LA STAFFETTA DELLE ARTI.
Problemi di periodizzazione e paradigmi
Questo intervento nasce da un'idea di Fredric
Jameson, elaborata nel saggio "The Existence of Italy" (Jameson,
1990). Secondo Jameson esisterebbe un'omologia paradigmatica tra le fasi di
sviluppo dell'economia capitalistica e l'evolversi dei modelli dominanti nella
letteratura e più in generale nella cultura dell'occidente. Secondo questo
paradigma si può stabilire una corrispondenza fra le tre fasi di sviluppo
dell'economia capitalistica, e cioè il capitalismo locale o nazionale, il
capitalismo finanziario e imperialistico, e infine, il capitalismo delle imprese
multinazionali, e le tre fasi letterarie del realismo, del modernismo e del
postmodernismo.
Questa ripartizione e successione cronologica si potrebbe cogliere nello
sviluppo di ogni settore del mercato dei beni simbolici, e Jameson porta come
esempi il cinema, la narrativa afro-americana e la musica rock. Nel cinema la
tripartizione sarebbe costituita dal cinema hollywoodiano classico, che
corrisponderebbe al realismo, dal cosiddetto cinema d'arte o cinema d'autore,
che corrisponderebbe alla fase modernista, e infne dalla televisione, che
sarebbe omologa ad una cultura postmodernista. Così pure nella musica rock
avremmo rispettivamente la fase classica di Elvis Presley e del
rhythm-and-blues, la fase modernista dei Beatles, e la fase postmoderna del rock
attuale.
Naturalmente balza all'occhio che, mentre la
successione tripartita si perpetua, dal punto di vista della collocazione
cronologica la periodizzazione risulta sfasata, perché, mentre il susseguirsi
delle fasi letterarie copre un arco di tre secoli, dal '700 ad oggi,
l'articolarsi delle tre fasi nel cinema si situa totalmente nel '900, e per la
musica rock solo negli ultimi quarant'anni. Vi è insomma una compressione del
tempo che riduce la periodizzazione in termini di micro-cronologia. Come si
spiega questo sfasamento?
Si potrebbero fare delle considerazioni sulla
durata lunga o breve dei periodi, in relazione alla rapidità di consumo dei
prodotti culturali nelle varie epoche, o in relazione alla velocità con cui i
mezzi di comunicazione raggiungono il pubblico dei fruitori. A tale proposito
potremmo dire che la trasmissione televisiva di un'opera teatrale esaurisce in
una sola sera il repertorio di repliche che sarebbe bastato a una compagnia
teatrale del ‘600 per girare l’Inghilterra per un paio d’anni.
Certamente anche per questo il teatro è inadatto
ai teleschermi, perché è il prodotto culturale di un tipo diverso di
distribuzione. La televisione viene guardata non solo da una massa enorme di
persone, ma viene guardata tutti i giorni. Richiede perciò un prodotto
distribuibile quotidianamente, come le informazioni dei telegiornali, i giochi,
e tutto ciò che può essere reiterato o prolungato. Per questo i tipici
sceneggiati televisivi, ma anche tutte le opere di fiction, sia in televisione
sia nel cinema, tendono ormai alla serializzazione.
Per Jameson tuttavia, il valore paradigmatico di
questa corrispondenza può mantenersi nonostante lo sfasamento temporale tra la
letteratura, il cinema e gli altri settori della produzione artistica, se
l'omologia viene intesa non più solo in rapporto con le fasi economiche, bensì
in rapporto all'emergere di nuove formazioni e soggetti sociali. Riformulando in
questo modo la questione, allora si può dire che, come il realismo letterario
è funzionale alla rivoluzione culturale della borghesia, che lo ha usato come
strumento della propria presa di coscienza di classe, così il cinema avrebbe la
stessa funzione per la classe operaia del Ventesimo secolo; così pure la
letteratura nera per gli afroamericani e il rock per il nuovo pubblico giovanile
sarebbero strumento di acquisizione di una nuova identità sociale.
A sua volta la fase modernista, in ogni settore,
sarebbe sempre la reazione alla diffusione industriale dei modelli: perciò il
modernismo è sempre elitario, intellettualistico e antiborghese, nel senso che
è contro i valori piccolo-borghesi della nuova società di massa. Il mutamento e
l'evoluzione, cioè in sostanza la teoria dell'avanguardia, si spiegherebbe
quindi come rinnovamento inteso a sfuggire al degrado verso il kitsch, per
mantenere l’autenticità conoscitiva.
Possiamo osservare che il ragionamento di Jameson
può sì estendersi ad altri tipi di beni simbolici, ma deve adeguare ogni volta
la natura del rapporto che vuole istituire tra i fenomeni artistici e quelli,
diciamo così referenziali, ad essi omologabili, cercando una mediazione sempre
più astratta e sempre più culturale.
Facciamo l'esempio di due arti applicate come la
moda e la pornografia. La moda e la pornografia di per sé possono ritenersi
signicative come i luoghi in cui è in atto un processo emancipativo di tipo
diverso, non in relazIone all’emergere di nuovi soggetti sociali e storici,
bensì in relazione all'emergere di una particolare consapevolezza del corpo e
del sesso come componenti culturali del soggetto.
Ciò che si vuol dire è che la valorizzazione del
corpo e del sesso come sfere autonome di interessi, che la modernità ha
realizzato in maniera sempre più evidente, passa anche attraverso
l'emancipazione di pratiche culturali un tempo disprezzate o ignorate come la
moda e la pornografia. Questa emancipazione può anch'essa misurarsi sul
paradigma cronologico ipotizzato da Jameson, ma si esprime e si manifesta in un
altro modo, e precisamente nel modo in cui la funzione semiotica della moda e
della pornografia, vale a dire la valenza conoscitiva dell’abito e della
rappresentazione dei rapporti sessuali, si pone rispetto alle realtà specifiche
a cui moda e pornografia si applicano, il corpo e il sesso appunto.
Per quanto riguarda la moda, sulla scia degli studi di Roland Barthes, ripresi
da Jean Baudrillard, possiamo ipotizzare la tripartizione paradigmatica in
questo modo. Una fase della moda omologa al realismo letterario sarebbe quella
in cui il vestito che ricopre il corpo rappresenta ed esprime tutta la realtà
sociale di esso, ovvero tutta la realtà del corpo rappresentabile socialmente.
Corpo e vestito coincidono e sono inscindibili, perché il corpo, in società,
non è presentabile e quindi visibile senza vestito. Perciò il vestito è moda,
ma è inevitabile che rappresenti, e quindi sia, anche il corpo che c'è sotto.
Abbiamo poi una fase modernista in cui la funzione della moda, cioè il
rappresentare il corpo attraverso la foggia e l'invenzione estetica realizzata
negli abiti, è assunta dal corpo stesso, per cui non ci sono più vestiti alla
moda, ma corpi alla moda, (il corpo di Twiggy, il corpo delle modelle) di cui il
vestito è un accessorio minore. Il corpo assume direttamente la funzione
simbolica, rivelando la sua natura culturale e non naturale, che si credeva
propria dell'abito e non del corpo.
Infine la fase postmoderna dove l'abito agisce sul corpo per trasformarlo in
ideale, simulacro di una perfezione che il corpo in primo luogo non ha, ma
soprattutto che è immagine scelta e perfezionata altrove. Un altrove che non è
la casa di moda, ma un'origine perduta nelle pieghe dello spirito del tempo, che
lo spirito del tempo seleziona fra le infinite permutazioni disponibili
nell'ordine del simbolico e che ovviamente si succedono di anno in anno.
Se la moda, partendo dal vestito come oggetto
strumentale della vita pratica del corpo, passa poi a cristallizzarne la
funzione comunicativa, e perviene infine a cedere tale funzione comunicativa al
corpo stesso, annullando la sua realtà fisiologica per farla riapparire come
pura realtà culturale, lo stesso compito sembra destinata a svolgere la
pornografia, se continuerà la sua diffusione e la sua sempre maggiore presenza
a tutti i livelli della comunicazione.
Premesso che la visibilità della pornografia oltre
la soglia stretta della clandestinità è per la pornografia stessa un suicidio,
tale suicidio appare il punto di arrivo logico del succedersi delle tre fasi
paradigmatiche ipotizzate da Jameson.
Nella fase realista la pornografia è se stessa
come rappresentazione clandestina di ciò che deve essere invisibile nella sfera
pubblica e nella sfera etica. In questa fase l'interesse esplicito per la
sessualità è considerato patologico, e la sessualità infatti è oggetto di
considerazione solo nella sua dimensione medica. Fuori dalla patologia la
sessualità è sussunta implicitamente nella sfera del matrimonio come dovere
della riproduzione, o al massimo relegata nella fruizione terapeutico-salutista
della prostituzione.
Nella fase modernista la pornografia vive in un
regime di semiclandestinità e rivela la presa del potere della sessualità come
requisito basilare dei rapporti interpersonali tra i sessi. In questa fase la
sofisticatezza della rappresentazione pornografica coltiva una pretesa
pedagogica edonistica, basata sulla contraddizione per cui ciò che è istintivo
e naturale, il sesso appunto, può essere non solo mostrato, ma addirittura
dimostrato e insegnato.
La morte della pornografia deriva dalla
sessualizzazione di tutta la realtà, che equivale alla sterilizzazione
dell'eros nel sesso. Come l'estetica finisce quando tutta la cultura è
esteticizzata, così l'autonomia della sessualità vive un trionfo effimero,
immediatamente seguito - ed è la fase postmoderna - dalla pervasiva presenza
del sesso in un mondo dove il significato è sostituito dall'erotismo, ma nello
stesso tempo l'erotismo non è più principalmente piacere, bensì interfaccia
semiotica, condizionamento culturale, sistema di segni che si segnala come
traccia di una sensualità originaria, trascendentale e irraggiungibile.
Convincenti o meno che siano queste
esemplificazioni sulla moda e sulla pornografia, ciò che ora ci interessa
invece di sottolineare è il fatto che, interpretata in questo modo, l'omologia
paradigmatica proposta da Jameson muta ancora una volta la natura del suo
riferimento: dopo aver sostituito la sua base economica con un radicamento
sociale, diventa ora espressione di un modello epistemico.
Ma l'interesse epistemologico è tipico della
critica che si adegua agli interessi della letteratura modernista. Vorremmo ora
infatti porre a confronto il paradigma di Jameson con l'omologia, propriamente
epistemica, tra contesto economico-culturale e caratteri dei movimenti artistici,
in casi che ci inducono a scavalcare le periodizzazioni storico-culturali
tradizionali, dando luogo a un altro tipo di sfasamento, giustificabile con una
spiegazione che imposta il rapporto di omologia su basi diverse.
È tipico della teoria critica modernista vedere le
arti come luoghi di elaborazione di tecniche espressive che si propongono un
fine speculativo di carattere epistemologico. Ogni poetica offre cioè, in
termini di convenzioni formali, delle risposte alle problematiche particolari
del suo tempo in ordine alla possibilità e alla natura della conoscenza.
Anche il realismo quindi, inteso ai suoi tempi come
significazione fondata sul principio mimetico della rappresentazione veridica o
verosimile, è studiato oggi attraverso l'analisi delle trasformazioni della
concezione e percezione del mondo nel passaggio dall'era medievale e premoderna
a quella moderna e razionalista, dall'organizzazione della società corporata e
feudale all'economia di mercato.
Ad esempio, in consonanza con gli studi
sull'adozione del punto di fuga unico nella prospettiva pittorica, anche il
realismo della narrativa è visto come accordo di prospettive testuali che rende
omogeneo il mezzo di espressione e oggettivizza un mondo comune. Nella
concezione medievale il tempo non è organizzato cronologicamente, ma come un
campo statico e discontinuo, con paradigmi tipologici fondati sulla congruenza
con un piano divino. Anche la concezione dello spazio non si fonda sulla
continuità e quindi sulla relatività della collocazione delle cose nella
regolarità della natura. Rispetto a tutto ciò la prospettiva pittorica del
Rinascimento è una razionalizzazione della vista, così come in letteratura
tutti gli elementi del realismo formale: la cronologia, la causalità, la
percezione del dettaglio concreto, la presentazione di una materia bassa, sono
visti ora come razionalizzazione della coscienza. Si tratta ora di affermare una
identità che dipende dalla sequenza, un'unicità che dipende dalla struttura
invariante del riconoscimento delle cose, il primato dell'esperienza individuale
sulle verità accettate, il tutto in coerenza con l'epistemologia cartesiana.
Mentre tutto ciò è ormai acquisito, il
particolare significativo su cui vogliamo attirare ora l'attenzione è che
talvolta sembra di poter cogliere fra le arti, in tempi diversi, gli stessi
intenti speculativi riguardo alle modalità della conoscenza. Ad esempio è
evidente che ciò che sottende alla poetica dell'impressionismo in pittura e
alla poetica del modernismo in letteratura è un comune modo di reagire
all'impermanenza degli oggetti e dei soggetti (e del rapporto tra essi) prodotta
dall'accelerata dinamica della vita nella modernità.
Come insegna Arnold Hauser, ciò rende problematica ogni individuazione e ogni
stabilità: la discontinuità prevale quindi nella presentazione della materia;
i personaggi trascendono in confini della loro coscienza come le figure escono
dai contorni del disegno. Allo stesso modo la psicologia del personaggio non si
distingue più dalla totalità della vita, come l'impressione non si distingue
più dalla totalità della visione.
Tuttavia l'impressionismo si colloca cronologicamente intorno alla metà
dell'Ottocento, e il modernismo letterario riprende a suo modo gli stessi
interessi quasi mezzo secolo dopo. Pittura e letteratura sembrano cioè
scambiarsi il testimone di una staffetta nell'itinerario di una ricerca di
carattere esplorativo riguardo al rapporto tra convenzioni formali e possibilità
e natura della conoscenza.
Un analogo parallelismo si può cogliere tra due complessi evolutivi nei momenti
di passaggio che conducono dall'impressionismo al simbolismo e dal modernismo al
postmodemismo. Ciò potrebbe raffigurarsi sotto forma di proporzione matematica
in questo modo: l'impressionismo sta al simbolismo come il modernismo sta al
postmodernismo. In entrambi i casi infatti, in queste trasformazioni, nel secondo
termine di questi rapporti, cioè nel simbolismo e nel postmodemismo sembra
subentrare un neointellettualismo di secondo grado, che permea di consapevolezza
un atteggiamento autocontemplativo che procede verso l'astrattezza e l'artificio,
verso la struttura e la cultura. Ad esempio nel simbolismo il poeta è anche
critico, nel postmodernismo non vi è distinzione tra arte e critica, fra
discorso letterario e discorso referenziale, fra realtà e finzione. Si realizza
l'elogio della menzogna preconizzato da Oscar Wilde.
Anche in questo caso, a distanza di quasi un secolo,
fenomeni culturali diversi sembrano riprendere, pur in condizioni generali
superficialmente mutate, un atteggiamento comparabile, il cui senso profondo è
di carattere epistemico.
Se confrontiamo i due tipi di omologia, notiamo che
quella di Jameson è intesa a cogliere il rapporto tra le arti e la realtà
economico-sociale, dove le arti svolgono un ruolo di produttrici di coscienza e
di diffusione di coscienza sociale, mentre l'omologia da noi evidenziata tende a
cogliere il rapporto tra le arti e l'episteme vigente, o in formazione, vale a
dire il sistema di categorie percettive e ordinative che costruisce la realtà.
Come si è detto questo rapporto rispecchia gli
interessi tipici del modernismo, ovvero la riflessione sulle modalità della
conoscenza e della costruzione del mondo; si fa perciò esplorazione
autoriflessiva e, quando perde il suo nesso col fondamento, diventa quel
rimandarsi circolare di immagini speculari tipico del postmodernismo. Ma abbiamo
visto anche che, improntato in questi termini, il rapporto di omologia evidenzia
un tipo di sfasamento differente dalla semplice riduzione e accelerazione dei
tempi di successione di realismo, modernismo e post-modernismo messa in luce da
Jameson.
Ciò apre ad una problematica differente, e
precisamente quella relativa al bisogno di nuove categorie
storiografico-culturali che devono essere mediazioni, meno rigidamente
posizionate rispetto alle periodizzazioni note, tra la prassi epistemologica
delle convenzioni artistico-formali e una più ampia gamma di discorsività
teoretiche quali la filosofia, la scienza politica, la psicologia, la storia
economica e sociale.
Per concludere vorremmo accennare a quelli che a
noi paiono due tratti distintivi dell'episteme postmodernista: la
globalizzazione e l'interattività. La globalizzazione deriva dalla condizione
del mondo come villaggio globale, ovvero come spazio comunicativo dove ogni
informazione si diffonde globalmente quasi in tempo reale. L'interattività è
invece quella pratica fruitiva della comunicazione che trasforma la funzione del
destinatario da ricettore passivo ad elaboratore attivo e consapevole e dunque
co-autore del messaggio.
L'idea di villaggio globale sembra coordinarsi
perfettamente con l'economia dell'impresa multinazionale. In un universo
permeato di comunicazione, la conoscenza non è più rispecchiamento della realtà
come nel realismo, e nemmeno riflessione sugli strumenti della conoscenza, come
nel modernismo, bensì informazione e riflessione sugli strumenti del comunicare.
Ciò che si accumula è un plusvalore di presentificazione, dove l'estensione
spaziale diventa valore assoluto, e la durata temporale si assottiglia, perché
la comunicazione deve avvenire in fretta, ma anche perché la validità
dell'informazione ricevuta dura pochissimo. Ciò che si ottiene è perciò un
capitale effimero di dati immediatamente sostituiti da quelli del giorno o
dell'ora successiva. Il giornale quotidiano o, meglio ancora, la borsa
telematica diventa il modello cosmologico vigente; ciò che si perde è il dato
di partenza, l'oggetto originale della conoscenza. La fonte del messaggio è
irreperibile, diventa entità metafisica col nome spregiativo di "significato
trascendentale".
La perdita dell'origine è anche il venir meno del
soggetto come emittente, compensata dall'accresciuta importanza del soggetto
come ricettore. Di qui l'altro connotato epistemologico del postmodernismo, cioè
l'interattività. Il fruitore accresce la concretezza della sua funzione non
solo con la possibilità di intervenire sul testo attraverso l'interpretazione e
quindi contribuire a creare il messaggio che riceve, ma anche accrescendo la
sensazione della percezione stessa. È quella esigenza che viene soddisfatta con
l'entrata nella cosiddetta realtà virtuale.
La globalizzazione e l'interattività sono sia
contrapponibili sia complementari sull'asse del rapporto astrattezza/concretezza.
L'astrattezza è alla base della globalità, perché attraverso l'intellettualità,
la valenza, il significato, la distanza, è collegata in tempo reale con una
rapidità da operazione mentale. Questa astrazione, mentalizzazione,
virtualizzazione della realtà, come abbiamo detto, rende tutto presente, ma
tutto effimero, correttamente, efficacemente effimero, al limite
dell'inesistente.
Al tempo veloce della mente l'interattività oppone
invece, o integra, il tempo lento del corpo; ad una ricezione ermeneutica oppone
o integra una ricezione erotica. L'esteticizzazione del mondo attuata dal
postmodernismo generalizza la dicotomia costitutiva dell'estetica, quella fra
sensibile ed intelligibile. Se l'astrattezza percorre la distanza,
l'interattività fruisce della vicinanza, della sensazione, del significante
come corpo del significato. Scopriamo allora che il paradigma dell'interattività
è ancora una volta la pornografia.
La pornografia si contrappone alla via ascetica dell'estetica. La via ascetica dell'estetica è quella basata appunto sul significato, per cui il valore dell'arte sta nella polisemia, cioè nella massima quantità di significato. L'episteme della postmodernità ha forse scoperto che la quantità delle informazioni e dei significati eccede ormai non solo la possibilità di reperire la fonte delle informazioni e l'origine dei significati, ma eccede le capacità stesse di ricezione dei significati, e allora reagisce e si adegua, mobilitando tutto il corpo a farsi ricettore. Si produce così un modello che è una nuova forma di un antico paradigma ontogenetico: il modello che Freud ha chiamato il perverso polimorfo.
BIBLIOGRAFIA
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Einaudi, 1970.
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F. JAMESON, "The Existence of Italy", in Signatures
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L. TERZO, “Il ritmo della pornografia. Mimesi e
diegesi, spettacolarità e magniftcazione, ricezione e sensazione, sublime e 'bathos'”,
II confronto letterario, XI, n.21, maggio 1994.