DALLA PIZZA DA ASPORTO
AL POLLO ALLO SPIEDO

In Danimarca sembrano destinate ad aumentare le polemiche sul PVC.

Nell'ottobre scorso Luciana Gramiccioni - Istituto Superiore di Sanità - era intervenuta autorevolmente sulla questione, proprio dalle pagine della nostra rivista, per spiegare che l'allarme lanciato la scorsa estate dall'Agenzia Ambientale danese relativamente alla presenza di alcune sostanze plastificanti all'interno di giocattoli in PVC, destinati alla prima infanzia, andava ampiamente ridimensionato rispetto a quanto riportato da alcuni organi di stampa e di informazione in Italia.

Allora Luciana Gramiccioni concludeva così il suo messaggio: "le elevate quantità di ftalati usate nel PVC, quali quelle comunemente impiegate per il raggiungimento delle necessarie prestazioni tecnologiche, non rappresentano un elemento di rischio. Importante è, infatti, la valutazione della quantità che può migrare e che, pertanto, può essere assunta dall'organismo. Il settore dei materiali a contatto con gli alimenti e il settore biomedico dispongono di riferimenti normativi chiari e precisi anche per quanto riguarda le modalità di esecuzione delle prove. I problemi sorti con i giocattoli derivano, viceversa, proprio da una mancanza di precise disposizioni, anche se alcuni documenti in elaborazione presso il CEN possono fin d'ora costituire un buon punto di riferimento. Rimane comunque da sottolineare come sia sempre più importante una responsabile azione di corretta informazione nei confronti dei consumatori, in grado di evitare allarmismi talora ingiustificati".

Dell'argomento si è ampiamente discusso, successivamente, durante i lavori di un interessante convegno organizzato dal Centro di informazione sul PVC, il 12 dicembre scorso, a Milano e dei quali abbiamo dato ampio resoconto sul numero del 30 gennaio della nostra rivista.

Vittorio Tiraboschi (rappresentante per l'Italia dell'European Council for Plasticizers and Intermediates), Gerhard Gans (vice chairman del "Toxicological Working Group" dell'European Council for Plasticizers and Intermediates), Jacques de Gerlache (manager of Health, Safety, Environment & Crisis Corporate Communications di Solvay International), Fabrizio Fabbri (Greenpeace Italia), Roberto Carrara (Comitato Scientifico di Legambiente), Luigi Rossi (responsabile del settore "Materiali a contatto con gli alimenti" presso la DG III della Commissione europea) e Luciana Gramiccioni (direttore del reparto "Materiali di interesse sanitario" presso il Laboratorio di Tossicologia applicata dell'Istituto Superiore di Sanità) hanno cercato, nell'occasione, grazie alle loro preziosissime esperienze, di far luce proprio sugli aspetti squisitamente tossicologici della questione.

Forse i responsabili di Greenpeace non ritengono adeguata la normativa italiana in merito (vedi le limitazioni sugli ftalati a contatto con le sostanze alimentari introdotte dal decreto ministeriale 572 del 24 settembre 1996) o non devono aver strettamente condiviso alcune delle idee avanzate durante tale convegno, se il giorno dopo hanno scelto di dare simbolicamente l'assalto, con chiodi, moschettoni e corde, al palazzo di Roma dove ha sede l'Istituto Superiore di Sanità, per innalzare striscioni con scritte contro il PVC.

Sta di fatto che in Danimarca, riprendendo il discorso iniziale, proseguono intensamente le indagini, avviate nel 1995, per valutare eventuali rischi di "estrazione" di adipati e ftalati da film di PVC, usati per il confezionamento di prodotti alimentari, ad opera di alcuni alimenti grassi.

Non possiamo fare a meno di sottolineare, a questo punto, come valga sempre la pena di "indagare" e "verificare" in ogni direzione quando i rischi riguardano direttamente la salute del consumatore.

Ed è proprio grazie a questa convinzione che, così come avevamo fatto alcuni mesi addietro riguardo al problema dell'idoneità delle scatole in cartone utilizzate per le pizze d'asporto, ci sentiamo di lanciare un altro "sasso nello stagno".

Alludiamo a quei polli allo spiedo che sempre più di frequente vengono posti in vendita, caldi, croccanti e pronti per il consumo, nei reparti di gastronomia dei supermercati.

Ci chiediamo quali possano essere, nel caso specifico, le garanzie nei confronti della salute del consumatore.

In altre parole: non appare improprio l'uso di film di PVC per l'avvolgimento, a temperature dell'ordine di 70 ¡C, di prodotti alimentari abitualmente spalmati con abbondanza di sostanze grasse?

Non sembra rischioso tale prolungato contatto tra film e sostanze grasse per svariate ore all'interno delle apposite culle termiche, dove il prodotto, posto su un vassoio e avvolto con un film necessariamente trasparente, giace in mostra, dopo le operazioni di pesatura, prezzatura ed etichettatura, nell'attesa di catturare il consumatore di turno?

Non è forse vero che l'eventuale rischio di estrazione da parte dei grassi di sostanze plastificanti come ftalati e adipati può essere ritenuto direttamente proporzionale alla durata del contatto e alla temperatura del prodotto?

Non sarebbe più sensato, per questo scopo, utilizzare film a base politenica o utilizzare film con plastificanti polimerici, anche se a scapito delle caratteristiche di estensibilità o a fronte di un aggravio di costi?

Non abbiamo la minima idea, in termini quantitativi, della commercializzazione in Italia di polli allo spiedo così confezionati, ma riteniamo che sia un tipo di consumo in costante aumento e, comunque, ci poniamo di fronte al problema citato come singoli consumatori.

Sembrerebbe quanto mai opportuno che i laboratori di ricerca "indagassero" e "verificassero" in merito!