COLTELLERIA BERGAMASCA

Prima Parte

 

Il coltello Bergamasco è nato in Val Brembana

 

"Traggonsi lame grezze da Gromo, Gandolì e Coleret".

Figura 1. Lama fissa del XVI secolo su manico in corno di camoscio: le caratteristiche sono già quasi del tutto (ad eccezione del manico) quelle tipiche del coltello “ Bergamasco”.

Questo è un accenno rivolto alle lame grezze portate a Brescia dalla provincia di Bergamo per essere finite, incise e messe sul mercato. La citazione è contenuta un documento conservato nella celebre Biblioteca Queriniana di Brescia e parla appunto della produzione delle armi bianche in Brescia e provincia nel 1600. Si tratta di un accenno molto interessante in quanto documenta come nei secoli scorsi nelle valli bergamasche, caratterizzate da una economia agricola povera, si integrassero le entrate lavorando ferro estratto dalle miniere o legno e sfruttando anche l'energia fornita dall'acqua. Giacimenti di ferro erano già conosciuti al tempo dei Romani e da questi sfruttati sia in Valle Brembana che Val Seriana, dove appunto si trovano i sopraccitati paesi. Naturalmente non è il più antico dei documenti che testimoniano tale attività ma è comunque molto interessante in quanto si dimostra che tale attività era tanto fiorente da raggiungere un livello di tipo - per quei tempi - industriale e da esportare il prodotto grezzo o rifinito. La produzione delle armi bianche venne a crollare quando le armi da fuoco portarono "innovazioni" tale da farle cadere sempre più ad un ruolo semplicemente rappresentativo. Ma nelle valli bergamasche sopravvisse nei secoli successivi una piccola produzione destinata alle esigenze di mercato locali. Produzione che si ridusse piano piano ai soli coltelli da tasca ed agli utensili di uso agricolo e casalingo.

Non staremo ora in questa sede ad analizzare il significato ed il valore sociale del coltello nei secoli scorsi, comunque resta il fatto che soprattutto per la gente di montagna era un oggetto utilissimo e insostituibile. Nelle valli bergamasche si venne a formare con il tempo un tipo di coltello che possiamo vedere in molti quadri o affreschi del '400 in poi e che a lungo andare darà origine a quella forma tipica che ha assunto oggi il coltello detto appunto "Bergamasco". Dal '500 in poi la forma di questa la ma riamane pressoché invariata, cambierà soltanto il manico: fisso inizialmente a mo' di pugnale, a serramanico successivamente a causa delle leggi che via via definivano la foggia o le dimensioni, riuscendo sempre di più la pericolosità dell'arma. La trasformazione è dovuta soprattutto per motivi di pubblica sicurezza in quanto spesso nelle risse compariva la cosiddetta "spada del popolo". Una stampa del 1830 parla appunto di questo, definendo le forme dei coltelli che si potevano portare o detenere.

Figura 2. Coltello Bergamasco del XVI – XVII secolo trasformato serramanico, di fattura piuttosto rozza.

A questo punto è però indispensabile accennare al fatto che nelle diverse valli nacquero diverse fogge di coltelli; la più conosciuta di queste è quella che attualmente viene definita modello "Bergamasco" ma che è tipica della Valle Brembana (e così preferiremmo chiamarla). Questo modello veniva costruito in alta Valle Brembana: a Valtorta (l'ultimo coltellinaio, Paolo Anovazzi, è morto intorno alla metà degli anni '80), a Camerata Cornello (dalla famiglia Belotti, attiva fino agli anni '50) e probabilmente anche in altre località venivano costruiti coltelli (per esempio a Rota Imagna dalla famiglia Moscheni). Per quanto riguarda il coltello a serramanico, caratteristica è la forma della lama: fortemente ricurvo il lato del filo, molto adatto a scuoiare animali e a lavorare forme di formaggio o per lavorare il legno (cucchiai, zoccoli, archetti per catturare uccelli); con una gobba sul lato opposto molto vicina alla ghiera mentre dalla metà in poi si forma uno sguscio tale da conferirle la forma di una mezzaluna. Il manico di solito è in legno di bosso in un pezzo unico, con ghiera di ottone o in ferro senza molla. Anche il manico ha una foggia caratteristica, ricurvo per contenere la lama e una protuberanza al termine per consentire una migliore (oggi si direbbe "anatomica") presa con la mano. Le lame venivano ricavate da materiale di recupero: balestre di carro, ma soprattutto vecchie lime (Anovazzi) oppure, molto ricercate, le lame fatte con il codolo delle falci una volta volta consumate le falci stesse (Belotti). Particolare era il tipo di affilatura di questi coltelli: sul lato destro la lama presentava una convessità, sul sinistro la lama era perpendicolare alla linea del filo. A questo punto è inevitabile citare il Baronti con il suo libro "Coltelli d'Italia", dove scrive: "  uno dei più belli coltelli italiani, il coltello Bergamasco, che con la mobilità delle sue semplici linee, la proporzionata leggerezza e insieme la potenza delle sue meditate forme riesce immediatamente a dare il senso della perfezione estetica e del rigore funzionale".

 

 

 

Figura 3. Serramanico probabilmente del XVIII secolo con

 manicatura  molto originale e schiena dalla lama finemente lavorata.

 

Figura 4. Coltelli “Val Brembana” opera di cinque diversi artigiani.

Passiamo ora ad esaminare alcuni pezzi della raccolta ritratta nelle immagini a corredo dell'articolo, partendo dai più antichi. Nella prima figura vediamo una lama fissa su un corno di camoscio (cm 32), si tratta di una lama del XVI secolo: è interessante la "gobba" e il filo "pettoruto", caratteristiche queste che rimangono ancora oggi e sono rimaste pressoché invariate per quattro secoli, pur cambiando la foggia del manico.

Nella seconda figura si nota sempre una lama del XVI-XVII secolo (cm 33) inizialmente fissa e trasformata a serramanico probabilmente nel secolo scorso, dalla fattura molto rozza. Si tratta di due lame tutto sommato ben conservate, a dispetto dell'età.

Nella figura n° 4 ci sono dei coltelli "Val Brembana" di diversa foggia e fattura: i primi due senza ghiera, le lame vengono bloccate con pernio e pernietto, sistema usato anche in altri modelli italiani (da cm 29 a cm 14). Gli altri con ghiera in ottone o di ferro; i manici, tranne il secondo, sono tutti in legno di bosso.

 

Figura 5. Serie di coltelli dell’ultima produzione di Paolo Anovazzi di Valtorta (Bg).

 Si tratta di pezzi usatissimi ma che comunque denotano cinque "mani" diverse; soltanto due portano il marchio "Apv" (Anovazzi Paolo-Valtorta). Nella figura n° 6 abbiamo un "magnum" (cm 41) con marchio "Edelweiss" prodotto negli anni '50 a Premana (Como), i due centrali con manico di faggio (rispettivamente lunghi 24 e 18 centimetri) risalgono agli anni '30 e sono marcati: "Santo" di San Giovanni Bianco (Bg) e "Berera", coltelleria di Bergamo tuttora esistente in via San Bernardino, che produceva coltelli fino all'inizio del secolo e tuttavia già negli anni '30 commissionava i coltelli a Premana con proprio marchio. L'ultimo pezzo è di produzione attuale "Codega" (cm 21), manico in bosso con motivi tradizionali dei pastori, scolpiti dal proprietario del coltello. Anche se la produzione in Valle Brembana e  Valle Imagna è attualmente finita, possiamo intuire che ci fossero diversi coltellinai i quali, pur rimanendo fedeli ad un modello principale, hanno lasciato la propria "firma" nei piccoli particolari, tanto da fare riconoscere ancora oggi a prima vista un "Valtòrt" da un "Belòt" non solo dagli appassionati, ma dai mandriani e dai pastori stessi.

 

Prossimamente parleremo di altri tipi di coltelli che venivano prodotti nella valli bergamasche.

Attualmente i modelli bergamaschi vengono prodotti a Premana dalla famiglia Codega (vedi n°5 di questa rivista). I modelli qui descritti sono di proprietà di Piergiorgio Mazzocchi e si possono vedere presso la coltelleria "Armando Collini" a Ponte San Pietro (Bg).

 

 

 

Figura 6. I coltelli raffigurati sono marcati con punzoni “Edelweiss”, “Santo”, “Berera”, “Codega”; risalgono tutti al periodo che va dal 1930 ad oggi e sono costruiti nel Bergamasco e a Premana (Co), paese dove ancora si produce questa tipologia di coltello.