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-Scialpinismo in Iran dal 27.2.2001 al 7.3.2001 Freeride:
una filosofia di viaggio. Esplorazione
sci-alpinistica in chiave moderna . Di: Piero RUFFINOIl viaggio a mio avviso è da intendersi come un modo ludico per riappropriarsi dei propri tempi e spazi, senza lasciarsi condizionare dalla frenesia consumistica tipica del nostro mondo “tecnologicamente avanzato”; un ritorno al passato quasi a voler ripercorrere le gesta dei viaggiatori dell’ottocento. Mi ha sempre affascinato l’idea di viaggiare sommando alla curiosità umana il desiderio di visitare luoghi poco conosciuti con gli sci al seguito, quasi a voler giustificare la nostra presenza in lande desolate che altrimenti non avrebbero giustificato una deviazione dai normali canali turistici. Negli ultimi anni con l’amerikanismo verbale imperante è nata una parola perfetta per il viaggio avventuroso nel mondo della “glisse” e …..”tassativamente on the road”: FREERIDE. Freeride è voglia di sciare o meglio telemarkare viaggiando il più possibile, sia su pendii sconosciuti dove si ha la consapevolezza di cosa significa essere dei precursori, sia ripetendo discese già effettuate ed ampiamente documentate ma in circostanze e condizioni diverse di volta in volta; il massimo della libertà è poter sciare viaggiando senza troppi problemi per l’itinerario, se si vede un bel pendio perché non affrontarlo indipendentemente dal nome della montagna , della località o della sua importanza: un’esplorazione in chiave moderna e perché no, scanzonata, soprattutto se intrapresa con la compagnia giusta ma tassativamente senza programmi ingessati. In Europa esistono infinite possibilità per “freeraidare” ma il fascino esotico delle terre lontane indubbiamente ammaglia maggiormente; si tratta di una diversa dimensione di tempo, spazio ed isolamento che nel “Vecchio Continente” è più difficile raggiungere. Quando ci si prepara ad un viaggio FREERIDE si è indaffarati a raccogliere notizie ed informazioni non solo alpinistiche, trasformandosi in novelli esploratori che rifiutano tutto un insieme di regole vigenti nel cosiddetto “mondo tecnologicamente avanzato”; elementi di geologia, antropologia e geografia vengono rispolverati, il tutto all’insegna della curiosità e del conoscere, doti che ultimamente stanno scomparendo a favore di un piattume uniformato dei viaggi tutto compreso e tutto prestabilito! Più è insolito un luogo per lo sci tanto più diventa appetitoso ed interessante, beninteso a condizione che esistano pendii innevati; Marocco, IRAN, Corsica, Sicilia, Libano, Creta sono solo alcuni dei terreni di gioco del moderno freeride prova ne è che sino a pochi anni or sono questi viaggi venivano chiamati “spedizioni” ma erano altri tempi che, ci hanno consentito con le esperienze vissute in prima persona di evolverci innalzando il livello tecnico, migliorando l’attrezzatura attualmente prodotta in serie per gli amanti del genere. Riassumendo si potrebbe dire: ad ognuno la sua traccia,non importa se a pochi kilometri da casa od in una landa deserta, l’importante è essere convinti di ciò che si sta facendo , Giulio Verne ha tratto spunto per i suoi racconti dalle colline torinesi, immaginandosi i luoghi più impensati ………incredibile ma vero. Quest’anno è stato magico, vissuto alla grande: quantità industriali di polvere bianca sulle nostre Alpi, due bellissimi viaggi nel più puro stile Freeride in Corsica ed in IRAN – Bakthiaristan dove ho potuto compiere la discesa mai compiuta prima d’ora di 4 bellissimi pendii , di cui uno di sci estremo, in compagnia di amici e compagni di viaggio fantastici; e si il nuovo millenio è iniziato sotto i migliori auspici. Il raid telemark alpinistico in Corsica meriterebbe un articolo autonomo; l’avvicinamento in nave, una magnifica settimana sci ai piedi con un gruppo di telemarkers: Giorgio Daidola, Morten Aass, Maurizio Fasano e John Eames tutti con le stesse aspirazioni e con i quali ho potuto condividere delle magnifiche discese di telemark ripido sulle montagne corse: M.Renoso, M.Cinto, Col Perdù, M. San Giovanni, La valle d’Haut Asco e la Val d’Ese sopra Bastelica tutti luoghi perfetti per lo sci-alpinismo moderno e poi, che emozione salire nel silenzio e sciare vedendo il mare….. Il top però l’ho toccato appena una settimana dopo la “gita corsa”con l’esplorazione scialpinistica del Backthiaristan iraniano provincia di Shar è Khord o città dei Kurdi, posto ad Est di Esfahan l’antica capitale della Persia. In IRAN ero già stato altre 3 volte e pertanto la preparazione del viaggio fine a se stesso è stata relativamente facile (visti, permessi, contatti, cosa portare e cosa no…….); l’incognita era insita nello scopo del raid: l’esplorazione sciistica di un territorio montuoso vasto come il nord-ovest italiano con delle cime di 4.000 metri e degli avvicinamenti kilometrici in stile alpino senza portatori. Molteplici sono stati i lati positivi di quest’ultima esperienza: l’incognita di scegliere l’itinerario giusto, la mancanza assoluta di informazioni sulla zona nel periodo invernale. La scelta delle montagne da salire e poi discendere si basava sull’estetica della stessa, alla sera si decideva cosa fare il mattino successivo ma immancabilmente durante il percorso kilometrico di avvicinamento ai pendii, si cambiava idea e la montagna salita era un’altra rispetto a quella scelta precedentemente. Dei nomadi che hanno utilizzato gli sci per spostarsi ed addentrarsi all’interno del territorio iraniano attraverso magnifici ed interminabili altipiani costellati da centinaia di cime inviolate, ecco come ci siamo sentiti: nomadi tra i Bakthiari, popolazioni autoctone che in estate valicano di continuo la catena montuosa del Zagros alla ricerca di nuove praterie per le lore greggi; col tempo si è instaurato un rapporto di stima reciproca e per me è stato curioso essere osservati ed entrare come attori principali nelle discussioni degli abitanti dei villaggi che abbiamo marginalmente toccato durante la nostra attività sportiva, noi per loro eravamo degli extraterrestri con delle attrezzature spaziali che riuscivano ad andare senza troppi problemi in luoghi considerati impossibili fino a quel momento. L’esperienza di “tracciare” una “prima discesa” dove non c’era mai stato nessuno prima di te, è un’emozione indescrivibile, quasi un orgasmo che ti dà coscienza di cosa stai facendo e che ti rende consapevole che con i tuoi racconti e col tuo esempio, diventerai un “pathfinder” per altre persone interessate a condividere la gioia di visitare quella montagna e percorrere quella via, nel contempo, prima di iniziare a sciare su terreno ripido, fai un piccolo esame di coscienza, soprattutto se ci si trova a parecchie ore dal più vicino villaggio ed a giorni dal primo ambulatorio di pronto soccorso, pochi istanti poi un bel respiro liberatorio che dà il via alla prima scarica di salutare adrenalina: la prima curva saltata ed il pendio ti diventa famigliare, in fin dei conti sciare è sempre bello. Ora una brevissima scheda tecnica dell’esplorazione: partenza in aereo da Torino Caselle (molto più comodo e meno stressante di Malpensa), arrivo a Theran e viceversa; 1600 Km. percorsi su strade di tutti i tipi su di un minibus fuoristrada, salite e discese per la prima volta in invernale le seguenti montagne: Chal-Michan 3.650 m. , Zaro Kuh 3.550 m. , Gambar Kuosh 3.750 m. , Ghilash 3.350 m. , la quota di partenza si aggirava per tutte intorno ai 1.900/2.000 m. . Un ringraziamento ai miei cinque compagni di viaggio: Silvia Ponzo, Paolo Anselma, Roberto Cravero, Farshad Khalili (ottima guida alpina autoctona ed unico sci-alpinista in IRAN) e al bravissimo autista Reza nonché al sig. Roberto BOSSI (Swissair). Gli indirizzi utili per chi volesse ripetere la nostra esperienza: Caravan
Sahra Tourist Co. Email: caravan@caravansahra.com
(Sig.ra Sharzad Korasanizade Italian Dept.)
Farshad Kalili Email: farshadkhalili@hotmail.com
Piero RUFFINO Ó
feb. 2001 Si
puo’ ancora essere pionieri? La
“scoperta” dell’Iran scialpinistico. Di: Paolo ANSELMA E’ trascorso giusto un anno da che Piero Ruffino & Company, dalle pagine della Rivista della Montagna, aprivano una finestra sul pressoche’ sconosciuto mondo iraniano, il suo ambiente e le sue montagne. La profezia espressa nelle ultime righe dell’articolo di Piero si e’ avverata: quando Silvia mi disse che Piero avrebbe avuto intenzione di far ritorno in Iran per sondarne le risorse scialpinistiche al di la’ delle ormai classiche ascese al Damavand ed ai pendii frontistanti la capitale, ne fui entusiasta ed accettai di buon grado. In verita’ ne sapevo ben poco di quello che avremmo fatto, di dove e soprattutto di come saremmo andati sulle montagne iraniane, ma la cosa non mi turbava affatto, anzi, una volta tanto costituiva un irrefrenabile stimolo a non approfondire nulla ed a non cercare di informarmi piu’ di tanto. Oggi posso dire che sono stato premiato, e che le risposte a tutti gli interrogativi circa l’ambiente, la gente, il clima, le montagne e ... lo scialpinismo in Iran sono ampiamente positive. Mentre sto scrivendo, rileggo le belle parole di Giorgio Daidola apparse sul n. 233 della Rivista, e lo ringrazio. Lo ringrazio perche’ mi fa sentir giovane quando afferma che con gli anni qualcosa in lui e’ cambiato, che viaggiando pensa quasi sempre al ritorno e l’interesse per il viaggio scema di giorno in giorno mentre “una volta” partiva e dimenticava tutto, senza sensi di colpa. In verita’ io ho proprio dimenticato tutto in questi otto giorni di Iran, e i sensi di colpa li ho lasciati veramente in Occidente! A parte gli scherzi, credo che il significato recondito delle sue frasi sia un altro: al di la’ dell’inclemente passare degli anni e del cambiamento dei gusti, la risposta e’ insita in quel “mondo sempre piu’ uguale” cui Daidola fa cenno. Tutto, ovunque, appare standardizzato, adattato ed omologato in qualche modo alle psicotiche necessita’ del mondo moderno. In Iran, per ora, l’omologazione e’ una realta’ ben lontana. Per assurdo dunque, proprio quei caratteri di deprecata “arretratezza” politica, di costume, di sviluppo economico e -perche’ no?- turistico ne fanno una meta che puo’ racchiudere ancora forte interesse. Queste considerazioni sono in sintesi la risposta all’interrogativo che mi balenava innanzi prima di partire, e che forse e’ l’interrogativo di tutti: con tutte le montagne che abbiamo, perche’ andare a sciare in Iran? Siamo in quattro: Piero, Roberto Cravero, Silvia Ponzo ed io. All’arrivo all’aeroporto di Teheran ci aspetta Farzhad, la guida gia’ sperimentata da Piero, che si rivelera’ persona amabile e discreta, con ottima padronanza dell’inglese. Nel piazzale il gruppo si completa con Reza, il simpaticissimo ed abilissimo autista del pulmino che per sei giorni ci scorrazzera’ in giro per l’Iran. Basta poco tempo per renderci conto delle distanze di questo paese: l’Iran ha un’estensione tre volte maggiore rispetto alla Francia. Per arrivare alla nostra meta iniziale, un villaggio a sud dell’antica Isfahan, viaggiamo tutto il primo giorno, con una sosta nella splendida antica capitale, e pernottamento in un albergo di Shahr-é- Kord. Qui inizio a rendermi conto di quali possono esser stati gli orrori di una guerra (Iran-Iraq) durata oltre otto inutili anni, finita da circa dieci e costata al paese la bellezza di un milione di miliardi di lire italiane. Mi pare che questo, oltre alle restaurate, anacronistiche regole religiose, sia in sostanza il regalo fatto all’Iran dal ventennio di Repubblica Islamica. Dopo aver attraversato una splendida zona desertica, iniziamo ad arrampicarci tra colli e avvallamenti dove, d’improvviso, compare la neve e trasforma il panorama in un tripudio di scorci d’alta Alpe. Arriviamo alla nostra meta, che sara’ la base per tutte le successive escursioni, verso le dieci e mezza del mattino. Saremo ospiti di una fatiscente curiosa struttura che doveva essere stata creata ai tempi dello Scia’ come complesso sportivo - sciistico. Posati bagagli e vettovaglie, ci accingiamo a cercare la nostra prima gita; risalito il vicino colletto che corona quest’ampia vallata rimaniamo stupefatti di quanto ci appare al di la’: un’immensa distesa bianca coronata da superbe cime anch’esse completamente innevate e pronte ad esser salite per la prima volta. A tutta prima non ci rendiamo conto che le distanze sono enormi: tutto questo fantastico comprensorio immacolato, del qule si riesce perfettamente a vedere l’orografia, i pendii migliori, i canali, le creste, ha in realta’ un’estensione impressionante. E solo due giorni dopo, in un viaggio di perlustrazione con il pulmino, riusciamo a capire che, dietro queste montagne, ci sono altre immense vallate, ed altre innumerevoli creste innevate... Si tratta infatti di una maestosa catena montuosa, lo Zagros, che si estende per centinaia di chilometri quadrati, da nord ovest a sud est dell’Iran e che raccoglie decine di vette che superano i 3500 metri di altezza. Il piu’ alto del gruppo e’ il monte Oshturan, con i suoi 4.070 metri. Inutile dire che cartine non ne esistono e nessuno ha mai calcato queste zone d’inverno. Euforici, decidiamo di dirigerci verso quella superba vetta, proprio di fronte a noi al di la’ del vallone, percorsa da un lungo, ampio canale che muore sulla cima. Iniziamo a discendere il colletto per attraversare l’ampio vallone. Solo dopo due ore di marcia ci rendiamo conto che la nostra meta, lungi dall’avvicinarsi, risulta sempre piu’ lontana. L’ampio vallone e’ in realta’ una sterminata distesa bianca, solcata da numerosissime e profonde insenature, due delle quali ospitano le diramazioni di un gonfio torrente. La prima ha un ottimo ponte ma la seconda, distante chilometri, nulla. Che fare? Ogni ipotesi di salita e’ preclusa anche per domani se non riusciamo in qualche modo a guadare. Senza perderci d’animo perlustriamo il corso del torrente e riusciamo ad individuarne un’ansa piuttosto stretta, la cui riva, a picco, e’ disseminata di massi squadrati: perche’ non tentare di creare un ponte facendo ruzzolare i massi in acqua e cercando di sistemarli al meglio? L’operazione e’ ben laboriosa e durera’ circa un’ora, ma alla fine, il ponte e’ fatto: tutti e cinque riusciamo a passare sull’altra riva ed un silenzioso, comune entusiasmo ci pervade. Riprendiamo la nostra marcia sull’altopiano immacolato, e dopo circa un’ora giungiamo alla base della salita. Sono ormai le tre del pomeriggio, il trasferimento necessario per giungere li’ era stato di di ben tre ore, oltre al tempo speso per “l’ingegneria idraulica”. Decidiamo di tornare alla base e di rifare il percorso l’indomani. Il giorno seguente, sci ai piedi intorno alle sette, ripercorriamo il pianoro, che per noi non ha piu’ segreti. Alle dieci iniziamo la salita vera e propria, decidendo “a vista” dove dirigerci; canali, cengette, ampi pendii ci conducono velocemente ad un ampio vallone, dal quale ci rendiamo conto che l’attacco di quel canalone finale cosi’ ambito e’ ancora distantissimo! E’ ormai passato mezzogiorno: inutile tentare, decidiamo di salire la vetta, simile all’altra, che ci sovrasta. La nostra guida e’ felice: e’ la prima volta che calza gli sci da scialpinismo e le sembra di sognare vedendo il percorso fatto. Dopo un lungo canalone ed una veloce pietraia sferzata dal vento, all’una, euforico, arrivo in cima. Avendo anticipato di qualche minuto gli altri, siamo soli, quassu’, io, una superba, bianca distesa, e il cielo di Persia. Paolo ANSELMA Ó feb. 2001 |
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