La pagina letteraria di Salvatore Talia
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Ho scelto come tema di questa pagina le "tragedie romane" di Shakespeare,
intendendo con questo titolo, molto semplicemente, tutti i drammi ambientati
(anche parzialmente) nell'antica Roma. A volte questi vengono collocati nella
categoria più ampia dei "drammi classici", comprendente anche Troilo
e Cressida, Timone d'Atene e Pericle, principe di Tiro:
queste tre opere sono in cima alla lista delle candidate nel caso di un futuro
ampliamento della presente pagina.
William Shakespeare, Tito Andronico, traduzione di Maria Vittoria Tessitore, saggio introduttivo di Anna Luisa Zazo, Oscar Mondadori 1994, pp. 215, £ 12.000.
Datazione e trama: Shakespeare (1564 - 1616) scrisse questa
tragedia probabilmente fra il 1589 e il 1591. Pubblicata nel 1594, essa
appartiene agli inizi della carriera del grande drammaturgo ed è forse
la sua prima tragedia. I personaggi principali sono il generale romano Tito
Andronico e la regina dei Goti, Tamora. Dopo aver vinto i Goti, Tito dispone
che il figlio primogenito di Tamora sia sacrificato pubblicamente. Tamora,
che ha implorato invano la grazia per suo figlio, giura vendetta. L'occasione
per vendicarsi si presenta dopo che il nuovo imperatore romano Saturnino
ha scelto Tamora come sua sposa. I due figli superstiti di Tamora, Demetrio
e Chirone, durante una battuta di caccia rapiscono la figlia di Tito Andronico,
Lavinia, la violentano, le tagliano la lingua e le mani per impedirle di
comunicare, uccidono il fidanzato di lei, Bassanio, e la lasciano libera.
Dell'assassinio di Bassanio sono incolpati due figli di Tito, che vengono
giustiziati; un altro figlio di Tito, Lucio, viene esiliato e si unisce
all'esercito dei Goti, assieme ai quali dichiara guerra a Roma. Quando Lavinia
riesce, a gesti e pateticamente, ad indicare a suo padre i nomi dei suoi
stupratori, la vendetta di Tito Andronico è atroce: con uno stratagemma,
cattura Demetrio e Chirone, li sgozza, e ne serve le carni a Tamora e a
Saturnino, durante un banchetto allestito da Tito con il pretesto di tentare
una mediazione tra Lucio e l'imperatore Saturnino. Alla fine del banchetto,
dopo aver ucciso sua figlia Lavinia per liberarla dalle sue sofferenze, e
dopo aver rivelato a Tamora di averle fatto mangiare i resti dei suoi figli,
Tito pugnala Tamora e viene subito ucciso da Saturnino. Lucio, a sua volta,
pugnala Saturnino. Alla fine della tragedia, Lucio è acclamato imperatore.
William Shakespeare, Julius Caesar, Dover Publications, New York 1991, pp. 80, $ 1, 00.
Datazione e trama: Questa tragedia fu scritta e rappresentata
per la prima volta nel 1599. Giulio Cesare si reca solennemente al Senato
romano in occasione della festa dei Lupercali. Qui gli viene offerta la corona
di dittatore, che egli cerimoniosamente rifiuta: ma circolano voci insistenti
di una sua prossima accettazione. Fra i senatori, non manca chi è
preoccupato per il crescente potere di Cesare. In particolare, Cassio decide
di ordire una congiura e cerca di persuadere il suo amico Bruto (uomo noto
per il suo valore e la sua integrità) a parteciparvi, in nome della
libertà di Roma minacciata da Cesare. All'alba, dopo una notte insonne,
Bruto incontra a casa propria Cassio e altri cinque cospiratori. Insieme
decidono di assassinare Cesare il giorno stesso: uno dei congiurati lo
convincerà a recarsi al Senato. Nonostante oscuri presagi di disgrazie,
Cesare si lascia persuadere; mentre sta per entrare in Campidoglio, i congiurati
lo circondano e lo pugnalano. Giunge il console Marco Antonio (uno dei principali
esponenti del partito cesariano), che si dichiara non ostile ai congiurati
e chiede loro il permesso di organizzare i funerali di Cesare e di pronunciarne
l'elogio funebre. Bruto gli accorda il permesso, a condizione che non parli
contro i congiurati. Davanti alla cittadinanza, Bruto e Marco Antonio pronunciano
i loro discorsi. Bruto spiega che l'uccisione di Cesare non è stata
motivata da odio o interessi personali, ma solo dall'amore per la libertà
e dalla volontà di impedire l'instaurarsi di una tirannia. Subito
dopo parla Marco Antonio, il quale, con un'abile orazione e con la lettura
del testamento di Cesare (che dispone lasciti in denaro ad ogni cittadino
romano), infiamma gli animi dei romani contro i congiurati, che sono costretti
a lasciare la città per evitare il linciaggio. Giunge a Roma Gaio
Ottaviano, pronipote e figlio adottivo di Cesare. Si prepara la resa dei
conti fra lui e Antonio, da una parte, e i congiurati dall'altra. Mentre
a Roma i primi consolidano il loro potere mediante liste di proscrizione,
in Grecia Bruto e Cassio raccolgono le loro truppe per lo scontro finale.
Lo spettro di Giulio Cesare appare nottetempo a Bruto, preannunciando vendetta.
La battaglia ha luogo a Filippi. Le truppe condotte da Bruto hanno la meglio
sugli uomini di Ottaviano, ma Antonio prevale su Cassio, che, visto tutto
perduto, si suicida. Poco dopo, anche Bruto si uccide per non cadere prigioniero
dei suoi nemici. Sarà Antonio, sopraggiunto poco dopo, a rendergli
l'onore delle armi e a pronunciarne l'elogio funebre.
William Shakespeare, Antonio e Cleopatra, trad. e cura di Agostino Lombardo, testo originale a fronte, Feltrinelli 1992, pp. xii-288, £ 12.000.
Datazione e trama: Questa tragedia fu scritta e rappresentata
fra il 1606 e il 1608, e il suo intreccio continua le vicende del Giulio
Cesare, scritto una decina d'anni prima. Troviamo il triumviro Marco
Antonio ad Alessandria d'Egitto, alla corte della regina Cleopatra (dove
si è stabilito in seguito alla battaglia di Filippi, condotta assieme
ad Ottaviano contro Bruto e Cassio, gli uccisori di Cesare). Antonio ama
Cleopatra, ma è preoccupato per le critiche dei suoi compatrioti,
che lo accusano di aver trascurato i suoi doveri di condottiero e di alto
magistrato romano e di essersi fatto irretire dalle mollezze orientali. Lo
raggiunge la notizia della morte di sua moglie Fulvia. Antonio decide di
fare ritorno a Roma, dove incontra Cesare Ottaviano (il futuro imperatore
Augusto: insieme ad Antonio e Lepido forma ora il secondo triumvirato) e
si accorda con lui per combattere Sesto Pompeo, che con le sue truppe minaccia
l'egemonia del triumvirato. Per suggellare l'alleanza con Ottaviano, Antonio
sposa la di lui sorella Ottavia (suscitando naturalmente l'allarmata gelosia
di Cleopatra, rimasta in Egitto). La guerra fra i triumviri e Pompeo viene
momentaneamente evitata grazie a un accordo in extremis fra le parti contendenti
(il patto di Miseno). Antonio va ad abitare ad Atene con la sua nuova moglie.
Ottaviano approfitta dell'assenza di Antonio per muovere da solo guerra contro
Pompeo e per esautorare il debole Lepido. Ottavia si reca allora a Roma per
mediare questa nuova controversia fra Ottaviano e Antonio; ma Ottaviano le
annuncia che Antonio è tornato ad Alessandria da Cleopatra. La guerra
civile fra Marco Antonio e Cesare Ottaviano è ormai inevitabile. La
battaglia navale di Azio si conclude con la vittoria di Ottaviano. Antonio
non si rassegna alla sconfitta e, nonostante le indecisioni di Cleopatra,
sfida ancora Ottaviano a singolar tenzone (una sfida che Ottaviano rifiuta).
La guerra continua ma, alla battaglia vicino Alessandria, la flotta di Cleopatra
si arrende. Antonio si adira con lei e Cleopatra, temendo un suo abbandono
e per legarlo a sé più strettamente, finge il suicidio. Antonio,
ricevuto il falso annuncio della morte di Cleopatra, si getta disperato sulla
propria spada. Agonizzante, viene condotto da Cleopatra, dove muore. La regina
Cleopatra, per evitare di essere condotta prigioniera a Roma da Ottaviano,
si uccide facendosi mordere da un serpente.
William Shakespeare, Coriolano, traduzione di Cesare Vico Lodovici, Einaudi 1978, pp. 130.
Datazione e trama: Protagonista di questa tragedia,
rappresentata per la prima volta probabilmente nel 1608, è il generale
romano Caio Marzio. Egli, dopo aver condotto l'esercito romano ad una
schiacciante vittoria contro i Volsci, viene proposto console dal Senato
di Roma e insignito del soprannome di Coriolano (da Corioli, la città
dei Volsci espugnata da Caio Marzio). La nomina a console deve essere ratificata
dalle assemblee popolari, e così avviene, nonostante la ripugnanza
di Coriolano a chiedere il voto ai plebei, che egli disprezza apertamente.
Dopo l'elezione, i due tribuni della plebe Sicinio e Bruto sobillano la plebe
di Roma a rivoltarsi contro Coriolano, il quale, indignato e adirato, esorta
il patriziato romano ad esautorare i tribuni della plebe e a riprendere in
mano tutto il potere. Accusato perciò di alto tradimento da Sicinio
e da Bruto, Coriolano è condannato all'esilio, proprio mentre i Volsci
stanno riorganizzando il loro esercito per muovere contro Roma. Coriolano
giura vendetta contro la città che lo ha esiliato e si rifugia a Corioli,
dal generale dei Volsci Tullo Aufidio (prima suo nemico giurato) il quale
gli affida il comando di metà dell'esercito volsco. Coriolano, dopo
aver sbaragliato l'esercito di Roma, rimane sordo alle suppliche dei suoi
concittadini che lo scongiurano di desistere dai suoi propositi di vendetta
e di rinunciare alla distruzione della città. Ma, quando sua madre
Volumnia, sua moglie Virgilia e il suo figlioletto si recano al campo dei
Volsci per scongiurare Coriolano di risparmiare la sua città, Coriolano
cede: firma con Roma un trattato di pace vantaggioso per i Volsci e fa ritorno
a Corioli, dove Tullo Aufidio (che già iniziava a preoccuparsi per
la crescente importanza politica del generale romano) lo accusa di tradimento
e lo uccide. Alcuni fra i migliori siti shakespeariani:
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