Altre notizie

Precedente Home Successiva

indice

Cantina Sociale

Il ruolo della donna nella società terralbese

Un po' di Preistoria

Disoccupati in crescita

Filastrocche

 

 

Cantina Sociale 50 anni di storia

Chi lo avrebbe mai detto! Avranno pensato in molti, eppure ci siamo arrivati dicono gli amministratori di quella che, nel bene e nel male, è stata ed è la più antica e prestigiosa azienda del terralbese, definita dagli operatori del settore italiani una delle cantine sociali storiche della Sardegna (è la terza più vecchia dell’isola dopo Monserrato e Quartu S.Elena). eppure, nonostante le numerose vicende che nel corso di 50 anni di storia hanno caratterizzato la vita della cantina, molti nostri concittadini non ne conoscono a fondo la storia.Una storia che, nasce molto prima che la cantina venisse fondata dal capitano Severino Lay, una pagina di storia della Sardegna scritta quando, 550 anni prima di Cristo i Cartaginesi fondarono la città madre di Terralba: Neapolis, città ricca di genti di storia, di cultura di tradizione. Sede vescovile, ma anche centro di grandi commerci da e per tutto il Mediterraneo, Neapolis era una città dove i prodotti agroalimentari del territorio prendevano la via del mare per approdare laddove i fondatori risiedevano. Si produceva e si commerciava soprattutto vino, come testimoniano le numerose anfore vinarie rinvenute negli stagni e le numerose ville e fattorie rurali disseminate nel territorio, una fra tutte la villa romana “Su Coddu is Damas”. Il resto è storia dei giorni nostri, o meglio di un passato meno remoto; da quando la sede vescovile e gli abitanti si trasferirono e fondarono Terralba in una zona più interna e più protetta.Dove grazie al suolo generoso e alle condizioni climatiche la popolazione si dedicò in maniera assidua alla coltivazione della vite e alla produzione del vino rendendo già da allora famosa Terralba per la produzione del “Rosso di Terralba” tanto decantato anche dai viaggiatori che passavano da queste parti, i quali nei loro diari di viaggio ricordavano la cittadina per la bontà e la qualità dei vini che vi venivano prodotti.La storia del vino a Terralba però non regala solo ricordi felici, i più anziani ricorderanno sicuramente le orde di acquirenti che piovevano a Terralba da ogni parte per acquistare, per pochi soldi, i vini dei produttori, che costretti a svendere per farsi spazio in cantina, vedevano declassato il frutto del loro lavoro. Questa situazione durò fino a quando, nel 1948, il capitano Severino Lay non radunò alcuni soci costituendo la Cantina di Terralba. Furono anni duri raccontano i viticoltori che impegnarono nell’impresa anche i loro beni personali, ma era invece per Terralba una grande conquista sociale, economica e culturale.Nel corso dei suoi primi 50 anni la Cantina di Terralba è cresciuta, ha avuto momenti di gloria, arrivando a lavorare addirittura 177.000 quintali di uva e ad avere, negli anni settanta, uno degli stabilimenti più all’avanguardia dell’Europa, vanto per Terralba e invidia per chi, in quell’epoca, veniva schiacciato dalla grande forza economica e commerciale della cantina di Terralba.In quell’epoca oltre alla vendita dei vini in bottiglia, gran parte della produzione veniva esportata in Francia per essere utilizzata come vini da taglio. Nel 1976 il più grande successo per la cantina. Il riconoscimento ufficiale, con decreto del Presidente della Repubblica, della denominazione di origine controllata per il Rosso di Terralba,a conferma della qualità e a tutela dell’origine del vino prodotto da questa cantina e in questo territorio.Cinquanta anni sono trascorsi, dall’inizio dell’avventura iniziata dal capitano Lay, durante i quali la cantina di Terralba e con essa la cittadina hanno conosciuto periodi di gloria, ma anche periodi di crisi come gli anni ottanta e novanta, caratterizzati dall’espianto incentivato dei vigneti che hanno visto diminuire progressivamente la produzione e travolto numerose cantine sarde, chiuse a causa di produzioni ormai inesistenti.

 

Il ruolo della donna nella società terralbese

La figura femminile a Terralba appare in questi ultimi anni obbligatoriamente avviata verso una trasformazione. Il ruolo della donna, tradizionalmente legato quasi esclusivamente alla famiglia o professioni tipicamente femminili, sta lentamente cambiando, per assumere gioco forza fisionomia e caratteristiche di quello maschile. Ciò nonostante, per quanto riguarda il lavoro, il numero delle disoccupate a Terralba è sempre alto, a differenza del buon incremento occupativo degli uomini che si è verificato ultimamente. Questo sebbene molte donne oggi non disdegnino lavori con mansioni pesanti e faticose. Tuttavia sono sempre poche quelle disposte a diventare imprenditrici, a rischiare e a mettersi in discussione, benché questa sia stata la carta vincente di molti uomini terralbesi, che con le loro attività imprenditoriali hanno creato numerosi posti di lavoro. La quota di lavoro sommerso al femminile inoltre è molto alta, di certo anche perché si tratta di impegni saltuari o par time, che lasciano molata libertà. Anche al di fuori della famiglia o del lavoro le donne terralbesi non sono granché protagoniste.In campo politico sono soltanto tre, compreso il sindaco, a far parte del Consiglio comunale, mentre non abbiamo alcuna nostra rappresentanza in provincia o in Regione; <questo non perché a Terralba non ci sia un ambiente politico preparato e aperto, capace di accogliere donne propositive in politica>, afferma il sindaco Maria Cristina Manca <piuttosto bisogna rimarcare la mancanza di centri di aggregazione dove si discuta di politica o di famiglie che formino ideologicamente i giovani e soprattutto le donne. Da non sottovalutare anche il ruolo femminile di moglie e madre, per certi versi incompatibile con l’assai impegnativo ruolo politico>. Nello sport la situazione è ancora più triste in quanto a praticare attività agonistica sono quasi esclusivamente bambine o ragazze. Fra le adulte le tesserate che svolgono realmente gare si contano sulle dita di una mano, a differenza delle centinaia di maschi. <La mancanza di donne inserite attivamente nel mondo dello sport è da ricondursi all’educazione ricevuta e ai pregiudizi che ancora colpiscono Terralba la donna che fa sport, soprattutto la corse> spiega Olivia Anedda, una delle poche atlete terralbesi del settore assoluto< in paese non esiste un campo sportivo, se non di calcio, adatto a essere un punto di ritrovo per le donne, pertanto queste si vergognano a correre sulle strade di campagna. A mio parere comunque, le donne terralbesi sono molto pigre, si concedono solo l’oretta di palestra per la pancetta e non pensano lontanamente a diventare atlete, dirigenti o promotrici di manifestazioni sportive, che sicuramente invoglierebbero più le donne ad entrare nel mondo dello sport vero>. Un’inversione di tendenza si rileva invece nel campo della cultura dove la partecipazione delle donne terralbesi trova assoluto riscatto.<Per sorridere e regalare un sorriso sono diventata la presidente e attrice del gruppo teatrale Sardinia Maskaras> dichiara Maria Bonaria Melis <ma il mio impegno e soprattutto quello di tenere uniti col teatro tanti ragazzi che potrebbero essere tentati da pericolose devianze>.Numerose peresenze femminili si hanno nel Gruppo Folk, nella Banda musicale ed in particolare nel coro Res Nova, formato da una ventina di donne su ventisette componenti complessivi. <Nel coro noi donne siamo tante perché evidentemente nel canto e nella musica ci troviamo intimamente> confida Nina Pala, assidua corista <Ci piace far parte del gruppo e vivere esperienze culturali che ci arricchiscono ogni giorno di più. Certo questa attività è impegnativa e di responsabilità, ma le soddisfazioni sono tante>. L’atteggiamento delle giovani è invece di grande scoramento nei confronti del paese.<Terralba è un paese di poche vedute> afferma Alice Steri, studentessa del Classico <Le iniziative e le associazioni risultano poco allettanti per noi ragazze. La maggior parte di noi desidera un giorno di trasferirsi altrove, soprattutto per il lavoro, perché a Terralba è difficile emergere ed affermarsi>.Il settore del volontariato è viceversa uno dei punti forti dell’impegno delle donne Terralbesi, che sono in gran numero presenti in molte associazioni, fra cui il Centro d’ascolto, la LIVAS, la Caritas, Intercultura, l’AVIS e nella parrocchia.<La donna terralbese, pur con le dovute eccezioni e retaggi culturali, può definirsi certamente attiva> dice Lorella Ghiani, sociologa del Consultorio familiare <sta cercando di muoversi nel mondo del lavoro e complessivamente, anche se non è molto impegnata in attività extra familiari, è serena e positiva. Una cosa è certa, il suo ruolo non è più subalterno al maschio e sta acquisendo sempre più fiducia in se stessa>.

Un po di preistoria

L’uomo si insediò molto precocemente in questa zona, forse già dalla fine del mesolitico, tra il 7.000e il 6.000 a.C. Il mesolitico è quel periodo intermedio che sta tra il paleolitico superiore e il neolitico antico, che dura dal 10.000 al 6.000a.C. circa. È un periodo di transizione tecnologica molto importante per la storia dell’umanità, perché nel Medio e Vicino Oriente incominciano a maturare tutta una serie di invenzioni e scoperte come l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, l’uso della ceramica, ecc. che ben preso, a partire dal neolitico si diffonderanno anche in Europa e in Sardegna.

In Sardegna sono attestate testimonianze sicure della presenza umana in quel periodo solo nella grotta Corbeddu di Oliena, mentre per quanto riguarda Terralba, sono individuate probabili tracce in due siti a breve distanza tra loro e sono: il n. 85 di Coddu Sabbiois e il n. 92 di Santa Chiara.

Durante il neolitico antico (6.000 - 4.000 a.C.) la Sardegna era ancora scarsamente popolata, e di quel periodo si conoscono solo una ventina di insediamenti, di cui tre nel nostro territorio: n. 11 Pauli Putzu, n.16 Pauli Annuas, n. 92 Santa Chiara, gli unici in tutta la provincia di Oristano. Le conoscenze che abbiamo su come viveva l’uomo preistorico in Sardegna sono ancora molto scarse e ancor di più lo sono per quanto riguarda il neolitico antico.

Questo è dovuto al fatto che le indagini di scavo hanno interessato solo alcune grotte, come quella de su Carroppu di Sirri, nei pressi di Carbonia, scavati una ventina d’anni fa. La ceramica di questo periodo è detta cardiale per la caratteristica decorazione fatta imprimendo sul vaso ancora crudo la valva di una conchiglia, il cardium edule, cioè la comune arsella bianca di Marceddì.

Disoccupati in crescita

Terralba vive uno dei momenti più difficili per la sua economia. I preoccupanti segnali di crisi dell’ultimo periodo col ridimensionamento o addirittura la chiusura di diverse attività lavorative - produttive sono purtroppo diventati delle tristi realtà. Una mazzata per il già fragile tessuto economico della nostra cittadina, che sempre più va verso un futuro incerto.I dati questa volta parlarono chiaro e non possono in ogni caso essere interpretati diversamente.Terralba ha chiuso il 1998 con ben 2.259 disoccupati (990 maschi e 1.269 femmine).La percentuale di disoccupazione è quindi del 30% riferita ad una popolazione lavorativa 7.453 persone, di età compresa tra i 15 e i 64 anni.Una percentuale altissima, se si pensa che nella vicina Arborea la disoccupazione è invece di soli 2,4% e che nella stessa Terralba, dieci anni fa, i disoccupati erano in 1254,esattamente mille in meno. I dati attuali, purtroppo, pongono Terralba tra le prime cittadine in Sardegna anche in questa desolante classifica. Una situazione lavorativo - produttiva preoccupante che deve obbligatoriamente riflettere tutti, ma soprattutto gli amministratori locali.La mazzata più forte è avvenuta dalla Cantina sociale agricola. Non si erano ancora spenti gli echi dei festeggiamenti per il cinquantenario della sua fondazione, nei quali si era brindato ad un futuro ricco di soddisfazioni, che sono emersi dal bilancio amministrativo forti disavanzi. Tanto che, nonostante la vendita del vino e dei prodotti ortofrutticoli sia andata a gonfie vele, la cantina non è stata in grado di pagare ai soci le quote degli ultimi anni del conferimento delle uve e di alcuni prodotti ortofrutticoli. La causa è sempre la stessa: la poca quantità di uva conferita (appena 5000 quintali), una volta trasformata e commercializzata, non garantisce tuttavia abbastanza ricavi neanche per pareggiare i costi di gestione della Cantina.Il disavanzo del settore vinicolo di conseguenza penalizza anche l’altro settore produttivo: quello ortofrutticolo.E purtroppo sembra proprio che il nuovo Consiglio di amministrazione sia costretto a vendere una parte dei fabbricati dello stabilimento per pagare i soci ed evitare il fallimento.

 

Filastrocche

Dèu sciu unu contu

ca babbu tuu esti tontu   

c’hat bendiu sa pobidda

po unu prattu de gintilla

 

Io so una storia

che tuo babbo è tonto

che ha venduto la moglie

per un piatto di lenticchie

 

Maria Punta ‘ a Oru

“Maria Punta ‘a Oru “ era una vecchia signora molto brutta che la notte del 2 novembre ,per la festa di tutti i morti , passava nelle case per mangiare la pasta che secondo la tradizione veniva fatta in casa  per i defunti . Per l’ occasione si tiravano fuori le provviste accumulate durante l’ inverno 

( meloni, uva passa, mele cotogne, melagrane, fichi secchi, ecc. ).Questi frutti venivano messi            a tavola e mangiati insieme alla pasta , però bisognava lasciarne un po’ anche a Maria Punta ‘a Oru.  Chi non ne avesse lasciata si sarebbe ritrovato un buco nella pancia , perché la vecchia Signora sarebbe andata a cercarlo nel suo letto e, con “sa punta ‘a oru” ( attrezzo in ferro con la punta ricurva che serviva per fare l’ orlo, s’oru, alle corbole ed ai setacci fatti di giunco o erbe palustri ) o con uno spiedo ( su schidoni ) gli avrebbe bucato la pancia per prendergli la pasta.

La leggenda di Maria Punta ‘a Oru veniva raccontata ai bambini per spaventarli; in realtà la pasta veniva mangiata dai genitori che facevano credere ai bambini che fosse venuta Maria Punta ‘a Oru.