Il poliuretano espanso flessibile e l'ambiente

Uno dei processi più interessanti per il riciclo del poliuretano consiste nel ricomporre assieme, per azione della pressione, particelle di schiuma poliuretanica avvalendosi di un legante solitamente anch’esso poliuretanico. Le particelle vengono ottenute in prevalenza dagli sfridi di lavorazione di blocco flessibile opportunamente macinati, che hanno il vantaggio rispetto a schiume "vecchie" recuperate, di essere pulite e selezionate per l’impiego all’origine; da qui l’aspetto multicolore e vivace frequente nei manufatti di riagglomerato. Il legante è una miscela di poliolo ed isocianato che non hanno reagito completamente e quindi ancora in grado di legarsi chimicamente alla schiuma; la preparazione avviene in un serbatoio a parte. In un mescolatore viene distribuito il legante in modo uniforme sulle particelle di schiuma, la miscela viene poi trasferita alla fase successiva di formatura. In questa fase si possono utilizzare processi in discontinuo o continuo.
Nel primo caso la miscela è posta in uno stampo solitamente a forma di parallelepipedo e iniettata con vapore per far reagire il legante, il blocco formato viene infine estratto e lasciato raffreddare ed asciugare.
Nel secondo caso la miscela viene compressa tra due convogliatori inclinati, in movimento continuo, sino alla densità desiderata e quindi nella sezione finale viene iniettato vapore, sempre per fare reagire il legante.
La qualità delle schiume riagglomerate dipende da numerosi fattori, tra i quali:
  • le caratteristiche degli sfridi di espanso utilizzati (densità, forme)
  • la densità finale del riagglomerato
  • la dimensione media e l’uniformità delle particelle utilizzate
  • il tipo di legante e la quantità adoperata rispetto alla quantità di schiuma
Il prodotto finito può essere lavorato in modo simile al blocco poliuretanico convenzionale; tagliato, sagomato, incollato, ecc. Le applicazioni della schiuma agglomerata sono varie: per le buone capacità di assorbimento di energia può essere usata per tappeti ginnici, appoggiatesta, sottotappeti, parti di scarpe da sci e moquettes (specialmente per il mercato americano), ed in genere dove sono necessarie alte densità (dai 60 ai 200 Kg/metro cubo).
Per finire, due parole sui volumi di schiuma processati in questo modo: si stimano 20.000 tonnellate all’anno per l’Europa e ben 200 milioni di libbre, pari a 90.000 tonnellate, per il mercato nordamericano.


  • Il recupero energetico dei poliuretani
Abbiamo visto come il poliuretano può essere riutilizzato mediante riagglomerazione; un’altra valida alternativa è il recupero energetico.
Ogni 100 parti di petrolio estratto, 4 parti vengono trasformate in materie plastiche, delle quali i poliuretani fanno parte.
Già durante il processo di fabbricazione delle plastiche si producono degli scarti di lavorazione che però possono di norma essere facilmente separati. Inoltre, alla fine del loro ciclo di vita, ovvero del periodo di tempo per il quale ci sono utili, buona parte di queste plastiche finiscono in rifiuti urbani.
Si calcola che circa il 7% dei rifiuti urbani sia costituito da diverse famiglie di plastiche. Ci troviamo quindi di fronte a plastiche separate nel corso del processo produttivo, oppure miscelate con altri residui industriali, o ancora insieme ai rifiuti urbani. In tutti i casi, qualora bruciate in modo controllato, producono calore e quindi energia.
L’incenerimento dei rifiuti urbani costituisce una valida modalità di smaltimento in alternativa alle note discariche. Il rifiuto urbano, in virtù della sua composizione (plastica, carta, fibre e simili), possiede un potere calorifico proprio, che può essere integrato da combustibile convenzionale e da cariche anche di poliuretano flessibile. In questo caso l’addizione di poliuretano in fase di incenerimento non peggiora le condizioni di funzionamento del forno o la composizione dei fumi e si può addizionare poliuretano sino al ben 30% in volume del rifiuto da incenerire.
Alternativamente gli sfridi di poliuretano possono essere usati da soli o in miscela con altre plastiche in centrali termoelettriche in parziale sostituzione dei combustibili principali (detti primari) tradizionali come il carbone, oppure in forni per cemento o come cariche d’altoforno per produrre l’acciaio. In questi ultimi casi l’uso di materie plastiche oltre a ridurre il fabbisogno di combustibile primario consente anche di migliorare la qualità dei fumi di combustione riducendo l’emissione di ossidi di zolfo e azoto pericolosi, noti come SOx e NOx. Attenzione deve essere dedicata alle condizioni di gestione del forno, alla composizione della miscela delle plastiche ed alla presenza di alcuni elementi chimici indesiderati.
Alla base della scelta di recuperare il contenuto energetico delle plastiche e dei poliuretani non bisogna quindi porre solo il calcolo della convenienza economica dell’operazione, ma anche altri aspetti altrettanto importanti, quali la riduzione del volume occupato dai rifiuti, la controllabilità del processo ed il minore consumo delle fonti di energia primarie quali carbone e petrolio.


  • La polverizzazione
La polverizzazione permette operazioni di recupero di tipo fisico, in quanto a seguito di un processo meccanico di riduzione del materiale in piccole particelle esso può essere opportunamente incorporato nel poliolo usato per produrre schiume nuove. La parte fondamentale del processo è la riduzione in piccole particelle con diametro dell’ordine di pochi decimi di millimetro, che si ottiene mediante opportuni mulini o altre tecnologie. Nel caso dei mulini dei cilindri ruotano in senso opposto forzando la schiuma attraverso una stretta fenditura dove viene "strappata" e ridotta in particelle, oppure la premono contro delle piastre munite di piccoli fori. Le particelle vengono quindi setacciate e quindi premiscelate con il poliolo che viene fatto reagire con l’isocianato.
Questa tecnica è applicabile a molti tipi di schiuma, ma viene preferibilmente adoperata per riciclare i sedili automobilistici, dove una percentuale del 15-20% di materiale riciclato lascia fondamentalmente invariate le caratteristiche della seduta.


  • La glicolisi
La glicolisi è invece una operazione di natura chimica nella quale vengono spezzate le lunghe molecole di poliuretano per rigenerare le molecole di partenza o comunque molecole di minore lunghezza utili per essere riutilizzate per la produzione di poliuretano.
Il processo consiste nel trattare le schiume con glicoli di diverso tipo e catalizzatori opportuni, che combinati ad elevate temperature e pressioni porta alla formazione di poliolo ed una serie di sottoprodotti. Il poliolo così ottenuto può essere miscelato con poliolo nuovo in percentuali diverse, a seconda delle sue caratteristiche. Nei casi migliori questa percentuale può arrivare sino al 90%, consentendo così di produrre schiume che contengono quindi anche il 30% di materiale riciclato.
Questa tecnologia si applica attualmente al poliuretano microcellulare quale quello adoperato per la calzatura, al poliuretano stampato (RIM) per parti auto, alle schiume isolanti rigide. Il suo impiego per il riciclo delle schiume flessibili è attualmente allo studio, non tanto dal punto di vista tecnico quanto per trovare la giusta collocazione ai prodotti di recupero.

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