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Ethos: formule antiche e formule moderne Ma
vediamo ora in concreto che cos’è che rende formulaiche queste storie. Una
delle fonti ispiratrici del mio discorso in proposito è il libro di Patrizia
Nerozzi L'altra faccia del romanzo (Milano, 1984), che reca come
sottotitolo “Creatività e destino dell'antirealismo gotico”, in particolare
laddove prende in esame questo argomento nell’ambito di una trattazione
speculativa sulla teoria dei generi. Due idee ritengo soprattutto importanti,
così come sono presentate nel saggio intitolato “Il luogo del gotico sulla
mappa del fantastico": una è l’idea che le singole opere appartenenti ai
generi formulaici hanno un significato generico appunto, comune a tutte le
opere del genere; l'altra idea è che questi generi si distinguono fra loro in
base all'ethos, cioè in base al rapporto tra personaggi e ambiente. Ethos
è il termine usato da Aristotele nella Poetica per
indicare i personaggi, ma i personaggi si caratterizzano per l'ambiente
sociale e fisico in cui sono situati, anche se questa collocazione non deve
essere necessariamente definita in termini storicogeografici, ma può essere
una modalità ambientale riscontrabile in collocazioni diverse. Nella Poetica, Aristotele enumera sei elementi che entrano a
costituire la finzione, che nel suo caso è la tragedia, ma che valgono per
qualsiasi imitazione di un’azione. Oltre all'ethos abbiamo la lexis
o dizione, vale a dire la scelta delle parole, nel cinema potrebbe essere
la scelta delle immagini o la qualità della fotografia; il mythos o
trama; la dianoia o significato; e poi l'opsis o
spettacolarità, che come ho già detto è molto importante per il successo dei
generi formulaici. (Anzi nella nostra epoca sta diventando la cosa più
importante in tutti i campi; alla spettacolarità si sacrifica tutto il resto:
dall'onestà alla razionalità, tutto diventa secondario di fronte allo
spettacolo, di fronte a ciò che i pubblicitari chiamano filosofia
dell'immagine.) Infine abbiamo il melos,
cioè la musica: nel cinema la musica esiste come colonna sonora, che
infatti serve a sottolineare il significato dell'azione, creando l'atmosfera
adatta; in letteratura si potrebbe considerare musica il ritmo narrativo
della prosa, mentre in poesia è più facile sentirla nel suono delle parole e
in tanti altri artifici sonori come le rime, le allitterazioni eccetera. Ora ognuno di questi sei elementi può diventare formula; ad esempio tutti conosciamo le formule a livello di dizione come gli epiteti nei poemi omerici: il pié-veloce Achille e l'occhi-glauca Atena; anzi pare che le ultime ricerche sui poemi omerici dimostrino addirittura che essi sono costituiti al novanta per cento da formule, non solo a livello di dizione e di descrizione, ma anche nella costruzione degli episodi che formano la trama. La formulaicità dell'epica, come si sa, era una necessità delle culture orali. L'epica era una sorta di archivio antropologico, che accoglieva e trasmetteva tutto ciò che si riteneva importante per la comunità. Le formule erano artifizi per favorire la memoria; erano quindi funzionali alla trasmissione dei valori della comunità. La formulaicità dei generi di cui ci occupiamo ora invece sembra avere più che altro una funzione estetica e ludica. Certamente essi hanno dei significati ideologici, ma la ripetitività sembra soddisfare un'esigenza di carattere psicologico, come la soddisfazione rassicurante e un po' infantile di sentirsi ripetere la stessa favola. Ma ora, più che l'aspetto gratificante, interessa chiarire a quale livello la formulaicità opera per distinguere i vari generi. Ad esempio anche le
trame si ripetono: ci sono un'infinità di storie che raccontano la vendetta
di un torto subito, ma questo livello di formulaicità non è determinante per
individuare un genere: sia Amleto di Shakespeare, sia Il conte di
Montecristo di Dumas padre, sia la favola della Volpe e la cicogna di
Esopo, sono storie di vendetta, ma appartengono a generi ben diversi. Quando
uno scrittore comincia a pensare di scrivere un romanzo, l'idea da cui
partire può essere data da un particolare qualsiasi. Umberto Eco racconta di
aver cominciato a pensare al Nome della rosa avendo in mente soltanto
l’immagine di alcuni frati ammazzati. Il fatto è che, da qualsiasi punto
s’inizi, poi comunque ciò il romanziere deve inventare è un intero mondo. Per
spiegare come ha scritto Il nome della rosa, Eco dice:
"Scrivere un romanzo è una faccenda cosmologica, per raccontare bisogna
innanzi tutto costruire un mondo, il più possibile ammobiliato fino agli
ultimi particolari" ('Sul Nome della rosa', in Sette anni di
desiderio, Milano, 1983, p. 304.) Dunque l'elemento che nella sua
formulaicità distingue questi generi è l'ethos, e per
dimostrarlo inizierò da quel genere in cui ciò appare più chiaro cioè
il western.
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