8. La lezione francese. (Blore Smith, 26 aprile
2002)
L'esito del primo turno elettorale delle presidenziali
francesi, con l'esclusione del candidato della sinistra e primo
ministro in carica Lionel Jospen, e il passaggio al secondo turno
del cadidato dell'estrema destra, ha suscitato allarme e molteplici
riflessioni.
Il fatto che i politici di professione non abbiano capito
cosa stava per succedere lascia forse spazio anche alla riflessione,
modesta, di un cittadino europeo non professionista della politica.
La lezione francese si può articolare in cinque
paragrafi.
1. Il buon andamento dell'economia generale, come pure una
conduzione onesta della cosa pubblica, non sono dati percepibili
incisivamente dall'elettorato, più interessato alle emergenze della
cronaca che si riverberano sulla sua esperienza pratica, e non alle
tendenze di lunga durata, diffuse ma impalpabili.
2. Il costo
degli ideali umanitari, come l'accoglienza mondialista e la
tolleranza della criminalità, che danno luogo ai problemi d'ordine
pubblico e ai conflitti etnico-culturali, viene scaricato
direttamente sui cittadini più indifesi, costretti a viverne le
conseguenze inevitabili. Chi, demagogicamente o meno, denuncia
questo fatto, coglie un disagio reale, che penalizza i governi che
non sanno occuparsene.
3. L'astensionismo, in regime di
maggioritario, non è innocuo, ma cede a chi non si astiene il suo
peso elettorale. Non votare equivale a rafforzare il potere dei
pochi che votano, con effetti imprevedibili e sottovalutati. Lo
stesso vale per la frammentazione delle opzioni, che sottrae voti ai
candidati ideologicamente più vicini e li aggiunge a quelli
ideologicamente più lontani.
4. L'elettorato è raggiungibile
dai nuovi stili della comunicazione, con i loro peculiari aspetti
tecnici, le loro modalità retoriche sensazionalistiche, e
un'efficacia persuasiva che non può essere ignorata. Non
preoccuparsi delle modificate abitudini della ricezione culturale e
politica delle masse è un grave errore.
5. I partiti della
sinistra sono i più restii ad accettare l'inevitabile trasformazione
dei confronti elettorali in termini spettacolari, dove i contenuti
politici sembrano perdere efficacia rispetto a promesse che si
rivolgono all'immaginario e sollecitano fantasie di potenza. È
necessario perciò riformulare i termini di una retorica
fantasmatica, capace di ritorcersi su se stessa per far riaffiorare
gli argomenti e i problemi reali.
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