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   6. Aura, lutto, design e web-design. 

  (Leonardo Terzo, 30 ottobre 2001)

 

1. Aura

L’era della riproducibilità tecnica, come sappiamo, toglie l’aura all’opera d’arte, trasferendola piuttosto su oggetti di culto, dotati di un feticismo tribale: la moto, gli occhiali, la tintura dei capelli. 

Ma un diverso tipo di aura, non più derivante dal logo, bensì da un'autentica originalità materiale e storica, viene alla ribalta, quando Stefan Sagmeister, famoso graphic designer americano (ha fatto le copertine per i Rolling Stones), propone di utilizzare l'acciaio delle macerie delle Twin Towers per fare dei distintivi (pin) con l'incisione di un cuore e la scritta: “Heart (Unbreakable)”.

Altri commentano che, in tempi di confusione, è importante costruire immagini di chiarezza e di semplicità, e in effetti l’idea di Sagmeister sembra semplificare, o tagliare come un nodo gordiano, tutta la complessa elaborazione semiotica che presiede al mistero del successo, sia dei prodotti dell’arte, sia dei prodotti di culto delle mode consumistiche. 

Questa semplificazione consiste nel ritorno all’autenticità storica, in questo caso quella del pezzo d’acciaio delle torri, così come è già accaduto per esempio con i pezzi di macerie del Muro di Berlino. 

D’altra parte, questo tipo di “successo”, l’esperienza insegna, non ha uno sbocco commerciale rilevante, forse per la limitatezza dei pezzi a disposizione, ma soprattutto perché l’affettività prevale rispetto al profitto, e questo fa sì che la ricerca dei pezzi sia di breve durata. 

Né si può escludere addirittura che non venga considerato accettabile farne mercato, e quindi non si sappia come "collocare" con profitto qualcosa che non è soggetto al normale rapporto tra domanda e offerta. 

Nel caso del muro, il valore del pezzo materiale non dipendeva solo dal fatto di essere autentico, ma dal fatto di essere prova e pegno di una partecipazione reale e personale allo smantellamento del muro stesso nel 1989, per poter dire con orgoglio: io c’ero. 

In questo caso purtroppo l'orgoglio è fuori luogo, o per lo meno si proietta nel futuro, come volontà di reagire, di cui l'esibizione del distintivo sarebbe un'anticipazione che occupa un tempo intermedio rispetto all'esibizione immediata delle bandiere. 

Neanche le zolle di campo vendute dopo lo smantellamento di famosi impianti sportivi o dopo l’esecuzione di finali di campionati del mondo di calcio ha funzionato commercialmente. Lungi dall'essere un altro segno del venir meno del senso storico, è forse la prova che gli interessi di massa, come i prodotti dell’arte di massa, hanno una validità limitata nel tempo.

E questo proprio perché sono radicati nell’attualità e non in quella eternizzazione a cui invece l’arte d’élite aspira, appunto  sottraendosi a connessioni cronologiche specifiche, con quell’elaborazione che l’idealismo chiamava intuizione estetica, e la semiotica proiezione dell’asse paradigmatico sull’asse sintagmatico, che è solo un modo più sofisticato di coniugare forma e contenuto, sensibile e intelligibile. 

 

 2. Lutto

In questo "pin" ora abbiamo solo un legame affettivo, un pezzo di qualcosa che inoltre, a differenza del Muro, costruito dagli altri (them!) e distrutto idealmente da tutti noi nella gioia e nel furore, era nostro ed è stato distrutto da "loro". È dunque un residuo di un mondo perduto nel dolore e nel rimpianto, che si conserva anche per ciò che non è più. 

La trasformazione in segno di resistenza (unbreakable) è quindi un grado di elaborazione che forse supplisce ad ogni altra trasfigurazione simbolica. Questa funzione è accresciuta dalla portabilità, vale a dire dalla sua natura di "divisa", come un cuore, esteriorizzato in materia, di qualità e forza indistruttibile. 

Ciò che è stato distrutto è la vita di un grande numero di persone, ma questo distintivo vuole affermare che ciò che non muore è una forma di vita, un modello, che si rinnova nel cuore degli americani come vitalità dei valori.  

E poiché il distintivo è anche un monumento commemorativo personale, (personal memorial), è anche una mediazione fra affettività personale ed elaborazione del lutto, che è sempre una "messa in pubblico" della perdita, per non esserne davvero sconfitti.

 

 3. Design

Le cose materiali hanno sempre una forma, e la loro fonte di simbolicità dipende anche da essa, ovvero è percepibile in essa anche quando è prodotta sostanzialmente dal suo contenuto di significato o dal suo contesto.

Così inteso il design, che inventa la forma delle cose, diventa mezzo di comunicazione universale come la lingua: ha il compito di dare forma a tutto, di spiegare all’utente l’uso dell’oggetto, e magari di rendere  gradevole l’ambiente. Per questo, il design, che condivide caratteri dell’arte e dell’industria, prima dell’arte pura sarà forse capace di indicare le conseguenze formali di un fatto materiale che si è abbattuto traumaticamente sull'emotività e sull'economia del mondo globalizzato.

 

 4. Web-design

Dal punto di vista del designer tutto il mondo ruota narcisisticamente intorno al suo lavoro e alla sua funzione.  Quando questa funzione si estende all’informazione stessa, essa passa dalla forma dell’oggetto alla forma del messaggio linguistico, superando la distinzione tra immagine e parola.

Questo avviene, in modo più evidente che altrove, nel lavoro del web-designer. Egli infatti organizza, nel sito, il rapporto tra immagine, o strutturazione dello spazio dello schermo, e posizionamento dei caratteri scritti. La posizione delle parole diventa immagine, come è in nuce nella poesia. Inoltre la disposizione spaziale è anche una disposizione gerarchica, in rapporto alle finalità della comunicazione, e quindi il designer, come un retore, mette la sua abilità a disposizione di tutti i compiti informativi, che inevitabilmente finiscono in rivoli della politica.

In ogni modo, dopo l'11 settembre 2001, si coglie, anche negli artisti, il bisogno di sentirsi utili e di contribuire ad alleviare o risolvere la precarietà della situazione in atto. In generale, per far ciò si prendono due vie: si ripetono banalità sull’universalità salvifica del design (come i modernisti facevano a proposito dell’arte), fino ad alludere spregiativamente ad una società dei consumi di cui improvvisamente il designer non si sente più parte; oppure si offre la disponibilità a cambiare, per andare incontro all’incertezza del futuro, di fronte al quale però non si sa come operare. 

In entrambi i casi l’afflato partecipativo alla vita della comunità si manifesta nel tentativo di inserire concetti di tipo umanistico in un contesto tecnico-industriale finora dominato solo da un intento pratico e funzionale. Ciò provoca un salto di qualità deontologico.

La spettacolarità del terrorismo, infatti, ha esibito un carico simbolico, che ha sopraffatto temporaneamente tutte le invenzioni degli artisti e dei designer. Questi ultimi cercano ora di contrastarla rivelando le tecniche del simbolismo stesso. E, "à la guerre comme à la guerre", combattono contro un simbolo nemico, divulgando le tecniche della configurazione e della formazione del simbolo. 

Poiché l'avversario ha messo a segno un colpo sensazionale, lo si vuol combattere cercando di svelarne i trucchi. È come svelare i trucchi del prestigiatore  perché questi sta usando  la sua magia per nuocere. Non è comunque un’infrazione alla deontologia della prestidigitazione?

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