In
ritardo/Late on the Event-Scene
Nell'universo senza memoria dell'accelerazione mediatica
arrivare in
ritardo sull'attualità è
l'ultimo modo per ricordare
20. New
York, New York: vecchi “nuovi media” e nuovi vecchi eventi. (Leonardo
Terzo, 22 settembre 2001)
Il fatto che l’informazione giornalistica e i programmi
televisivi siano stati dedicati all’attentato di NY per oltre una settimana, apre uno scenario significativo per la comprensione
della comunicazione contemporanea. Si verifica il caso che l’inarrestabile
flusso di notizie ha trovato un modo di arrestarsi sul medesimo evento pur continuando a
fluire. Ciò è stato ottenuto con la riproposizione continua delle
stesse immagini e la ripetizione incantatoria delle stesse chiacchiere. È
in questo modo che ci si è sottratti sia alla durata effimera della
validità di tutte le notizie, sia all’incredulità simulacrale connessa
all’inautenticità di cui ogni immagine si vuole sia contaminata sin
dall’emittenza. Un’insistenza di questo tipo è normalmente il regime proprio
del bombardamento degli spot pubblicitari, equivalente a ciò che, nei paesi
sottoposti a poteri autoritari, è il regime della propaganda del partito
unico. Non a caso in Italia tale insistenza appare meno inattesa e più
naturale su quella parte di canali dell’emittenza privata dove la
comunicazione ha già normalmente un andamento di reiterazione di pochi
concetti ben martellati nell’ascolto degli adepti, o in quei programmi
come Porta a porta, che hanno acquisito una funzione di
sottintesa ufficialità della propaganda esplicita dei poteri di turno,
sintetizzati dall’illuminante eufemismo servile “editore di riferimento”.
A dire il vero qualcosa di simile si era già subodorato nel
caso della reiterazione di un medesimo tema, il culto magico e popolare di
Padre Pio, in versioni molteplici, ma presentate nello stesso lasso breve
di tempo, così da procurare un senso d’incredula asfissia affabulativa. Si
tratta infatti di un personaggio avviato alla beatificazione in corsia
preferenziale, per mettere l’attualità santificatoria della chiesa al
passo con la rapidità comunicativa del mondo contemporaneo. Di solito le informazioni competono tra di loro per
diventare sempre più vendibili, e per sovrapporsi le une alle altre nello
spazio limitato dei notiziari nelle varie fasce d’ascolto. In questo caso,
nonostante l’estensione dei tempi assegnati ai notiziari, si è dovuto
subire lo spreco di ciò che, in situazioni usuali, avrebbe tenuto
validamente le prime pagine. Si è dovuto così mettere un involontario silenziatore al
contemporaneo rimbombo di altri eventi notiziabili, altrimenti
suscettibili di orge di sensazionalismo pietistico o aggressivo, per
esempio intorno al bambino soffocato dai rapinatori (extracomunitari, ma
forse no), sui nubifragi che hanno distrutto buona parte di una grande
città (sebbene a conduzione municipale non governativa), o sugli scontri
di treni (peraltro ormai passati di moda rispetto ad un paio d’anni fa,
nonostante un maggior numero di vittime). L’insieme di queste circostanze ci permette di intravedere
l’applicazione di un principio di pragmatica comunicativa, forse inedito,
consistente nel capovolgimento della politica tradizionale della
pubblicità. Quest’ultima consiste nell’ottenere, con la ripetizione
ininterrotta, due cose: l’abbassamento del livello di consapevolezza che
la pubblicità è finzione iperbolica, così da assimilarla per assuefazione
alla dimensione della quotidianità vissuta, e la riduzione della
comprensione dei messaggi pubblicitari a livello di riflesso condizionato.
Ora invece l’insistenza dell’immagine, la maniacalità della
documentazione totalizzante, da tutti i lati, delle torri colpite e
incendiate, e crollanti e crollate, e mancanti dallo skyline panoramico
della città (con rivalutazione della cartolina, divenuta in un attimo
reperto storico invece che oggetto d’uso di massa) viene incontro ad un
bisogno opposto: la necessità di credere che il fantasticato spettacolare
non è più oggetto privilegiato della finzione, ma può essere offerto e
vantato anche dalla cronaca. Il Pentagono infatti non ha avuto eguale
successo per carenza di spettacolo, e l’aereo caduto in Pennsylvania è
rimasto pressoché ignorato perché invisibile. La vecchia battuta di Wilde che la vita imita l’arte,
diventa la rivincita dei media, che finalmente possono dire, a coronamento
dell’ultimo genere di successo, la real tv, difatti prevalentemente
catastrofico, che ciò che vediamo è vero, che possiamo crederci nonostante
la ripetizione televisiva. In coincidenza col cambio di secolo, in queste occasioni si
cerca anche un segno di svolta, per un’esigenza di rimescolamento delle
credenze. Perciò si è subito detto: mai nulla sarà più come prima. Ma la
lezione che emerge dagli eventi ultimi non è nuova, ed è che la verità è
catastrofe, e ogni elaborazione del lutto, in quanto elaborazione, è
finzione. E ogni elaborazione del lutto, come ogni programma
d’intrattenimento che, alto o basso che sia, ogni giorno ci distrae da
tale verità, si propone di giustificare il fatto di essere
sopravvissuti.
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