2.
Genova due: uomini e divise. (Leonardo Terzo 27 luglio 2001)
Diceva
Hegel che in guerra, quando si spara al nemico, non si spara a
un uomo, si spara a una divisa. Neanche la divisa però rende
esente il militare da ogni responsabilità personale, e
infatti anche in un conflitto dichiarato possiamo individuare
e punire i criminali di guerra.
Questa
esenzione vale ancor meno per quei corpi militari che sono
preposti al mantenimento dell’ordine pubblico. E non vale
nemmeno per chi ha visto in ogni divisa di poliziotto un
nemico da attaccare, prescindendo dal concreto comportamento
dell’uomo che vestiva quella divisa. Ciononostante la logica
della divisa nemica ha prevalso almeno in parte sia negli
eventi accaduti nelle strade di Genova, sia nei conflitti
etico-politici che dividono i commentatori di quei fatti.
Da
un lato ogni manifestante, dalle tute nere alle tute bianche,
alle suore laiche e cristiane, è stato aggredito,
evidentemente su precisi ordini di carattere strategico, come
se vestissero tutti la stessa divisa nemica e a prescindere
dai comportamenti aggressivi o pacifici in atto. Dall’altro
lato è anche troppo facile, proprio perché la divisa
abolisce l’uomo e uniforma chi la veste nel ruolo di nemico,
attribuire a tutti i componenti delle forze dell’ordine le
inutili disgustose sevizie a cui alcuni reparti si sono
abbandonati, perché “coperti” da sicure direttive
politiche.
Anche
i governi sono composti da uomini che probabilmente hanno
sfumature di giudizio su ciò che è accaduto, ma lo
schieramento politico è proprio l’ambito in cui non è
possibile distinguere le responsabilità personali da quelle
collettive, a meno di uscire dal governo stesso.
In
effetti le responsabilità politiche sono sempre assolute
anche se vengono punite con semplici dimissioni e non con
processi penali. Ma la responsabilità politica, diluita forse
in responsabilità morale, va attribuita anche a tutti coloro
che col loro voto hanno mandato al governo un campionario di
umanità di cui continuano a non vergognarsi.
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