LEONARDO TERZO
MODERNITÀ, SOGGETTO, DESIDERIO.
Da Don Giovanni a Myra Breckenridge
Vorrei intervenire nella discussione sul mito di Don Giovanni nella letteratura e nella cultura occidentale con una riflessione meno legata ad esempi particolari e volta invece a cogliere un senso più generalizzante di questo mito, a vederne i risvolti, e soprattutto i rapporti e i legami con i problemi e le tendenze di ciò che nella teoria storico-fi1osofico-culturale contemporanea si definisce appunto il discorso della modernità.
Vedremo poi anche come l'ossessione amorosa e sessuale,
investita di una valenza trasgressiva, venga rappresentata nella narrativa
americana contemporanea in versione modernista e postmodernista, in tre esempi:
Henry Miller, personaggio e autore di Tropic of Cancer e Tropic of
Capricorn, Alec Portnoy, protagonista di Portnoy's Complaint di
Philip Roth, e infine Myra Breckenridge protagonista del romanzo omonimo di
Gore Vidal[i].
Nella cultura contemporanea, insieme al dibattito sul postmoderno, è in corso
anche un più lungo dibattito sulla modernità, su quali siano i caratteri
fondamentali del mondo cosiddetto moderno. La modernità giunge ad una più
precisa coscienza di sé nel Settecento, ma certo è il prodotto di un lungo
processo che, partendo dalle scoperte scientifiche e geografiche del XVI sec.,
perviene alla Rivoluzione Francese.
La modernità si definisce anche come epoca del disincanto. Essa si distingue
dall'età pre-moderna dove regna la psicologia della fede, dove ideale e reale
coincidono, perché il suo fondamento è il soggetto come cosa che pensa, secondo
il cogito cartesiano. Nel mondo tradizionale regna la gerarchia che si ritiene
coincida con l'ordine naturale; la vita umana è situata in un contesto di
sicurezza e totalità; principi universali, valori e fatti coincidono. Nel mondo
disincantato della modernità invece la psicologia del soggetto dipende proprio
dalla separazione tra valori e fatti; non vi sono gerarchie ed essenze
pre-esistenti su cui fondare un'autorità.
Don Giovanni, come libertino del Seicento, si presta a rappresentare nella sua
leggenda due aspetti fondamentali della crisi derivante da questo passaggio
epocale dalla concezione pre-moderna alla concezione moderna del mondo. Il primo
aspetto è la molteplicità del reale, che scaturisce dal crollo e dalla
frantumazione della visione unitaria e totalizzante del cosmo. Il secondo è la
liberazione del desiderio che scaturisce dalla necessità del soggetto di
trovare conferma alla propria soggettività nel riconoscimento da parte di un
altro[ii].
Il discorso sul desiderio si presta a una quantità di considerazioni. Ma
intanto diciamo che il mito di Don Giovanni si può leggere come paradigma della
variabilità del desiderio moderno in un mondo che non è più il mondo unitario e
stabile della tradizione, bensì è un mondo frantumato, che offre una
straordinaria varietà di oggetti del desiderio. L'eterogeneità del mondo
produce la labilità e la variabilità degli attaccamenti e l'amore è stimolato dalla
diversità e dalla novità. Come dice una poesia del Conte di Rochester,
libertino inglese della seconda metà del Seicento: poiché il carattere della
natura è la mutabilità, la fedeltà in amore è contro natura:
Since 'tis but Nature's
Law to change constancy alone is strange.
Si comprende allora in primo luogo la funzione del convitato di pietra. La
pietra è la cosa più inerte e stabile nella catena dell'essere. Inoltre, la
statua del Commendatore è un monumento funebre. Il suo intervento presenta i caratteri
della spettacolarità e una funzionalità ideologica di cui parleremo in seguito,
ma il modo in cui è eseguita la punizione del reo è significativo, perché è un
esemplare contrappasso che ferma nella morte la frenetica mobilità sentimentale
di Don Giovanni, ovvero blocca la mutabilità del desiderio.
Potremmo notare peraltro l'ironia che per bloccare la mobilità di Don Giovanni,
la statua del Commendatore, questo monumento di pietra alla concezione stabile
del mondo, debba a sua volta muoversi, quasi a conferma della natura
distruttiva del movimento. Del resto qui la statua svolge il ruolo del demonio,
perché lo strumento punitivo della trascendenza, starei per dire il sicario
divino, è il diavolo. In questo senso la funzionalità ideologica della fabula
del Don Giovanni precorre quella della narrativa gotica che si avrà
nella seconda metà del Settecento in reazione al dominio del romanzo realistico[iii].
Abbiamo cioè la punizione del razionalismo, che crede di poter fare a meno del
trascendente. Strumento della punizione è il ritorno del sovrannaturale
rimosso.
Il desiderio, come anche l'immaginazione, è strumento del divenire, che può
operare soltanto in un cosmo imperfetto ed aperto. Nel mondo tradizionale, dove
regnano invece la stabilità della gerarchia e la perfezione dell'ordine,
immaginazione e desiderio sono visti con sospetto, come portatori di
degenerazione e disordine. Il desiderio presenta sempre due facce: può essere
visto come minaccia alla vita sociale, sintomo del disagio della civiltà,
passione irrazionale, manifestazione dell'istinto predatorio, e questo è in
sostanza il modo in cui appare in Don Giovanni, dove il desiderio è aggressione
maschile a una vittima vulnerabile che è la donna. Ma può essere visto anche
come coscienza desiderante, energia trasformatrice della storia, o addirittura,
come dice Bataille, resistenza all'assimilazione borghese.
Se Don Giovanni incarna dunque la mobilità del desiderio moderno, e cerca di
dominare un cosmo frantumato, passando da un frammento all'altro di esso, il
contesto ideologico in cui egli opera rappresenta un mondo che non può ancora
accettare la modernità del libero pensiero, un mondo in cui domina l'etica
della virtù e del dovere e non quella della pulsione individualistica priva di
una meta, per così dire, naturale del desiderio. La trama del dramma illustra
quindi i segni di due epoche diverse nel travaglio del passaggio dall'una
all'altra.
Lo stesso Don Giovanni si trova a condividere caratteri che appartengono alle
due concezioni del mondo che si stanno succedendo. L'etica della virtù è
trasgredita in termini di false promesse, quando egli viene meno alla parola
data, che per l'aristocratico e l'unico criterio etico per condurre un rapporto
all'altezza del suo rango. Essere all'altezza del proprio rango è ciò che si
esprime ad esempio nella frase: io son chi sono.
Da un lato si potrebbe sostenere che il dovere nobiliare di mantenere la parola
data non è valido nei confronti della donna, che non è titolare di diritti pari
a quelli del maschio aristocratico, ma sta a mezza via tra il cavaliere e le
figure inferiori, come lo schiavo, il contadino o il servo.
Nel mondo borghese, l'equivalente del dovere aristocratico
di mantenere la parola data è il far fronte ai propri debiti negli affari.
Ancora oggi infatti un atto di adulterio è meno dannoso per l'onore di un uomo
che il non pagare una cambiale. L 'inganno amoroso dunque per Don Giovanni
potrebbe non essere sentito come un venir meno ai suoi doveri di cavaliere.
D'altro lato ci sono comunque due momenti, quello del duello e quello
dell'incontro finale col Commendatore, in cui Don Giovanni è all'altezza del
proprio rango e accetta i criteri della società tradizionale di cui per altri
versi egli rappresenta la sovversione. Si tratta di due momenti che possiamo
chiamare momenti di scambio simbolico, con cui nella società feudale si
conferiva o si confermava l'ordine e il rango, attraverso i quali i contendenti
si davano il reciproco riconoscimento di dignità e di valore.
Quando si affronta un inferiore, lo si bastona ma non lo si
uccide, o lo si affida alle cure dal proprio servo, come capita a Masetto nel Don
Giovanni di Mozart-Da Ponte. Il duello appare quindi un momento di
rilegittimazione arcaica del cavaliere, che recupera dignità alla sua funzione
guerriera, ridotta e avvilita nella conquista femminile a ciò che Da Ponte
definisce “donnesche imprese”.
Don Giovanni non viene meno alla parola data invece nell'appuntamento con la
morte per mano del Commendatore. Quando egli infatti invita il Commendatore a
cena non può immaginare che il Commendatore venga davvero dall'al di là. Ma
quando il Commendatore si presenta, Don Giovanni sa che deve mantenere la
promessa. Così la punizione ridà nobiltà a Don Giovanni. Questa restaurazione
della nobiltà coincide con l'atto di giustizia: quindi due condizioni vengono
reintegrate con lo stesso atto, la nobiltà e la giustizia. E anche l'onore
delle donne offese dalla seduzione, ma soprattutto la reintegrazione di Don
Giovanni nei canoni di comportamento di una società che il suo agire empio e
trasgressivo minacciava di sovvertire.
Il senso della fabula di Don Giovanni a livello ideologico sembra dunque
reazionario: consiste nella repressione di un desiderio anarchico, che non
accetta di indirizzare le proprie energie vitali e virili a fini sociali, per
costituire cioè quella cellula della società che è la famiglia. Ci pare di
poter dire però che la regressione, che avrebbe potuto realizzarsi come
rimozione, si attua invece piuttosto come denegazione, cioè come desiderio fino
a quel momento rimosso, che si affaccia ora invece alla coscienza, a patto di
essere negato, cioè punito.
Nella fabula di Don Giovanni si è detto che la donna è vittima, ma nella sfera
dell'eros, se non vi è violenza bensì seduzione, la vittima in qualche misura è
anche complice. Se Don Giovanni conquista le donne, sebbene con le false
promesse di fedeltà e di matrimonio, perché le donne si fanno conquistare da
lui? Nel destino delle donne sedotte opera, secondo me, il residuo della
visione della donna come dotata della sola anima sensuale e non anche
dell'anima razionale, cioè della donna che, sul modello biblico di Eva, non è
in grado di resistere alla tentazione del serpente. Ma un'altra componente
dell'inclinazione della donna a farsi sedurre è l'amore stesso, cioè l'amore
passione, svincolato da ogni razionalizzazione e da ogni utilizzazione sociale,
contrapposto all'altro tipo di amore, cioè l'amore per definizione coniugale.
In sostanza, oltre all'inganno, la donna subisce anche il fascino dell'amore
utopico, che richiede da lei una complicità nell’asocialità di Don Giovanni. Di
qui l'ira dei padri che come è ovvio rappresentano la legge.
In tutta la letteratura, o almeno in molta letteratura, infatti, questo tipo di
amore è incarnato da personaggi malvagi o ingannatori, o semplicemente indegni.
Pensiamo a Wickham in Pride and Prejudice di Jane Austen, pensiamo a
Natascia in Guerra e pace che, quando è già fidanzata col principe
Andrea, s'innamora brevemente, e per ragioni apparentemente inspiegabili, di
Kuraghin.
Da dove deriva il fascino che induce le donne a tale complicità? E in sostanza
da dove deriva quello che secondo me è l'essenza del personaggio, ovvero l'inesauribilità
del desiderio o, se si vuole, l'impossibilità che il desiderio sia appagato, e
quindi anche distrutto? A mio parere deriva dal bisogno di allontanare la
morte, ricominciando la vita, cioè il processo erotico, ogni volta da capo
senza portarlo a termine. Senza procedere dall'innamoramento alla famiglia, ai
figli, alla maturità, alla vecchiaia e alla morte.
Ciò di cui già nel Don Giovanni di Tirso si accusa il protagonista è di
sprecare il tempo della vita. Il ritornello di Don Giovanni: “Què largo me lo
fiais” , sia che voglia dire: “a questo ci pensiamo dopo” , sia che voglia
dire: “fidati di me ancora un momento”, è comunque un modo di chiedere più
tempo, cioè di aumentare il tempo presente senza farlo finire nel futuro. La
frase: “a questo ci pensiamo dopo” è un differimento della fine del tempo, cioè
della morte.
La mobilità e la quantità delle conquiste di Don Giovanni servono a tenere
l'amore sempre nella condizione iniziale e a non farlo evolvere verso la
stabilità sociale, che è modificazione e divenire verso la morte. Don Giovanni
si oppone all'essere per la morte; è invece un personaggio che vuole essere
solo per la vita. La società repressiva che lo punisce è saggia, proprio perché
sa che l'eterno presente non è possibile, e in effetti ci aspetta la morte.
Essere per la vita è dunque illusorio e precario. Don Giovanni supplisce alla
possib1lità di fermare il tempo e di fermare l'avvicinarsi della morte
ricominciando sempre da capo un'altra vita, cioè un'altra conquista ogni volta.
Egli sostituisce l'eternità con la quantità.
Ma se la fabula di Don Giovanni è conformista, se non addirittura reazionaria,
in un certo senso possiamo dire che il personaggio ha sconfitto la fabula,
poiché proprio per la sua fama di seduttore il personaggio sopravvive ad essa e
alla sua morale. Mentre personaggi come ad esempio Tartufo o il Misantropo,
come tanti altri del resto, sono solo se stessi, non escono cioè dalle
rispettive opere, Don Giovanni è uscito non solo dall'opera di Tirso, ma anche
da quella di Molière o di Mozart, per diventare non solo una leggenda e un
mito, come Faust e pochi altri, bensì, oltre la leggenda e il mito, è diventato
nome comune ed eponimo. Vediamo allora di comprendere alcuni momenti o alcune
motivazioni di questa traslazione verso l'eponimia.
Don Giovanni è un ateo, un libero pensatore, iconoclasta e libertino. Ciò che
fa la sua leggenda, quello che è più o meno comune alla maggior parte, se non a
tutte, le versioni della sua storia è dato però da due elementi: la sua
capacità di seduzione e la sua morte spettacolare. Dunque eros e thanatos.
Cominciamo da quest'ultimo: la morte a ben vedere è la cosa più sicura e più
comune nella vita umana. Tutti muoiono, tutti dobbiamo morire. È un fatto
doloroso, ma è banale. Tra l'altro, essendo la morte la fine della vita umana,
essa si presta come fine naturale di una storia. Per rendere rimarchevole un
fatto così ovvio, occorre renderlo spettacolare. Di qui lo spettacolo della
statua che si muove e trascina Don Giovanni all'inferno.
La spettacolarità è il carattere preminente della realtà contemporanea. Essa è
un dato basilare della società di massa, bombardata da un flusso travolgente di
informazioni in gara tra loro per attirare la nostra attenzione con tutti i
mezzi, cioè con lo spettacolo. Ma la spettacolarità è sempre stata, anche nelle
epoche passate, una modalità della comunicazione che si rivolgeva alla massa
popolare. Uno spettacolo tipico del medioevo fino al Settecento erano le
esecuzioni capitali. Ad esempio le storie di criminali, raccolte nel Newsgate
Calendar della prigione londinese di Newsgate, descrivono il piacere delle
folle che assistono alle esecuzioni esemplari ed efferate di altrettanto
efferati e sanguinari delinquenti.
Si capisce quindi perché la morte di Don Giovanni diventi uno dei fattori della
fortuna di questa storia. Perché è eseguita in un modo particolarmente
eccitante. Non solo cioè perché risolve le tensioni della trama - noi vogliamo
vedere il cattivo punito - ma perché la trovata della statua che si muove, per
quanto sia un elemento ricorrente nel folklore europeo[iv],
rappresenta uno di quegli eventi che, in connessione alla morte e alla
punizione, con il significato che abbiamo indicato prima, ci procura allo
stesso tempo paura e piacere, anzi il piacere della paura attraverso qualcosa
che è stupefacente e, allo stesso tempo, è anche una conferma e una
soddisfazione delle nostre attese.
L'altro elemento, abbiamo detto, è eros. È significativo che il termine
libertino abbia perso oggi il suo significato filosofico connesso alla libertà
di pensiero, e sia rimasto soltanto col significato relativo alla trasgressione
sessuale. Anche nella storia di Don Giovanni ciò che rimane impresso
nell'immaginazione collettiva non è la sua rivolta etico-filosofica, ma la sua
rivolta contro i freni della libertà amorosa. Dico amorosa e non sessuale di
proposito, perché siamo ancora in una fase in cui il sesso non ha una sua
autonomia diciamo così culturale, cioè non è ancora preso in considerazione,
come nella società attuale, come una sfera di interessi con una dignità
propria, separabile da altri tipi di rapporti interpersonali: si può dire che
fino a Freud il sesso si dà in un certo senso per scontato, come cosa naturale
intrinseca all'amore e al matrimonio.
La riduzione della rivolta di Don Giovanni all'ambito della sfera dei rapporti
sentimentali dipende anche dal fatto che la libertà di pensiero è acquisita
nella società odierna, mentre il libertinaggio sentimentale, per quanto
esorcizzato dall'ironia, mantiene una sua carica inquietante, fatta di un misto
di ammirazione e disprezzo. Ma questa riduzione dipende anche da una funzione
propriamente simbolica e sublimizzante della rappresentazione dei rapporti
amorosi nella letteratura. La rappresentazione dei rapporti tra i sessi nelle
arti non ha mai solo un significato letterale, come documentazione di ciò che
avviene o può avvenire nella realtà e nella società.
Nella cultura occidentale troviamo, tra le altre, due trame archetipiche, che
possiamo chiamare il mito maschile e il mito femminile. Il mito maschile è una
storia di conquista: pur in una varietà di versioni e modulazioni essa narra
sostanzialmente di come un giovane eroe perviene ad una meta, ad una posizione
di potere nel mondo, che comporta la sostituzione dei precedenti detentori del
potere, ovvero l'uccisione del padre.
Il mito femminile invece è la trama rosa. Oggi il romanzo rosa è tra i generi
della cultura bassa e popolare, ma la trama fondamentale di questo tipo di
storie è una trama che nel Settecento e nell'Ottocento è servita da struttura
narrativa per autentici capolavori, che hanno fatto la storia del romanzo
realistico come Pamela di Samuel Richardson, Pride and Preiudice, di
Jane Austen, Jane Eyre di Charlotte Brontë. La trama rosa[v]
consiste in una storia in cui una protagonista donna resiste alla proposta di
un rapporto amoroso eticamente non significativo in relazione ai valori della
società del suo tempo e, attraverso i suoi rifiuti e soprattutto attraverso una
battaglia culturale, costringe l'uomo ad impegnarsi in un rapporto più
avanzato, che si propone così come nuovo modello di rapporto sociale e
sessuale. Se ad esempio la storia del Don Giovanni Tenorio di Zorilla,
alla fine indotto a pentirsi da Ines, fosse narrata dal punto di vista di
quest'ultima, forse sarebbe una trama rosa.
Oggi il romanzo rosa può giustamente essere considerato un genere diseducativo
e reazionario, non solo perché scritto sulla base di tecniche compositive e stilemi
narrativi risaputi ed esauriti, ma anche perché propone dei modelli di rapporto
tra i sessi niente affatto emancipatori, bensì tali da riconfermare la donna in
ruoli sessuali e sociali che, rispetto alla valorizzazione attuale della donna
nelle società occidentali avanzate, si considerano insoddisfacenti.
Nel mito maschile la lotta per la conquista del mondo è
spesso rappresentata, soprattutto nella commedia, ma anche in storie con esito
diverso - pensiamo al Werther di Goethe per esempio - come una contesa
per sposare una ragazza. La conquista del mondo è cioè trasformata e sublimata
in conquista amorosa. La donna quindi, nelle storie che interpretano il mito
maschile, ha una valenza simbolica, è sempre anche altro da sé, rappresenta il
mondo e svolge il ruolo di oggetto della conquista.
Il fatto di caratterizzare Don Giovanni come maniaco della seduzione amorosa è
significativo proprio perché si sceglie di fargli svolgere, attraverso questa
particolare ossessione, la sua funzione storico-filosofica di ribelle
metafisico. Ma questo è solo un passo ulteriore sulla via di una trasposizione
e sublimazione che, collocandolo nella Storia, aveva già fatto di Don Giovanni
un iconoclasta libertino del XVII sec. Infatti questa caratterizzazione storica
sarebbe già, secondo Otto Rank[vi],
un residuo sublimizzante di una consuetudine antica, addirittura preistorica:
l'uccisione effettiva del capobranco-padre, qui trasposto nel Commendatore, per
sostituirlo nel possesso delle donne dell'orda.
Da un lato dunque la trasposizione della conquista del mondo
in conquista della donna è una sublimazione che dovrebbe ingentilire e
raffinare, ad opera della presenza femminile appunto, una storia di lotta per
il potere, dall'altro la malvagità del protagonista deve essere tale che non
può essere dimostrata solo dalla seduzione, sebbene la seduzione sia il tratto
più caratterizzante del personaggio, ma deve essere dimostrata dall'omicidio.
Se si trattasse solo di seduzione, la storia sarebbe forse
una commedia, come Il malato immaginario o Tartufo incentrate sul
personaggio negativo, cioè sul personaggio ostacolo che si oppone al lieto
fine, e che alla fine viene sconfitto. Ma la sconfitta di questi personaggi
negativi consiste di solito nello smascheramento e non nella morte. La morte di
Don Giovanni immerge invece il dramma in una serietà che raggela e immobilizza
una velocità d'azione che, in termini di genere drammatico, sarebbe degna della
farsa.
Qui si pone infatti il problema del genere letterario
dell'opera. Discutere l'opera in termini di genere letterario infatti permette
di osservarla come in controluce per coglierne sia i significati realizzati sia
quelli presenti allo stato potenziale. Di solito l'opera viene definita una
tragicommedia. Vediamo in effetti quali elementi dei vari generi contiene in
sé, quali lascia sviluppare, e quali invece restano inespressi. L 'elemento
tragico non esiste in senso proprio, perché Don Giovanni non vive
problematicamente alcun rapporto, sa sempre quello che vuole e la sua sfida iconoclastica
è condotta con una decisione e una sfrontatezza che sfiora l'incoscienza.
Questo fino al confronto finale col suo destino. Nel momento in cui Don
Giovanni affronta la morte senza pentirsi e senza esitare, potremmo intravedere
il germe della tragedia eroica, se fosse possibile porsi in una posizione di
simpatia nei suoi confronti.
La cosa sarebbe però anacronistica, anche se non escludo che
da un punto di vista attuale la storia potrebbe essere riscritta accentuando
l'eroismo di Don Giovanni come sostenitore della libertà di pensiero. Ma ciò
andrebbe a scapito dell'elemento seduttivo ed erotico.
Una misura di eroismo si può certo cogliere in Lovelace,
antagonista libertino in Clarissa di Samuel Richardson, un personaggio
che vive la tragedia storica dell'aristocrazia che sta perdendo il suo ruolo
sulla ribalta della Storia[vii]
e, come si è già detto, vede ridotta la sua sfera d'azione a “donnesche
imprese”. Ma proprio per la valenza simbolica che la conquista di Clarissa
comporta, l'autore non può permettergli nemmeno il successo della seduzione,
bensì solo la dannazione dello stupro.
D'altra parte come spesso è stato notato dai critici
contemporanei, oggi la seduzione erotica non può essere più motivo serio, tanto
meno tragico dunque. Il seduttore è ritenuto più adatto ai toni caricaturali e
grotteschi, se non è addirittura confinato nella posta del cuore sulle riviste
femminili[viii].
Oppure, come per Baudrillard[ix],
col gusto masochistico della decostruzione, diventa una categoria problematica pervasiva
della condizione culturale, facendosi ironico destino che sovradetermina ciò
che il seduttore ingenuamente crede la “sua” strategia.
In effetti seduzione non vuol dire condurre a sé, bensì
deviare dalla retta via. Contiene quindi nel concetto stesso l'idea di errore.
Già per questo non ci sarebbe niente di cui vantarsi nella seduzione. Ma in un
mondo come quello contemporaneo dove l'eroismo è visto con sospetto e tutto
tende all'ironia, la seduzione risulta una sorta di impresa pseudo-eroica, il
cui vanto risulta disdicevole in sé. Se la colpa di Don Giovanni nel XVII sec.
era il rifiuto di riconoscere il dovere di un impiego produttivo delle energie
libidiche, il che faceva tutt'uno col rifiuto di accettare le leggi divine, e
dunque la negazione di Dio stesso nell'ateismo, nei tempi moderni la colpa di
Don Giovanni viene psicologizzata, e diventa due cose distinte e in parte
complementari: il narcisismo e un'omosessualità latente.
Il narcisismo in Don Giovanni si definisce, nel gergo degli
psicologi, come una perversione della relazione con l'oggetto. In sostanza si
tratta del fatto che per Don Giovanni la conquista della donna non è importante
per un reale interesse nei confronti della donna conquistata, bensì come prova
del proprio fascino, per compiacersi della propria bravura. La prova di ciò
sarebbe ad esempio il catalogo delle conquiste, che è infatti una forma di
esibizionismo virilistico. Questo ci introduce alla discussione di quei tratti
di dongiovannismo che, anche se attribuiti a personaggi che non si chiamano Don
Giovanni, fanno di molte figure letterarie dei personaggi simili a lui.
Oltre all'esibizione virilistica in forma di catalogo, che
vedremo fra poco, vi sono altri aspetti che permettono tale associazione. Se
infatti, come abbiamo visto, dal punto di vista della trama e della
spettacolarità la fabula del Don Giovanni si fonda su eros e tanathos,
possiamo dire che dal punto di vista della funzionalità ideologica essa ruota
su due cardini: il primo è l'atteggiamento ideologico eversivo, un tempo
designato dalla parola libertino, che propone, implicitamente o esplicitamente,
una nuova visione del mondo; il secondo è la seduzione delle donne, che diventa
strumento di realizzazione simbolica e insieme di risonanza di tale trasgressione.
Inquadrata in questo schema ideologico-inventivo, vediamo
che la storia di Don Giovanni è incorporata, senza bisogno di chiamarla col suo
nome, in tante altre storie, fra cui quelle dei romanzi americani contemporanei
che ho menzionato all'inizio.
In Tropic of Cancer e in Tropic of Capricorn, Henry
Miller si pone esplicitamente come profeta di un modo di vita più autentico,
fondamentalmente anti-intellettualistico e anti-moderno, contro il principio di
prestazione dell'etica del lavoro, e fondato invece sulla regressione verso gli
elementi basilari della vita, primi fra tutti il cibo e il sesso. La seduzione
delle donne avviene nei libri di Miller con il minimo di articolazione verbale,
e appare la conseguenza predeterminata di una predisposizione biologica che
spinge il maschio e la femmina l'uno verso l'altra. Quello che, nel suo
linguaggio senza remore, egli chiama “the best fuck” è infatti il rapporto
sessuale con la donna muta. L'eliminazione delle sovrastrutture culturali
riduce l'accoppiamento ad una condizione pressoché ferina, e la donna, già
ridotta a mero organo sessuale, talvolta è vista come un territorio su cui
Miller, come gli animali nel periodo dell'estro, lascia il suo segno per
delimitare la sua zona di caccia.
I will ream out every wrinkle in your
cunt, Tania, big with seed. I will send you home to your Sylvester with an ache
in your belly and your womb turned inside out. Your Sylvester! Yes, he knows
how to build a fire, but I know bow to inflame a cunt. I shoot hot bolts into you,
Tania, I make your ovaries incandescent. ( ...) He feels the remnants of my big
prick. I have set the shores a little wider, I bave ironed out the wrinkles.
(...) I am fucking you, Tania, so that you'll stay fucked. (Tropic of
Cancer, p. 13)
In un'epoca in cui la seduzione senza matrimonio non è più
di per sé scandalosa, l'elemento di risonanza e di spettacolarità, in
consonanza col rigetto delle sovrastrutture, fra cui la buona educazione, la
pulizia, la pietà, il rispetto dei costumi altrui, diventa il linguaggio osceno
e la rappresentazione pornografica.
In Portnoy's Complaint di Philip Roth, la
trasgressione si fa questione più sottile e complessa e fonda la sua
rappresentazione anche in termini di teoria psicologica. Il protagonista Alec
Portnoy è un giovane ebreo il cui dongiovannismo è perciò:
A disorder in which strongly-felt ethical
and altruistic impulses are perpetually warring with extreme sexual longings,
often of a perverse nature. (p. 1 )
La realtà a cui Portnoy vuole sfuggire con la trasgressione
è quella della sua cultura ebraica, la sua stessa famiglia, in particolare una
madre castratrice, che vuole assolutamente proteggerlo da tutto ciò che non è
ebreo. L'ossessione del sesso, per Alec Portnoy, è quindi strumentale: è il
mezzo per diventare sempre più americano, possedendo il maggior numero
possibile di donne americane, mentre, al contrario, la sua libido si spegne di
fronte alle ragazze di Israele. Inoltre, poiché la trasgressione genera in lui
un complesso di colpa, per cui vorrebbe inconsciamente essere smascherato e
punito, egli cerca di effettuare le sue imprese sessuali nei modi più rischiosi
e grotteschi.
A differenza di Miller che, da visionario vitalista, non ha
dubbi sulla bontà della sua causa, ed è preoccupato solo di trovare il modo di
diffondere il proprio verbo, cioè trovare la propria vocazione di
scrittore-profeta, Alec Portnoy è quindi un Don Giovanni problematico, che
cerca di capire se stesso e le sue ossessioni. Non a caso il romanzo è inteso
come un racconto sul lettino dello psicanalista, psicanalista che infatti col
nome di “lamento di Portnoy” battezza un nuovo complesso psicopatologico.
Mentre il personaggio Henry Miller incarna l'agonismo
avanguardistico del modernismo, che caratterizza la cultura occidentale tra le
due guerre; e Alec Portnoy dà voce all'eros liberatorio degli Anni Sessanta,
che proponeva l'utopia erotica come alternativa e rimedio alla soluzione
bellica dei problemi politici (fate l'amore, non fate la guerra); Myra
Breckenridge è squisitamente postmoderna nella sua capacità di trasferire tutti
i conflitti reali in termini culturali, trasformando la natura del sesso in
scelta di codificazione di senso. In un mondo in cui la natura non esiste, ma
esiste solo la cultura, anche il genere sessuale non è più un fatto naturale, e
Myra Breckenridge, che appare straordinariamente bella come una star di
Hollywood, dove infatti insegna “portamento” in una scuola per giovani attori,
è in realtà un transessuale, che ha scelto di essere donna e che alla fine del
romanzo tornerà a diventare Myron.
Anche il catalogo delle conquiste si caratterizza perciò in
modo diverso. nei tre autori. Nei Tropici la forma stessa della
narrazione si può assimilare ad un perpetuo anche se caotico catalogo di
situazioni, personaggi, elementi culturali, tutti conquistati e attraversati
dall'esibizionismo egoico e megalomane del protagonista. In Portnoy's
Complaint il catalogo è più tradizionalmente femminile, anche se al momento
dell'enunciazione una inevitabile reificazione tende ad enumerare
l'irresistibilità di un seno, il fascino di una guancia, l'attrazione di una
coscia, di un sorriso, di un sedere, in un accumulo inesausto di parti del
corpo più che di donne come persone intere. In Myra Breckenridge infine
il catalogo suggerito è la somma di tutte le combinazioni concepibili di
accoppiamenti eterosessuali, omosessuali e transessuali.
La quasi ferinità degli accoppiamenti indiscriminati di
Miller si investe così di valenze psicopolitiche in Roth, pur trapelando (come
un listino di macelleria?) sotto forma di parcellizzazione del corpo, per
finire poi come permutabilità infinita di una semiosi illimitata del sesso
nella rappresentazione forse inaspettatamente realistica di Gore Vidal.
[i] Henry Miller, Tropic
of Cancer (1934) , Flamingo, London 1993, e Tropic of Capricorn
(1939), Flamingo, London 1993; Philip Roth, Portnoy's Complaint (1969),
Vintage International, New York 1994; Gore Vidal, Myra Breckenridge (1968)
, ora in Myra Breckenridge & Myron, Grafton, London 1989.
[ii]A tal proposito sono debitore di A. J. Cascardi che nell'ottimo studio The Subject of Modernity, C.U.P. 1992, si rifà alla critica che Hegel, nella Fenomenologia dello spirito, muove alla teoria cartesiana della costituzione del soggetto. Nel Discorso sul metodo il soggetto prende coscienza e certezza di sé attraverso una autoriflessione che lo rende indipendente e separato dal mondo. Abbiamo per cosi dire due mosse: 1. la coscienza perviene all'autocoscienza, 2. resistendo all'attrazione di un mondo che ritiene insoddisfacente in termini di certezze. Il mondo infatti - dice Cartesio - potrebbe essere del tutto illusorio e derivato dall'idea che io ho di me stesso e di Dio. Ora il porre accanto al soggetto anche l'esistenza di Dio non è, come taluni sostengono, un residuo della scolastica, ma una necessità che scaturisce dal bisogno di un riconoscimento che il mondo non può dare, e che, come ha fatto notare Lacan (The Four Fundamental Concepts of Psycho-Analysis, Penguin Books, 1979) , viene così fornito da un garante che, essendo perfezione divina, si pone come indubitabile verità. Questo per dire che ciò che è sottaciuto, prima nel dubbio sistematico e poi nella rassicurazione di Cartesio, è proprio il fatto, messo in evidenza da Hegel, che il soggetto non è stabilmente fondato sul pensiero autoriflessivo, che è instabile e incompleto, ma sul desiderio di un riscontro. Tale riscontro non si deve cercare né nel mondo degli oggetti, né in un Dio perfetto e infinito, ma può essere solo il riconoscimento di un altro io desiderante. Le attività cognitive, cioè il pensiero, la ragione, la comprensione, non sono sufficienti a spiegare come il soggetto giunga all'autoconsapevolezza, perché la contemplazione rivela l'oggetto non il soggetto, che si perde nel conosciuto. Solo il desiderio di un altro desiderio riporta l'io a sé spingendolo a dire io.
[iii]
Patrizia
Nerozzi, L 'altra faccia del romanzo. Creatività e destino dell'antirealismo
gotico, Cisalpino-Goliardica, Milano 1987.
[iv] Theodore Ziolkowski, Disenchanted Images. A Literary Iconology Princeton U.P. 1977.
[v]Anna
Paschetto, no, lei disse, no, non voglio. No. Il mito erotico femminile, Marcos
y Marcos, Milano 1992.
[vi]
Otto Rank, The Don Juan Legend, Princeton U.P., 1975.
[vii]
Patrizia Nerozzi, Virtù e malinconia. Studi su Oarissa
di Samuel Richardson, Marcos y
Marcos, Milano, 1990.
[viii] Elizabeth Hardwick, Seduction & Betrayal. Women and Literature Vintage Books, New York, 1975.
[ix]
Jean Baudrillard, Della seduzione, Cappelli, Bologna,
1980.