PRINCIPI DI UNA TEORIA DEI GENERI FORMULAICI

GOTICO, WESTERN, GIALLO, PORNOGRAFIA, ECC.

 

 

 

 

 

 

6. Il western

 

Il western si chiama così perché si svolge nel West. Però nel West ci sono molte cose: ci sono gli indiani e i cow-boy, i banditi e lo sceriffo, le carovane, le mandrie e le ferrovie, ma che cosa si ripete in tutte le sto­rie del West?  Ciò che si ripete immancabilmente, e se non ci fosse non sarebbe un western, sono i duelli con le armi da fuoco.  Prima o poi, ma inevitabilmente, l'eroe e il cattivo si affrontano in duello. E perché succede questo?  Succede perché è necessario.  Talvolta anzi tutta la storia di un western consiste proprio nel tentativo continuo dell'eroe di sfuggire a questo momento, di re­sistere il più possibile alla necessità di mettere mano alla pistola, ma alla fine è costretto a farlo. 

 

Si pensi a film famosi come Il cavaliere della valle solitaria (Shane, 1952), come Ultima notte a Warlock (1959) e altri.  Ma anche film d’ambiente moderno, che vogliono però avere lo stesso significato del western come ad esempio Il giustiziere della notte, con Charles Bronson, contengono questo motivo.  Nel Giustiziere della notte infatti il protagonista è un pacifista, obbiettore di coscienza, che anche in guerra ha scelto di stare con la croce rossa, finché è vittima di tali delitti e si rende conto di vivere in un mondo tale che alla fine è costretto a farsi giustizia da sé. E infatti non a caso il passaggio dalle sue convinzioni pacifiste all'atteggiamento vendicativo avviene dopo un viaggio nell'Ovest, dove riceve in dono un paio di pistole a tamburo come quelle dei cow-boy.

 

Ma che cosa ha a che fare il duello con le pistole con l'ambiente? In realtà ha molto a che fare. Perché il significato del western in generale, quello che ho definito appunto significato generico, perché comune a tutte le storie del genere, è che il West è un territorio non ancora completamente civilizzato, dove la società non è ancora sufficientemente stabile e organizzata, e quindi non è ancora in grado di offrire ai cittadini la sua protezione. Il senso drammatico del western è dato dalla necessità dell'eroismo individuale in un ambiente che non offre strutture sociali sufficientemente protettive. Così possiamo dire che il significato del Giustiziere della notte è che la vita attuale, nelle città americane, è degradata a un punto tale di imbarbarimento che sembra di essere tornati nel West, cioè in un mondo in cui il cittadino qualunque, nonostante il suo pacifismo, deve di nuovo ricorrere al coraggio dell'azione individuale.

 

Del resto il concetto di West è relativo (Vedi Edwin Fussel, Frontier: American Literature and the American West, Princeton, 1965) dal punto di vista storico e geografico: si riferisce piuttosto alle condizioni di vita della frontiera che non a delle regioni precise, anche se di solito i film situano il West nel Texas nell'Arizona, nel Nevada, nel Colorado e zone limitrofe. In realtà la frontiera si spostava continua­mente, e se all'inizio dell'800 il West era i Monti Allegheny, vent'anni dopo era il Mississipi, e dopo altri venti anni era ormai arrivato all'Oregon e al Pacifico.  Al giorno d'oggi quindi si può ben dire che i pericoli della frontiera si trovano più facilmente di sera nel Central Park a New York, che non nel Texas e nell’Arizona.  Perciò è nel Central Park che il giustiziere della notte va ad affrontare i suoi nemici.

 

Il ricorso alle armi per dirimere le questioni nella vita dei pionieri è un fatto storico, ed è stato scelto ed enfatizzato come elemento significativo di quella fase della società americana.  Tutto l'arredamento sociale delle storie western ha quindi anche una dimensione documentaria, ma i fatti su cui poi tutto converge, e su cui l'attenzione del fruitore viene convogliata, sono i conflitti con l'ambiente ostile, che si manifesta in primo luogo nella wilderness, della quale fa parte anche la presenza minacciosa dei pellirosse, e la prepotenza dei coloni stessi, e si coagula quindi nella sparatoria finale. 

 

Ciò dà luogo a due momenti tematici delle storie western: l'attraversamento di un territorio impervio, infestato dagli indiani, da parte di una carovana o di una diligenza o di una e colonna di soldati o di un cantiere della ferrovia, e il duello finale tra buoni e cattivi.  Le storie più complete sono perciò quelle che trattano nell'ordine entrambi i temi. Gli esempi possono essere innumerevoli, da Il cavallo d'acciaio (1924), primo western di John Ford, a Ombre rosse (1939), che viene considerato il massimo capolavoro, non solo di John Ford, ma di tutto il genere western, a Il fiume rosso di Howard Ilawks (1948), a Cielo giallo (1948) di William Wellman, con Gregory Peck e Richard Widmark, e Là dove scende il fiume (1952) di Anthony Mann, e tanti altri.

 

Mentre non vi è lotta con la natura che non sia accompagnata anche dal duello finale, il duello può essere proposto come tema unico in film, come in Sfida all'OK Corral di John Sturges (1957) e Sfida infernale di John Ford (1946), o anche Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinneman (1952).  In tal caso tutta la storia consiste nella preparazione di questo scontro epico. Talvolta invece esso viene trasformato da scontro di singoli in scontro di razze, nei film che trattano le guerre indiane: si pensi ai tanti film sul generale Custer.

 

Il duello finale ha carattere drammatico non solo in quanto scioglimento delle tensioni accumulate dalla trama, ma anche perché è un fatto pericoloso che comporta la morte.  Chi affronta il duello, a prescindere che abbia torto o ragione, sfida la morte, e quindi dimostra quel coraggio che è necessario per sopravvivere nella wilderness, sia naturale sia morale.  Essendo principal­mente un'epopea ottimistica e celebrativa, le storie western si fanno finire di solito con la vittoria del buono. Questo è importante per il piacere e la soddisfazione dello spettatore, ma non è caratterizzante per la definizione del genere. In teoria il buono potrebbe anche morire; ciò che conta è che prima o poi bisogna affrontare la prova, dimostrando un coraggio che prescinde dall'esito, ed è comune a tutti, buoni e cattivi.  Perciò talvolta il cattivo, per sembrare ancor più tale, deve essere anche un vigliacco che aggira il rischio assoldando un killer di professione; il killer a sua volta è cattivissimo perché uccide per mestiere e non per necessità.

 

L'eroismo individuale, allo stesso tempo in cui è una necessità, è anche un'ordalia, e chi ne è capace finisce comunque per separarsi in qualche modo dalla società, rivelando così un’ambivalenza del western, che si pone in una posizione di frontiera in tutti i sensi.  Come ci troviamo in un mondo che è in parte civilizzato e in parte no, allo stesso modo l'eroe capace del coraggio individuale è insieme ammirato e temuto, agisce per la comunità e la rappresenta, ma proprio la sua singolarità emblematica lo separa da essa.  L'eroe che difende la comunità e con la sua azione l'afferma, rendendola in qualche misura più stabile con la sua vittoria, spesso alla fine l'abbandona e riprende la sua strada come un cavaliere errante.

 

Qualcuno, a partire da Leslie Fiedler (Love and Death in the American Novel, New York 1966) ha voluto vedere nell'impossibilità per il cow-boy, come per il detective o il cavaliere del resto, di fermarsi e di accasarsi un connotato di latente omosessualità. Questa è una forzatura, per due motivi, attinenti al principio dell’avventura di cui abbiamo detto.  L'eroe dell’avventura non può fermarsi, in primo luogo perché ciò significherebbe uscire dalla dimensione senza tempo dell’eterna giovinezza: fermarsi e sposarsi significherebbe accettare la cronologia realistica, sarebbe il primo passo verso la morte, cioè verso la fine definitiva delle avventure, ed è ciò che i1 lettore non vuole perché, come abbiamo visto, vuole continuare a leggere un'altra storia.

 

Dove capita che l'eroe si sposi, per esempio nei fumetti di Tex Willer, subito la moglie muore e il figlio diventa adulto, e tutto l'episodio è servito solo a dare all’eroe un aiutante per ampliare la gamma delle possibilità avventurose. Proprio per ampliare questa gamma Tex Willer ha tre aiutanti con caratteristiche diverse: oltre al figlio, che pone più in basso il limite della giovinezza rispetto a Tex, c'è Kit Carson che invece lo sposta verso l’anzianità, e infine l'indiano Aquila Bianca, che permette di sfruttare avventurosamente in senso positivo le caratteristiche razziali che tradizionalmente appartengono al nemico. Del resto proprio perché è cosa estranea al popolo italiano nella sua generalità nutrire sentimenti razzisti, i fumetti di Tex, che sono quelli di maggior successo in Italia, hanno dissipato subito la possibilità di vedere negli indiani solo un nemico di tipo razziale, dando all'eroe l’unico legame sociale e familiare proprio con una tribù di Navajos.

 

L'altra ragione per cui di solito l'eroe del West non si sposa, è proprio il suo essere un uomo di frontiera, e la frontiera, come abbiamo visto, si sposta continuamente.  Proprio perché la sua vittoria ha portato in quel luogo una misura di stabilità sociale, la frontiera si è spostata più in là, ed è più in là che egli deve andare a vivere un'altra avventura.

 

Questa separazione esprime infatti anche l'aspirazione della società del West a non essere più frontiera, l’aspirazione che la vita d'ora in poi possa essere più ordinaria.  È Bertolt Brecht che ha detto: felice quella società che non ha bisogno di eroi.  Questa aspirazione a una condizione di vita per cui non occorre essere eroi può arrivare fino al rifiuto dell'eroe stesso da parte della società, che allora diventa una società di vigliacchi, come nel film Mezzogiorno di fuoco (High Noon), dove lo sceriffo Gary Cooper viene lasciato solo ad affrontare la vendetta dei fuorilegge. Oppure come quelle storie in cui lo sceriffo viene cacciato dal paese in cui è stato la legge per tutta la vita, perché ormai non serve più, e il paese ha orrore di lui e del suo ruolo di giustiziere.

 

Questa ambivalenza si manifesta anche nelle storie di conflitti tra personaggi che rappresentano diverse fasi della società del West, ad esempio fra i mandriani, sostenitori di un tipo di vita più primitivo e più tipico del West, e gli agricoltori, sostenitori di un grado più avanzato di sviluppo sociale e quindi di una società meno soggetta all’arbitrio e alla legge del più forte. È chiaro che l'ideologia che ha prevalso in molti film western è quella del progresso, e spesso la negatività è rappresentata dal mondo selvaggio e in primo luogo dai pellirosse.  Ma l'ambiente non è necessariamente legato a tale ideologia, e si possono fare storie western capo­volgendo i ruoli, cosa che è avvenuta a partire dalla fine degli Anni Sessanta, quando l'America ha visto emergere le ideologie ecologiste e la riabilitazione degli indiani.

 

In effetti all'interno del western si possono trattare i temi specifici più diversi. Il primo western di Samuel Fuller, Ho ucciso Jess il bandito (1948), viene definito come il ritratto psicologico di un assassino, ma la psicologia del personaggio è resa con gli strumenti narra­tivi tipici del western, e non ad esempio con quelli che possono essere usati per disegnare ritratti altrettanto psicologici in un romanzo di Henry James o di Dostojevski. Tutto ciò che accade in un western può accadere solo con le modalità e le soluzioni eroico-individuali imposte dall'ambiente di frontiera.

 

Come si è detto il western ha una radice profonda nella storia degli Stati Uniti, ed è infatti considerato l'epopea della frontiera: ha quindi una base di verità storica, e le storie western, sebbene sin dall'Ottocento concepite con l'enfatizzazione leggendaria adatta ad es­sere smerciata nel cosidetto “dime-novel” (Thomas Kent, Interpretation and Genre, London and Toronto 1986), comportano un elemento documentario.

 

Il successo e la serializzazione tuttavia fanno sì che quando il genere si palesa come genere formulaico, l'elemento fantastico e inverosimile prevale su quello documentario. In questo senso il western all'italiana o “spaghetti western” (come viene spregiativamente definito dagli americani, irritati per l'intrusione degli stranieri in un settore sia pure mitizzato della loro storia, e magari della loro industria cine­matografica) con i suoi aspetti parossistici fino al grottesco, dove i duelli sono innumerevoli e i morti non si contano, e si spara dalla prima inquadratura all'ultima, pur nella sua assurdità, non fa che evidenziare, attraverso la parodia più o meno volontaria, il fatto che ormai, quando il western diventa un genere formulaico, la tendenza fantastica e spettacolare ha ormai preso il sopravvento sulla Storia.

 

Quando invece negli Anni Sessanta, in seguito alla crisi dell'ideologia americana prodotta dall'opposizione alla guerra in VietNam, emerge un nuovo filone del western, quello in cui le guerre indiane vengono viste dalla parte degli indiani, cioè delle vittime, in film come Soldier Blue (1970) di Ralph Nelson, o Piccolo grande uomo (1970) di Arthur di Penn, o il più recente Balla coi Lupi (1990) di Kevin Costner, allora, poiché questo è un modo inedito di riconsiderare l'ethos del West, l'elemento documentario torna di nuovo in primo piano, e l'eroismo individuale è inglobato in quello della presa di coscienza. Ma la presa di coscienza di che? La presa di coscienza che la Storia, come il West, è un mondo senza legge, dove talvolta vincono i cattivi e non i buoni.  Questa presa di coscienza è naturalmente la presa di coscienza dei bianchi: gli indiani, essendo le vittime, queste cose le hanno sempre sapute. 

 

 

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