. I limiti di queste macchine consistono nella loro scarsa adattabilità ai processi di apprendimento: se la risposta è sbagliata, al fine di poter completare il compito l’allievo, spesso, ricorre ad un procedimento alla cieca. In questo caso non è più la macchina che si adatta all’allievo, ma viceversa, è l’allievo che si deve adattare alla macchina!

 

Nel 1954 B. F. Skinner pubblicò un articolo - The science of learning and the art of teaching - di fondamentale importanza nella storia della tecnologia educativa, in cui sottolinea la necessità dell’introduzione delle teaching machines nel processo di apprendimento, in relazione alla teoria del rinforzo da lui formulata.

Alle macchine di Pressey, Skinner mosse l’accusa di essere, più che delle vere e proprie macchine per insegnare, delle semplici testing machines, ovvero macchine che controllano il grado di apprendimento dell’alunno in cui, però, non vi è traccia d’insegnamento. Le macchine che egli propose contenevano in se quelli che egli stesso riteneva i requisiti fondamentali per l’apprendimento:

 

-         comportamento operante dell’allievo (e non più passivamente rispondente, come avveniva  in  Pressey);

                 

-         rinforzo frequente e immediato; esse, infatti, avevano la duplice funzione di inviare informazioni e di rinforzare le risposte corrette.

 

La macchina - che nella programmazione skinneriana rappresentava il sostituto dell’insegnante - prima di andare avanti, si preoccupava di constatare che l’alunno avesse ben capito e appreso un dato concetto, in modo da rinforzarlo “positivamente” e costantemente, ponendolo nelle condizioni di non sbagliare mai. Infine essa, per ogni risposta corretta, rinforzava l’allievo con un feedback[2] immediato che “plasmava” il comportamento dell’allievo e che, allo stesso tempo teneva vivo il suo interesse.   

Pur non essendo questo nelle sue intenzioni, Skinner può essere considerato il padre fondatore di un nuovo settore disciplinare, che prende il nome di EDUCATIONAL TECHNOLOGY (O INSTRUCTIONAL TECHNOLOGY), che si è diffuso non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo.

 

2.2 IL COMPORTAMENTISMO

 

Il Comportamentismo può, dunque, essere considerata la prima teoria di riferimento della storia delle tecnologie didattiche.

Tale teoria affonda le sue radici nelle ricerche sul condizionamento del comportamento animale, di cui si occupò non solo Skinner. Da tali studi emergeva che attraverso l’introduzione di un rinforzo positivo (un pezzetto di formaggio, negli esperimenti che lo studioso fece con i topolini bianchi), si otteneva il comportamento desiderato. Tutto ciò viene esteso anche all’apprendimento umano, il cui RP[3] (rinforzo positivo) è rappresentato dalle conseguenze positive delle nostre azioni. E’ ovvio che qui stiamo parlando di processi di apprendimento elementari e non di attività intellettuali complesse e astratte.                              

 

La psicologia comportamentista, infatti, considera il condizionamento come una componente della condotta umana che può interagire con l’attività intellettuale e che l’uomo usa per raggiungere le proprie finalità.

 

2.3 SUPERAMENTO DEL COMPOTAMENTISMO: APPROCCIO COGNITIVISTA

 

Il comportamentismo non fu immune da critiche!

Ricordiamo la polemica tra Skinner e Crowder, il quale mostrò attenzione, non solo ai comportamenti, ma anche alle cause che li determinano e ai processi interni da cui essi scaturiscono: “… abbiamo l’impressione che l’apprendimento umano abbia luogo in diversi modi e che questi cambino secondo le capacità e le conoscenze dei diversi studenti, la natura dell’argomento, il numero di interazioni fra queste cause di mutamento e altre cause di variabilità che neppure conosciamo.” (CROWDER, 1960).

 

Gagné dà una rappresentazione strutturale del sapere, ponendo così le basi per l’individuazione di stadi progressivi nel processo di apprendimento. In questo modo si viene a configurare un nuovo approccio alla psicologia dell’apprendimento, che è radicalmente opposto a quello comportamentista: il COGNITIVISMO. 

Questa corrente psicologica, nata negli anni ’60, proprio come reazione al Comportamentismo, si concentra soprattutto sui processi interni, sugli atteggiamenti e sugli stati mentali da cui deriva il comportamento.

Il maggior esponente del Cognitivismo è J. Piaget, il quale si interessò degli stadi dello sviluppo cognitivo e dell’importanza dei conflitti cognitivi per la costruzione/ristrutturazione della conoscenza.

Questo studioso determina la svolta del Cognitivismo affermando che il soggetto entra in contatto con l’oggetto e più in generale, con la realtà che lo circonda, attraverso l’azione. Riteneva, infatti, che non c'è niente di meglio, per far comprendere qualcosa al bambino, che lasciargliela sperimentare in prima persona. In accordo con quest’affermazione era convinto che, ai fini di un miglior apprendimento, l'insegnante dovesse lasciare gli allievi liberi di provare e verificare cose e nozioni, anziché semplicemente trasmetterle loro.

L'applicazione dei principi del cognitivismo alla didattica, prende il nome di COSTRUTTIVISMO il quale considera l’apprendimento un impegno attivo dei discenti nella costruzione del proprio sapere, e non più un’azione passiva che permette un semplice travaso del sapere dal docente (o dalla macchina) al discente.

 

Le posizioni teoriche del costruttivismo possono essere così sintetizzate:

 

-         Sapere come costruzione personale. Il sapere non è più obiettivo, ma ciascuno si costruisce il proprio sapere attraverso l’interpretazione dell’esperienza personale;

                                                                                                                                         

-         Apprendimento attivo. L’apprendimento deve essere un processo attivo in cui il discente conosce attraverso le proprie esperienze. In quest’ottica l’insegnante non è più colui che trasmette le sue conoscenze agli allievi, ma è colui che facilita il processo di apprendimento;

 

-         Apprendimento collaborativo. L’educazione deve promuovere la collaborazione con gli altri, in modo da mostrare le molteplici prospettive che ci possono essere su uno stesso problema;

 

-         Importanza del contesto. La conoscenza è intrinsecamente collegata all’ambiente, non è obbiettiva, ma è soggettiva, per cui, il costruttivismo, propone che l’apprendimento abbia luogo in un contesto quanto più possibile prossimo al reale. L’apprendimento dovrebbe svolgersi, infatti, in un contesto collegato alla comunità che pratica quella conoscenza, o in cui quella conoscenza è inserita. Questa posizione attribuisce all’insegnamento scolastico tradizionale il limite di offrire agli studenti una cultura scolastica, che ha poco a che fare con la cultura in cui sono naturalmente inseriti gli argomenti oggetto dell’insegnamento;

 

-         Valutazione Intrinseca. La valutazione (o il testing) dovrebbe essere parte integrante del processo di apprendimento, anziché venire considerato come un’attività separata da esso. 

 

Questa teoria ha permesso l’applicazione delle tecnologie alla didattica e ne ha favorito la sua evoluzione, soprattutto dagli anni ’90 con la diffusione dell’ipermedialità.

 

            

 

 

 

 

 



[1] In inglese: “Education technology”

[2] Con questo termine si designa il controllo progressivo della propria prestazione, che producendo la soddisfazione di avere risposto bene, funge da rinforzo.

[3] Rinforzo positivo.