La pagina letteraria di Salvatore Talia

Le tragedie romane di William Shakespeare

Immagine:
Claude Lorrain (1600 - 1682),
Lo sbarco di Cleopatra a Tarso, conservato al Museo del Louvre di Parigi.

Introduzione

Ho scelto come tema di questa pagina le "tragedie romane" di Shakespeare, intendendo con questo titolo, molto semplicemente, tutti i drammi ambientati (anche parzialmente) nell'antica Roma. A volte questi vengono collocati nella categoria più ampia dei "drammi classici", comprendente anche Troilo e Cressida, Timone d'Atene e Pericle, principe di Tiro: queste tre opere sono in cima alla lista delle candidate nel caso di un futuro ampliamento della presente pagina.
Le mie "recensioni" comprendono una sinossi della trama e le mie impressioni di lettura. Ho già pubblicato questi scritti su Ciao.com (che ne possiede i diritti), e li ripubblico qui, dietro gentile concessione. Per leggere le altre recensioni da me pubblicate colà, potete seguire il link.
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William Shakespeare, Tito Andronico, traduzione di Maria Vittoria Tessitore, saggio introduttivo di Anna Luisa Zazo, Oscar Mondadori 1994, pp. 215, £ 12.000.

Datazione e trama: Shakespeare (1564 - 1616) scrisse questa tragedia probabilmente fra il 1589 e il 1591. Pubblicata nel 1594, essa appartiene agli inizi della carriera del grande drammaturgo ed è forse la sua prima tragedia. I personaggi principali sono il generale romano Tito Andronico e la regina dei Goti, Tamora. Dopo aver vinto i Goti, Tito dispone che il figlio primogenito di Tamora sia sacrificato pubblicamente. Tamora, che ha implorato invano la grazia per suo figlio, giura vendetta. L'occasione per vendicarsi si presenta dopo che il nuovo imperatore romano Saturnino ha scelto Tamora come sua sposa. I due figli superstiti di Tamora, Demetrio e Chirone, durante una battuta di caccia rapiscono la figlia di Tito Andronico, Lavinia, la violentano, le tagliano la lingua e le mani per impedirle di comunicare, uccidono il fidanzato di lei, Bassanio, e la lasciano libera. Dell'assassinio di Bassanio sono incolpati due figli di Tito, che vengono giustiziati; un altro figlio di Tito, Lucio, viene esiliato e si unisce all'esercito dei Goti, assieme ai quali dichiara guerra a Roma. Quando Lavinia riesce, a gesti e pateticamente, ad indicare a suo padre i nomi dei suoi stupratori, la vendetta di Tito Andronico è atroce: con uno stratagemma, cattura Demetrio e Chirone, li sgozza, e ne serve le carni a Tamora e a Saturnino, durante un banchetto allestito da Tito con il pretesto di tentare una mediazione tra Lucio e l'imperatore Saturnino. Alla fine del banchetto, dopo aver ucciso sua figlia Lavinia per liberarla dalle sue sofferenze, e dopo aver rivelato a Tamora di averle fatto mangiare i resti dei suoi figli, Tito pugnala Tamora e viene subito ucciso da Saturnino. Lucio, a sua volta, pugnala Saturnino. Alla fine della tragedia, Lucio è acclamato imperatore.
Impressioni di lettura: Per questa fosca e cruenta "tragedia di vendetta" Shakespeare si ispirò a Thomas Kyd (il drammaturgo elisabettiano autore di The Spanish Tragedy), alla leggenda di Filomela e Procne nelle Metamorfosi di Ovidio, e specialmente al teatro di Seneca, sul cui Tieste è ricalcato l'episodio del banchetto cannibalesco. Ma Shakespeare superò i suoi modelli nella rappresentazione scenica della crudeltà più efferata. La scena più cruda del dramma è probabilmente l'ultima dell'atto II, nella quale Demetrio e Chirone sbeffeggiano atrocemente la povera Lavinia, da loro brutalizzata. Lo stesso Shakespeare, nelle sue tragedie successive, non arrivò più a questi eccessi, nemmeno nel suo Re Lear (1605), che pure ha vari punti di contatto con il Tito Andronico (ad esempio, nel rapporto fra Tito e Lavinia, che prefigura quello fra Lear e sua figlia Cordelia). Un'altra anticipazione nel Tito è costituita dal personaggio del moro Aronne, amante della regina Tamora e suo malvagio consigliere, un personaggio negativo che precorre in qualche modo Iago. Nel Tito Andronico, Shakespeare rinuncia in gran parte alla propria capacità di analisi psicologica, al suo gusto per le sfumature, per le sottili e complesse ambivalenze emotive, e anche alla propria genialità linguistica ed espressiva, per concentrarsi esclusivamente nella creazione di una macchina teatrale efficace e di grande effetto scenico, cui tutti gli altri elementi del dramma sono subordinati, anche la stessa qualità letteraria della scrittura. Il Tito, dal punto di vista poetico, non è il migliore dei drammi di Shakespeare. Negli ultimi decenni è stato riscoperto dai registi, che sempre più spesso lo ripropongono ad un pubblico ormai assuefatto alla rappresentazione della violenza e della crudeltà umana. A chi non ha ancora letto nulla di Shakespeare non consiglierei di iniziare con il Tito Andronico, perché non è fra le sue opere più rappresentative. (Consiglierei di iniziare dal buon vecchio Romeo e Giulietta).
Del Tito Andronico un'altra buona edizione tascabile è quella curata da Alessandro Serpieri per i Grandi libri Garzanti.
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William Shakespeare, Julius Caesar, Dover Publications, New York 1991, pp. 80, $ 1, 00.

Datazione e trama: Questa tragedia fu scritta e rappresentata per la prima volta nel 1599. Giulio Cesare si reca solennemente al Senato romano in occasione della festa dei Lupercali. Qui gli viene offerta la corona di dittatore, che egli cerimoniosamente rifiuta: ma circolano voci insistenti di una sua prossima accettazione. Fra i senatori, non manca chi è preoccupato per il crescente potere di Cesare. In particolare, Cassio decide di ordire una congiura e cerca di persuadere il suo amico Bruto (uomo noto per il suo valore e la sua integrità) a parteciparvi, in nome della libertà di Roma minacciata da Cesare. All'alba, dopo una notte insonne, Bruto incontra a casa propria Cassio e altri cinque cospiratori. Insieme decidono di assassinare Cesare il giorno stesso: uno dei congiurati lo convincerà a recarsi al Senato. Nonostante oscuri presagi di disgrazie, Cesare si lascia persuadere; mentre sta per entrare in Campidoglio, i congiurati lo circondano e lo pugnalano. Giunge il console Marco Antonio (uno dei principali esponenti del partito cesariano), che si dichiara non ostile ai congiurati e chiede loro il permesso di organizzare i funerali di Cesare e di pronunciarne l'elogio funebre. Bruto gli accorda il permesso, a condizione che non parli contro i congiurati. Davanti alla cittadinanza, Bruto e Marco Antonio pronunciano i loro discorsi. Bruto spiega che l'uccisione di Cesare non è stata motivata da odio o interessi personali, ma solo dall'amore per la libertà e dalla volontà di impedire l'instaurarsi di una tirannia. Subito dopo parla Marco Antonio, il quale, con un'abile orazione e con la lettura del testamento di Cesare (che dispone lasciti in denaro ad ogni cittadino romano), infiamma gli animi dei romani contro i congiurati, che sono costretti a lasciare la città per evitare il linciaggio. Giunge a Roma Gaio Ottaviano, pronipote e figlio adottivo di Cesare. Si prepara la resa dei conti fra lui e Antonio, da una parte, e i congiurati dall'altra. Mentre a Roma i primi consolidano il loro potere mediante liste di proscrizione, in Grecia Bruto e Cassio raccolgono le loro truppe per lo scontro finale. Lo spettro di Giulio Cesare appare nottetempo a Bruto, preannunciando vendetta. La battaglia ha luogo a Filippi. Le truppe condotte da Bruto hanno la meglio sugli uomini di Ottaviano, ma Antonio prevale su Cassio, che, visto tutto perduto, si suicida. Poco dopo, anche Bruto si uccide per non cadere prigioniero dei suoi nemici. Sarà Antonio, sopraggiunto poco dopo, a rendergli l'onore delle armi e a pronunciarne l'elogio funebre.
Impressioni di lettura: Il Giulio Cesare è popolare soprattutto per il discorso di Marco Antonio sulle spoglie di Cesare (atto III, scena 2), brillante pezzo di oratoria con cui Antonio sobilla la plebe romana contro i congiurati, proprio mentre protesta di non volerlo fare: "Tutti / ai Lupercali avete visto che tre volte / gli offrii la corona di re, e Cesare / la rifiutò tre volte. Ambizione, questa? / Ma Bruto dice che era ambizioso / e di sicuro egli è uomo d'onore" ("And, sure, he is an honourable man": la trad. è di Sergio Perosa). Una parte della forza persuasiva di questa orazione deriva dall'essere gli ascoltatori consapevoli che Antonio parla su permesso dei congiurati: egli stesso non manca di menzionare questa circostanza, suggerendo così in modo implicito che egli vorrebbe esprimersi apertamente, ma non può, perché il neonato regime di Bruto e Cassio lo imbavaglia - e questo avviene subito dopo il discorso in cui Bruto spiegava ai romani di aver ucciso Cesare in nome della libertà... Tutto il Giulio Cesare può leggersi come un'indagine delle tragiche contraddizioni tra fini e mezzi in cui incorre chi, battendosi per ideali di libertà e di eguaglianza, decide di (o è costretto a) ricorrere all'uso della violenza. Un altro momento in cui viene messa in luce questa contraddizione è all'inizio dell'atto V, quando Antonio rinfaccia a Bruto (che va fiero della propria integrità morale e della propria fedeltà agli amici) di aver assassinato Cesare a tradimento. E se certamente il testo di Shakespeare non manifesta particolari simpatie per il partito cesariano (all'inizio del IV atto si vedono Ottaviano e Marco Antonio - un Antonio qui molto diverso dal personaggio che comparirà in Antonio e Cleopatra - spartirsi cinicamente il potere, preparandosi fra l'altro a falsificare il testamento di Cesare), si può riconoscere un'amara necessità logica nel finale del dramma: risulta quasi ovvio che debbano alla fine prevalere i campioni della politica "pura", priva di quegli scrupoli morali che impacciano e rendono inefficace l'azione degli idealisti come Bruto. Il quale, però, può morire con la consapevolezza di aver vissuto degnamente e che tale sarà anche il giudizio dei posteri.
L'edizione che ho scelto è in lingua originale; il Giulio Cesare è infatti fra i più accessibili dei testi shakespeariani; anche per chi conosce poco l'inglese, una qualsiasi edizione annotata e un buon dizionario sono sufficienti a gustare questo capolavoro.
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William Shakespeare, Antonio e Cleopatra, trad. e cura di Agostino Lombardo, testo originale a fronte, Feltrinelli 1992, pp. xii-288, £ 12.000.

Datazione e trama: Questa tragedia fu scritta e rappresentata fra il 1606 e il 1608, e il suo intreccio continua le vicende del Giulio Cesare, scritto una decina d'anni prima. Troviamo il triumviro Marco Antonio ad Alessandria d'Egitto, alla corte della regina Cleopatra (dove si è stabilito in seguito alla battaglia di Filippi, condotta assieme ad Ottaviano contro Bruto e Cassio, gli uccisori di Cesare). Antonio ama Cleopatra, ma è preoccupato per le critiche dei suoi compatrioti, che lo accusano di aver trascurato i suoi doveri di condottiero e di alto magistrato romano e di essersi fatto irretire dalle mollezze orientali. Lo raggiunge la notizia della morte di sua moglie Fulvia. Antonio decide di fare ritorno a Roma, dove incontra Cesare Ottaviano (il futuro imperatore Augusto: insieme ad Antonio e Lepido forma ora il secondo triumvirato) e si accorda con lui per combattere Sesto Pompeo, che con le sue truppe minaccia l'egemonia del triumvirato. Per suggellare l'alleanza con Ottaviano, Antonio sposa la di lui sorella Ottavia (suscitando naturalmente l'allarmata gelosia di Cleopatra, rimasta in Egitto). La guerra fra i triumviri e Pompeo viene momentaneamente evitata grazie a un accordo in extremis fra le parti contendenti (il patto di Miseno). Antonio va ad abitare ad Atene con la sua nuova moglie. Ottaviano approfitta dell'assenza di Antonio per muovere da solo guerra contro Pompeo e per esautorare il debole Lepido. Ottavia si reca allora a Roma per mediare questa nuova controversia fra Ottaviano e Antonio; ma Ottaviano le annuncia che Antonio è tornato ad Alessandria da Cleopatra. La guerra civile fra Marco Antonio e Cesare Ottaviano è ormai inevitabile. La battaglia navale di Azio si conclude con la vittoria di Ottaviano. Antonio non si rassegna alla sconfitta e, nonostante le indecisioni di Cleopatra, sfida ancora Ottaviano a singolar tenzone (una sfida che Ottaviano rifiuta). La guerra continua ma, alla battaglia vicino Alessandria, la flotta di Cleopatra si arrende. Antonio si adira con lei e Cleopatra, temendo un suo abbandono e per legarlo a sé più strettamente, finge il suicidio. Antonio, ricevuto il falso annuncio della morte di Cleopatra, si getta disperato sulla propria spada. Agonizzante, viene condotto da Cleopatra, dove muore. La regina Cleopatra, per evitare di essere condotta prigioniera a Roma da Ottaviano, si uccide facendosi mordere da un serpente.
Impressioni di lettura: Lo studioso Masolino D'Amico scrive che Antonio e Cleopatra "preferiscono morire che sottomettersi all'algido dominio della politica romana, tutta ipocrisie e perfidie, incarnate dal calcolatore Ottaviano, quasi un giovane Andreotti che pensa solo al potere". E veramente è molto simpatica questa coppia di amanti, già malinconicamente maturi (Antonio è oltre la quarantina e Cleopatra, ancora affascinante, anni prima era già stata l'amante di Giulio Cesare), assillati dal dubbio di non essere più giovani e disperatamente decisi a dimostrare di esserlo ancora, Antonio con le sue velleità belliciste e le sue intemperanze (lo vediamo alquanto brillo nella scena del banchetto a Miseno, alla fine del secondo atto), Cleopatra con le sue astuzie femminili e il suo costante desiderio di rassicurazioni e conferme. Struggente e poeticamente altissima la famosa rievocazione del primo incontro fra Antonio e Cleopatra (atto II sc. 2), lei in una barca sul fiume Cidno, lui sulla riva, abbacinato dallo splendore della bellissima regina. Ed è certo uno dei momenti più commoventi del teatro shakespeariano quello in cui Cleopatra, accingendosi al suicidio, vuole "farsi bella" per l'ultima volta: "Mie donne, vestitemi da regina: / Andate a prendere i miei costumi più belli. Vado / Di nuovo sul Cidno per incontrare Marc'Antonio (I am again for Cydnus, / To meet Mark Antony)".
Questo volume dell'editore Feltrinelli avrebbe dovuto inaugurare una nuova edizione di tutto il teatro di Shakespeare nella versione di Agostino Lombardo (anglista insigne). Mi pare però che, oltre all'Antonio e Cleopatra, siano usciti per Feltrinelli solo Il mercante di Venezia e Amleto. Sembra che l'edizione integrale a cura di A. Lombardo debba invece proseguire con l'editore Newton Compton, per i cui tipi sono già stati pubblicati Riccardo II, Riccardo III ed Enrico V.
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William Shakespeare, Coriolano, traduzione di Cesare Vico Lodovici, Einaudi 1978, pp. 130.

Datazione e trama: Protagonista di questa tragedia, rappresentata per la prima volta probabilmente nel 1608, è il generale romano Caio Marzio. Egli, dopo aver condotto l'esercito romano ad una schiacciante vittoria contro i Volsci, viene proposto console dal Senato di Roma e insignito del soprannome di Coriolano (da Corioli, la città dei Volsci espugnata da Caio Marzio). La nomina a console deve essere ratificata dalle assemblee popolari, e così avviene, nonostante la ripugnanza di Coriolano a chiedere il voto ai plebei, che egli disprezza apertamente. Dopo l'elezione, i due tribuni della plebe Sicinio e Bruto sobillano la plebe di Roma a rivoltarsi contro Coriolano, il quale, indignato e adirato, esorta il patriziato romano ad esautorare i tribuni della plebe e a riprendere in mano tutto il potere. Accusato perciò di alto tradimento da Sicinio e da Bruto, Coriolano è condannato all'esilio, proprio mentre i Volsci stanno riorganizzando il loro esercito per muovere contro Roma. Coriolano giura vendetta contro la città che lo ha esiliato e si rifugia a Corioli, dal generale dei Volsci Tullo Aufidio (prima suo nemico giurato) il quale gli affida il comando di metà dell'esercito volsco. Coriolano, dopo aver sbaragliato l'esercito di Roma, rimane sordo alle suppliche dei suoi concittadini che lo scongiurano di desistere dai suoi propositi di vendetta e di rinunciare alla distruzione della città. Ma, quando sua madre Volumnia, sua moglie Virgilia e il suo figlioletto si recano al campo dei Volsci per scongiurare Coriolano di risparmiare la sua città, Coriolano cede: firma con Roma un trattato di pace vantaggioso per i Volsci e fa ritorno a Corioli, dove Tullo Aufidio (che già iniziava a preoccuparsi per la crescente importanza politica del generale romano) lo accusa di tradimento e lo uccide.
Impressioni di lettura: Ad una lettura superficiale, questa tragedia sembra giustificare le critiche di Lev Tolstoj, il quale, com'è noto, accusò Shakespeare di avere disprezzato le classi popolari. Indubbiamente nel Coriolano (come anche nel Giulio Cesare) la plebe viene raffigurata come una massa volubile ed incostante, ignorante e incapace di ragionamento, preda delle passioni più elementari, facilmente manipolabile da mestatori e da demagoghi; tuttavia mi sembra che nel testo shakespeariano ciò che appare con maggior evidenza sia proprio il cinismo degli esponenti delle classi dominanti, che adoperano la plebe come massa di manovra per i propri giochi di potere. Ciò vale non solo per i due tribuni Sicinio e Bruto, ma anche per Tullio Aufidio e in generale per il patriziato romano, il quale, nel primo atto, non esita ad approfittare della guerra con i Volsci per distogliere la plebe di Roma dalle sue rivendicazioni sociali. Sulla figura di Coriolano (il quale non fa altro che esprimere apertamente quel disprezzo per il popolo, che è condiviso da tutti i patrizi, i quali infatti gli rimproverano la sua mancanza di diplomazia e la sua scarsa capacità di dissimulare) si riflette invece la simpatia di Shakespeare per i personaggi dal carattere sincero e schietto. La tragedia di Coriolano è quella di un uomo che non sa adattarsi alle convenzioni e alle ipocrisie della vita politica, la quale sempre è rappresentata da Shakespeare come una mera e spietata lotta per il potere fra individui privi di scrupoli (si veda il finale dell'atto IV). Ad ogni modo, i contrasti di classe nella società romana sono rappresentati nel Coriolano in modo vivido e realistico ed anche il punto di vista dei plebei è reso con efficacia; ciò che destò l'interesse dello stesso Bertolt Brecht, che nel 1951 realizzò un proprio rifacimento di questa tragedia.
Questa edizione del Coriolano è priva di testo a fronte. La traduzione, per quello che posso giudicarne io che non sono un anglista, mi sembra ben fatta (c'è forse una resa un po' troppo caricaturale della parlata plebea): comunque il testo inglese è reperibile, fra le altre, nelle edizioni tascabili Oscar, BUR e Garzanti.
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Alcuni fra i migliori siti shakespeariani:

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