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7. L'arte che si
mangia
In questo processo di distacco e ritorno tra cultura e materia,
l'arte ha sempre tentato di cogliere un'essenza capace di trascendere
l'effimero e il fenomenico, evidenziando il momento di uscita dal tempo
reale e di immissione nel tempo inventato e metaforico detto
"eternizzazione", senza preoccuparsi (nonostante il realismo) di un
immediato reimpiego del suo linguaggio nell'esperienza, bensì fidando
nella capacità di influire più a fondo e subliminalmente attraverso un
affinamento "per exempla" della sensibilità e dell'intelletto. Poiché in arte nulla è casuale, oppure anche il caso è una scelta, si può intravvedere una poetica. Essa consiste nell'irresistibile confluire in un sentimento di partecipazione alla precarietà e fluidità della vita contemporanea, dove la percezione e il senso del presente ci colgono quando esso è già avvenuto e inutilizzabile. Talvolta la performance artistica consiste nel cucinare e poi
mangiare o dar da mangiare il tutto agli spettatori, come fanno artisti
quali Janine Antoni o Rikrit Tiravanija. Così arriviamo alla "Eat Art"
("arte da mangiare" o "mangia l'arte"?), di Sonija Alhäuser, ora in
mostra, (insieme a Joseph Beuys e a Dieter Roth), al Busch-Reisinger
Museum, Harvard University Art Museum. Dunque, mentre le mele di Cezanne si "gustano" con un senso estetico che, strumentalizzando la vista, trascende i sensi materiali, le forme e le figure di cioccolata di Alhäuser si gustano effettivamente col palato e lo stomaco, sterilizzando il più possibile la dimensione simbolica della metafora evangelica: "Io sono il pane della vita". Qualcuno, come Miles Unger sul New York Times del 26 novembre 2001, vi legge la satira della pretesa alla durata, equivalente moderno dell'iconologia religiosa secentesca, fatta di candele in esaurimento, scheletri della passata bellezza e altre immagini allusive alla transitorietà degli appetiti terreni rispetto all'eternità dell'anima. Ma l'effetto più evidente, a mio parere, è invece l'abolizione
tendenziale della distanza necessaria alla semiosi, una svogliatezza ad
uscire dalla ferinità per entrare nella significazione, una contrazione
dell'universo comunicativo che ha esaurito e invertito l'impulso ad
espandersi e ripiega ormai verso il "buco nero" d'un'imminente viscerale
invisibilità. |
Tecniche miste