LEONARDO TERZO

Forme espressive della spettacolarità

Il corpo nella pornografia, nella moda, nella danza, nello sport

  

In due precedenti saggi (Terzo 1994 e 1996a) ho posto in discussione nell'uno la pornografia come alternativa alla via ascetica dell'estetica, nell'altro la pornografia come contributo alla consapevolezza del corpo nella costituzione del soggetto e, attraverso tale funzione, come paradigma indiziario di un modello epistemologico dell'era telematica.  In entrambi i casi avevo osservato di passaggio che la pornografia è una forma espressiva della spettacolarità che si avvale dei corpo al pari di altre forme espressive spettacolari come la moda, la danza e lo sport. Intendo ora affrontare direttamente la questione relativa alla funzione espressiva del corpo, attraverso un esame comparato della strumentalità e della finalità dell'elemento corporeo in tutte queste forme di comunicazione spettacolare.

Negli ultimi venti anni il corpo è stato oggetto di particolare attenzione in più ambiti disciplinari.  Questo interesse si ascrive a una variegata gamma di motivazioni (Ewing 1995): per esempio alcuni ritengono che sia una reazione a quel senso di perdita del corpo derivante dal dominio della telematica.  Si sostiene comunque che il corpo non esiste più, almeno nel modo in cui era tradizionalmente inteso, e va dunque riconsiderato e culturalmente ricostruito.  Forse proprio per questo il corpo è di moda.

Ma il corpo viene quotidianamente ristrutturato e ricostruito, e non solo culturalmente, da scienziati e ingegneri, allorché gli organi vengono normalmente trapiantati da un corpo all'altro, oppure vengono sostituiti da macchine; e nelle facoltà di medicina gli studenti possono addestrarsi su cadaveri digitali; e si possono effettuare mutamenti genetici e clonazioni; e un feto può essere nutrito in un utero artificiale, o portato alla nascita nell'utero di una madre surrogatoria.  E naturalmente sappiamo che ci si può rifare il viso, il seno, i fianchi, per adeguarsi ai modelli correnti di bellezza. Infatti non solo il corpo è di moda, ma ci sono anche corpi alla moda e, come del resto è sempre stato, anche malattie di moda: peste, tisi, isteria, aids, anoressia, bulimia.  Da ultimo anche gli artisti hanno cominciato a creare sul proprio corpo con interventi di chirurgia più o meno permanenti.

Tutto ciò comporta una revisione di valori, credenze, definizioni giuridiche; comporta – si dice - anche la revisione di alcuni paradigmi binari quali maschio e femmina, giovinezza e vecchiaia, bianco e nero, natura e cultura, vita e morte.  E in effetti il corpo stesso è solo la metà di un altro paradigma binario fondante, formulabile in una serie di contrapposizioni, con una dicitura variabile di tipo religioso, umanistico, materialistico, e cioè corpo e anima, corpo e spirito, corpo e mente.

Se questi binomi esprimono una scissione che per noi ha un carattere principalmente euristico, tale scissione diventa comunque reale in un momento preciso, che è la morte.  Nel momento della morte il corpo, per così dire, rimane solo se stesso.  Il cadavere cioè si palesa come massima espressione di quella negatività sottesa al corpo quando è contrapposto all'anima o allo spirito o alla mente.  Solo Woody Allen nel film Amore e guerra (Love and Death 1975) poteva chiedersi: ammesso che ci sia il corpo e l'anima, quale dei due è meglio avere?

Invece in Clarissa di Samuel Richardson, questo dubbio non può porsi: quando Clarissa viene stuprata e il suo corpo violato, Clarissa abbandona il corpo alla morte, mentre la sua anima raggiunge il padre celeste sottraendosi definitivamente sia al padre naturale, sia al padre diabolico Lovelace.  E Lovelace, il quale pensa che averla posseduta una volta significhi possederla per sempre (secondo la norma libertina “Once subdued always subdued”), scopre invece di aver posseduto solo un corpo, cioè un cadavere (Nerozzi 1990).

Nella letteratura del Settecento, e non solo in quella, il corpo appare infatti sovente come ostacolo alla spiritualizzazione e all'idealizzazione dell'uomo, e la morte è ciò che dà il massimo di coscienza della corporeità della vita.  Il funerale del resto, in ogni tempo, è l'ultima sublimazione che si contrappone alla certezza dell'interramento.  Parafrasando un verso di Emily Dickinson nella poesia 98: “None can evade this crown ”, nessuno può evitare questo onore.

Samuel Johnson (1779-81) nel narrare la vita di Dryden, si dilunga a raccontare le grottesche vicende legate al funerale del poeta laureato, allorché il suo cadavere viene sbattuto avanti e indietro dalla casa al laboratorio dell'imbalsamatore, e presso i vari presunti sponsor delle sue solenni esequie.  Allo stesso modo narrando la vita di Pope, Johnson precisa scrupolosamente che il poeta è morto per un'indigestione di lamprede.  Il connotato implicito in questo tipo di racconti è l'abbassamento delle vette della poesia alla materialità del corpo dei poeta.

A chi non ama la critica biografica viene naturale osservare che, se si parla della vita di un poeta, si avvilisce inevitabilmente la sua arte, riducendola alla sua biografia.  Trasformare la vita in letteratura implica uno sforzo, un impegno, un'alchimia, tutte cose che non possono essere annullate ritornando alla bruta materia biografica.  Nietzsche (1968) fa dire a Zarathustra: “chi conosce il lettore non farà mai più nulla per lui”.  Noi potremmo dire: chi conosce la persona del poeta non leggerà mai più nulla di lui, o per lo meno non potrà mai più capire la sua poesia.

L'estensore di A Journal of the Plague Year, che appare nel libro di Defoe solo con le iniziali  H.F., è scioccato e attratto dalla visione della fossa comune dove vengono gettati i cadaveri.  Nel suo diario, H.F. si sofferma a descrivere le orribili sembianze a cui la malattia riduce il corpo.  Quello stesso corpo umano che nel Rinascimento era portato a modello dell’armoniosa immagine del Creatore (Flynn 1990). Il guaio del corpo infatti è che spesso è un ingombro; talvolta è soprattutto un ingombro di sesso femminile, come accade nei racconti di Poe, e comunque, come deve constatare Roderick Usher, è un elemento materiale di cui non è facile liberarsi (Terzo 1992).

Il realismo e la comicità sfruttano proprio il senso d'imbarazzo derivante da tale ingombro.  Anche quando non è un cadavere da eliminare, il corpo è infatti pur sempre un fatto economico, politico, demografico.  Non a caso Swift modestamente propone di risolvere i problemi attinenti all'esistenza del corpo in questi tre ambiti col cannibalismo.

Nella letteratura del Novecento la resistenza del corpo a farsi metabolizzare dalla cultura trova altre vie: ad esempio in Small World di David Lodge, il professor Morris Zapp, dopo essere stato rapito dalle Brigate Rosse, capisce che la morte non si può decostruire.

Noi sappiamo che il corpo funziona come interfaccia sensoriale per l'intelletto nello sviluppo della coscienza, funziona come strumento per la perpetuazione della specie nella sessualità, funziona come produttore e consumatore nell'ambito economico-sociale.  Tuttavia il corpo fisiologico resterebbe materia inerte e incomprensibile al di fuori di uno schema interpretativo che gli dà senso, facendone anche un fatto culturale. Il corpo, incurabile dal senso, rimane materia inerte, e tuttavia anche nella morte esso può essere materia di spettacolo: “a speaking sight”, una vista che parla, dice H.F. osservando i cadaveri, anche se la riflessione indotta da tale spettacolo non appare facilmente formulabile.

Se infatti il corpo umano è di necessità anche un fatto culturale, le polemiche sul colore di Miss Italia dimostrano che la culturalizzazione del corpo è un processo lungo e lento, e il corpo oppone resistenza ai mutamenti culturali troppo rapidi.  Di fronte a sbalzi culturali improvvisi, il corpo appare ancora troppo naturale per adeguarsi.  E qui si può essere d'accordo con Nietzsche (ibidem) quando afferma che il corpo è una grande saggezza.

All'estremo opposto si pone come vedremo l'epistemologia della telematica che, per esempio nella filosofia del Manifesto Cyborg di Donna Haraway (1995), auspica l'avvento della comunità virtuale proprio perché la virtualità permette di vivere in rete con identità che prescindono dal corpo, superando quindi ogni staticità di razza, di sesso, di età, oltre che di nazionalità e di classe sociale.

Il pericolo a mio parere consiste nel fatto che la permutabilità di questi caratteri conduca ad una totale irrilevanza di essi, e i nuovi caratteri di identificazione saranno reperibili solo in termini di stili, ma non stili di vita, bensì stili digitali, cioè l'identità potrà cogliersi solo nel modo di usare la rete, e dunque in termini di stili fatici.  Un esempio elementare di stile fatico, tanto per intenderci, è quello dei messaggi introduttivi delle segreterie telefoniche.

La coscienza del corpo si presta peraltro ad essere usata in vari modi: per esempio come shock anti-intellettualistico da posizioni di nostalgia per un'autenticità perduta, come fanno D.H. Lawrence e Henry Miller; oppure questa coscienza del corpo può essere vista come patologia narcisistica ad esempio da Starobinski (1983) oppure, lo si è già detto, come compensazione per l'astrattezza di una vita troppo rapidamente telematizzata e virtualizzata.

La moda, la danza, lo sport e la pornografia sono invece forme espressive dove lo spettacolo offerto dal corpo rivaluta la sua strumentalità per fini in cui il corpo stesso appare la base imprescindibile di una semiosi che lo trascende.

Come ho indicato altrove (Terzo 1994) lo spettacolo, da Aristotele a Kant, è inteso come eccedenza di rappresentazione, o di significante, rispetto al significato. Ma in queste pratiche, che per la loro natura spettacolare comportano una dimensione di eccesso, l'eccedente è rielaborato come rivelazione.  Allora il corpo si fa luogo dove si manifesta qualcosa: per esempio si manifesta la metafisica intrinseca alla strumentalità.  Infatti l'ethos del trascendimento, che determina l'animale umano congetturando natura e cultura, si esibisce nella moda, nello sport, nella danza e nella pornografia, in una serie di scenari finalizzati al divenire, alla libertà, al desiderio.

Nello scenario dello sport il lavoro si trasfigura in gioco, la guerra in rito; nella danza il tempo diventa forma, la cronologia diventa ritmo figurativo; nella moda una necessità diventa creatività, un bisogno diventa arte; la pornografia infine, come è persino ovvio, trasforma un istinto in piacere.

La danza libera letteralmente il corpo dallo spirito di gravità, lo sottrae simbolicamente alla legge e al logos, dissolvendo nel molteplice la sua staticità formale.  La moda completa, abbellisce e rinnova il corpo, ricoprendolo di senso comune, di senso estetico, di senso sociale.  Lo sport distrae il corpo dagli impieghi utilitari nella celebrazione dell'abilità e dell'energia.  E come lo sport, rispetto al lavoro, distrae le energie dalla produzione, così la pornografia, rispetto alla capacità del lavoratore di riprodursi sessualmente, distrae dalla mera riproduzione le energie inventive dei desiderio.

Pornografia e sport non significano in primo luogo, bensì celebrano mimeticamente la gratificazione delle attività corporee, ovvero il piacere e la salute (mens sana in corpore sano) l'una iconizzando l'appetito sessuale, l'altro sublimizzando il dominio della materia o dell'avversario in termini di spazio e tempo.

Moda, sport, danza e pornografia hanno tutte una doppia modalità di articolazione: la moda come voga e come foggia, lo sport come gioco e come gara, la danza come arte e come rito sociale, la pornografia come finzione che trapassa nella realtà.  Rispetto al corpo la danza e lo sport sono elaborazioni estroverse, cioè proiettano il corpo nel mondo e nello spazio fisico circostante, laddove la moda e la pornografia sono elaborazioni introverse, cioè lavorano sul corpo e col corpo come soglia, come spazio limite col mondo.

La moda nel suo doppio significato di “ voga ” e di “ foggia ” evidenzia da un lato la precarietà periodica dei valori e la funzione complementare dei ritmi rapidi della storia (vestamentaria) rispetto a quelli medi della storia politico-diplomatica e quelli lenti della storia non evenemenziale; dall'altro in quanto arte applicata che si pone tra la decorazione, l'architettura e la cosmetica, la moda intrattiene col corpo un rapporto ambiguo e multiforme, di mascheramento e rivelazione, estetico e utilitario insieme.

Dal punto di vista estetico, o cosmetico se si vuole, l'abito intende abbellire il corpo, renderlo eroticamente attraente e capace di seduzione.  Moda e seduzione sono in un certo senso sinonimi, perché la moda, per diventare moda, deve sedurre i suoi seguaci. I primi ad essere sedotti dalla moda sono coloro che si adeguano ad essa e con essa si identificano.  Come seduzione sociale la moda evidenzia infatti che ogni seduzione è una triangolazione tra sedotto, seduttore e società.

Dal punto di vista utilitaristico o, se si vuole, architettonico, il corpo entra in relazione con l'abito come primo stadio di un rapporto della persona con lo spazio materiale e come mediazione con l'ambiente socio-culturale.  Con l'abito la moda adegua quindi il corpo al luogo, alla stagione e alla condizione climatica, ma anche alle occasioni sociali e cerimoniali.  In queste occasioni il corpo, subordinato alla moda, viene utilizzato come materia e forma di una ricerca di identità, sottolineata più recentemente, ad esempio, nelle mode del piercing e del tatuaggio, dove si manifesta come fissazione e 'marcatura' autolesionistica nell'ambito di una estetica con forti componenti nichilistiche.

Del resto anche in questo caso la letteratura anticipa la realtà, ad esempio nelle opere di Nathaniel Hawthorne, allorché il disagio psichico e sociale si manifesta come marcatura e invasione del corpo, in una sorta di araldica del peccato, con una progressione interiorizzante: dalla lettera scarlatta al velo nero del pastore, a “the birthmark” e infine a “the bosom serpent”.

Proprio perché la moda come voga contiene contrapposti i caratteri dell'impermanenza e dell'appartenenza, essa ricerca forse nelle pratiche di penetrazione del corpo sempre più profonde dalla cosmetica all'abbronzatura, al tatuaggio, al piercing, e ora in quelle decisamente irreversibili del branding o marchiatura, del cutting o taglio e dello scaring o pratica di prodursi delle cicatrici (Alternative Bodyart FAQ 1996), un modo di sfuggire all'effimero cercando l'identità nella mutilazione.  Questa marcatura e mutilazione, che richiama pratiche antiche o primitive come la circoncisione e l'infibulazione, appare ora piuttosto come iniziazione regressiva ad un corpo tribale alternativo e indifferenziato.

Similmente la body art tende ad abolire lo scarto tra arte e vita, e identifica l'artista come oggetto estetico vivente, ovvero corpo estetico consustanziale all'arte.  Contemporaneamente comunque si abolisce non solo o non tanto la differenza tra arte e vita, ma quella fra arte e moda, tra arte e vestito.

La moda più tradizionale opera invece in superficie del corpo e, come si è detto, cerca la mediazione con l'ambiente naturale e sociale.  La mutabilità della moda non è quindi solo un indizio superficiale di mutamenti più profondi e permanenti operati dalla storia, ma anche un espediente dell'istinto di sopravvivenza. Gli antropologhi discutono se l'uomo sia una scimmia nuda o una scimmia vestita.

Considerando la moda come ostensione di appartenenza e di valori possiamo ricordare che il significato più antico della parola 'divisa' è motto, massima di condotta, che le insegne degli eserciti e i soldati stessi portavano iscritta addosso (Chambers 1728).  La divisa, come la livrea, è perciò quel tipo di abito che indica il massimo di ricerca di identità nell'appartenenza e nella stabilità.  Cambiare divisa è un tradimento.

L'impermanenza e la frivolezza della moda indicano invece all'estremo opposto una situazione storica di grande mobilità sociale, come pure di affluenza economica, che a partire dal secondo dopoguerra ha prodotto quell'atteggiamento denominato consumismo. Nel consumismo la spinta a differenziarsi e a distinguersi viene piegata agli interessi di una produzione di massa.  La massa, si sa, è eterodiretta: vediamo allora che l'iscrizione da recare sul corpo non è più il motto degli antichi eserciti, ma l'insegna dello stilista o il nome del produttore di magliette.  Il soldato o l'antico cliente romano diventa così il cliente moderno, trasformato per di più in uomo sandwich, che paga invece di essere pagato.

L'aspetto effimero della moda tuttavia, anche nelle sue propaggini consumistiche, ha radice alle origini della modemità, allorché il crollo delle concezioni totalizzanti del cosmo produce un mondo frantumato che offre una straordinaria varietà di oggetti del desiderio.  L'eterogeneità del mondo dà infatti luogo alla labilità e alla variabilità degli attaccamenti, e l'amore non ha più un oggetto “naturale”, ma è stimolato dalla diversità e dalla varietà (Cascardi 1992; Terzo 1996b).

Movimento e mutabilità permeano la vita moderna e, oltre che nel mutare delle mode, trovano simbolica conferma nel polimorfismo della pornografia, che recede da ogni strutturazione sessuale definita, come pure nel continuo tentativo di spostamento dei limiti umani nel perseguimento del record sportivo.

Nello sport infatti il corpo è in azione nel gesto atletico ed evidenzia la capacità umana di agire con efficacia.  Si tratta di una capacità astratta e generica, ma esemplificata e particolarizzata in un determinato compito prescritto dalle regole di ogni singola disciplina sportiva.

Domina il principio di prestazione.  Nello sport il corpo umano viene usato in un certo senso come criterio di misurazione del mondo.  La prestazione del corpo viene però “distratta” da scopi pratici e utilitari proprio per significare e misurare la suddetta capacità d'agire astratta e assoluta in termini di tempi e spazi. Sport significa infatti “distrazione”, e nell'ideale olimpico amatoriale incarnava la sua vocazione aristocratica e sublimizzante.  Nei giochi di competizione infatti l'aggressività guerriera viene deviata, sublimata e normalizzata in gara attraverso regole e finalità tecniche specifiche.

Il professionismo sportivo e l'aggressività distruttiva dei tifosi dello sport mostrano la tendenza a regredire da tale sublimazione, sottraendo di nuovo il corpo alla libertà dall'utile, e sottomettendolo di nuovo alla violenza della realtà.

La danza come estremo non verbale della teatralità utilizza il corpo per fini estetici, ponendolo in relazione col ritmo.  Uno dei compiti rituali della danza è infatti di addomesticare il tempo divoratore, piegando la fatale inesorabilità cronologica che ci porta alla morte a ritmi su cui chi danza mima i gesti della vita.

Nella danza il corpo si fa strumento di scrittura, stilo che agisce nello spazio per stilizzare le figure della notazione coreografica.  Per fare ciò il corpo cede in prestito alla coreografia la sua energia, e nel disegno di una composizione virtuale trasforma la forza fisica in figura eterea (Langer 1962).

L'altra modalità della danza è, come abbiamo detto, la sua funzione di cerimonia sociale, dai balli in famiglia alla discoteca (Thomas 1993).  Nel ballo infatti si concentrano varie funzioni: un'attività ludica in relazione al cosiddetto tempo libero, un'attività di comunicazione sociale, e un'attività di esplorazione, propedeutica all'accoppiamento sessuale e matrimoniale dei giovani. È curioso e significativo insieme che il ballo sia tra le materie d'insegnamento nelle accademie militari, e che i cadetti di tali accademie figurino tradizionalmente come cavalieri nel ballo delle debuttanti.

Vediamo infatti che lo scenario del ballo può prestarsi sia come situazione iniziale di un intreccio da commedia romantica in un romanzo sofisticato e pedagogico come Pride and Prejudice, sia come occasione di danze dove l'imitazione del rapporto sessuale è molto esplicita, come il tango, il rock, la lambada e altri, il che ci porta alle affinità con la pornografia.

Chi per esempio ha visitato questa estate alla National Gallery di Londra la mostra Degas beyond Impressionism (22 May - 26 August 1996) avrà potuto notare una serie di statue, di quadri, di schizzi, dove i corpi femminili sono raffigurati in tutù e nudi, nelle medesime posizioni.  Questo ha permesso di cogliere le affinità erotiche ed estetiche tra pratiche espressive per molti versi incomparabili come la danza classica e la pornografia, tanto che alcuni recensori sulla stampa inglese si chiedevano apertamente se Degas non fosse un pornografo.

Si tratta invece di affinità intrinseche, derivanti dall'uso del corpo su un comune terreno spettacolare, potremmo definirlo dionisiaco, tra esibizione ed esibizionismo.  Altrettante affinità, tra perversione e performance, tra apparenza e record, sono riscontrabili con la moda e con lo sport.

Moda e pornografia ad esempio si pongono in uno spazio limitrofo, ma, almeno in linea di principio, la moda al di qua, la pornografia al di là di un limite che è il senso del pudore.  Ci si veste infatti non solo per necessità climatiche, ma anche per pudore.  La pornografia si definisce invece proprio per il superamento del comune senso del pudore.  Questa demarcazione fra coprirsi e scoprirsi diventa però sempre più labile, se pensiamo non solo alla biancheria intima, ma anche a tutto l'armamentario del sadomasochismo, mentre la moda si adegua al dilagare suicida della pornografia, riducendosi spesso a mettere in rilievo la nudità.

Nella pornografia autentica il corpo si fa ambiente (ethos aristotelico, o cronotopo bachtiniano), nel senso che il corpo o l'intreccio dei corpi nell'atto sessuale diviene allo stesso tempo mondo e i personaggi che lo abitano. Laddove Bachtin (1979) nelle sue esemplificazioni del cronotopo sottovaluta lo spazio rispetto alla dimensione temporale della narrativa, la pornografia come del resto altri generi, per esempio il western, mostra che il genere dipende dalla natura degli spazi esplorati, che nel caso della pornografia è data appunto dal percorso sulla superficie dei corpi, mentre il tempo, come ho già dimostrato nella comunicazione sul Ritmo della pornografia (Terzo 1994), è monotono e periodico, uniformato ad un ripetitivo crescendo, con sbocco predeterminato nell'orgasmo.

La significatività estetica della pornografia sta nella valorizzazione dei sensi come luogo della fruizione artistica, e realizza la tensione aggettante della finzione nella realtà.  D'altra parte l'esteticizzazione del mondo predicata dalla cultura postmoderna implica un consumo pornografico dell'esistenza come realtà virtuale (Terzo 1996a).

A confronto con l'esistenza virtuale la rilevanza dei corpo in forme espressive come la danza, lo sport, la moda e la pornografia dimostra che la ristrutturazione culturale in atto, di cui si diceva all'inizio, riguarda un'evoluzione, una cura e infine una manomissione del corpo stesso, che si prestano a considerazioni in termini di psicologia clinica (narcisismo), filosofia della storia (morte e rinascita del soggetto), epistemologia (realtà e comunicabilità dell'esperienza).

Nella condizione contemporanea infatti, che potremmo definire era telematica (o noosferica), oppure ipermoderna invece che postmoderna, la serie corpo-anima, corpo-spirito, corpo-mente, si è accresciuta, come si è già capito, del binomio corpo-virtualità.  E anche la virtualità ha una doppia modalità di articolazione: da un lato esteriorizza la mente umana conservando la memoria nella macchina, e in questo modo secondo alcuni (Sharratt 1993) fa del corpo umano una semplice appendice sempre meno necessaria del computer, soprattutto quando viene meno la distinzione tra hardware e software; dall'altro intrattiene e gratifica il corpo, o ciò che rimane di esso come ingombrante residuo, introducendolo nella realtà virtuale.  La realtà virtuale diventa così il nuovo illusorio giardino delle delizie.

 

 

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