Gli immigrati e le Forze Armate

 

E’ il titolo di uno studio, da me condotto - nell’ambito dell’Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa (ISTRID) di ROMA - allo scopo di verificare la fattibilità, più o meno remota nel tempo, di immettere nelle Forze Armate personale immigrato.Mi riferisco a stranieri regolari che vivono ed operano nel contesto sociale nazionale in modo irreprensibile e sono in possesso di specificità e competenze in taluni settori logistici e della new-economy.. E’ questa una forza giovane, già presente nella società italiana in termini quantitativi non trascurabili, ma da selezionare qualitativamente in maniera accurata e rigorosa.

D’altra parte, taluni precedenti storici e la realtà attuale confermano che il provvedimento non è da considerare “sconvolgente”.L’Italia ha impiegato gli Ascari dal 1892 al 1945 in Africa (Indro Montanelli ne ha comandato un plotone) e reparti albanesi nel 2^ confitto mondiale; la Spagna ha utilizzato unità straniere denominate “Tercio Extraniero”; la Francia continua ad impiegare la famosa “Legione straniera” (8.300 unità) e la Gran Bretagna i reparti Gurkha (3400 uomini) che attualmente operano in Afghanistan.

La presenza di oltre un milione e settecento mila immigrati regolari ed il flusso fissato da leggi nazionali in ragione di centodieci mila unità/anno, nonché la libera circolazione di stranieri in ambito UE, concorrono sempre più a rendere la società italiana multietnica. Fenomeno questo che non può non incidere - con le dovute necessarie cautele – nel settore Difesa e Sicurezza, specialmente in presenza di altri fenomeni purtroppo negativi che interessano il nostro Paese, quali l’invecchiamento e la contrazione numerica della popolazione, la crisi vocazionale per il mestiere delle armi ed un diverso approccio alla concezione della difesa della Patria da parte della stragrande maggioranza dei giovani. Ho pensato così di verificare in quali termini questa nuova realtà giovanile immigrata si colloca di fronte ai problemi del citato settore, esaminandone i principali risvolti di carattere:

 

-         giuridico: necessità di accertare la validità dell’attuale corpo legislativo nazionale e di quanto può essere mutuato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE nonché stabilire quali provvedimenti è necessario attuare per regolare l’afflusso, la permanenza, l’inserimento nel mondo del lavoro ed in particolare nelle F.A.;

 

-         etico-morale: esigenza di sfatare la tendenza a considerare gli immigrati violenti, delinquenti, prostitute e quant’altro s’identifichi con il peggio dell’etica sociale, connotazioni queste, talvolta valide solo per i clandestini che dallo studio sono categoricamente banditi. E’ questo un riflesso condizionato, un errore madornale da imputare essenzialmente all’inadeguatezza dei provvedimenti legislativi che non riescono a contenere i flussi immigratori negli argini della legalità, ma soprattutto alla mancanza di rigore e severità nelle espulsioni degli irregolari dal territorio nazionale. In realtà, ad inquinare l’ambiente, è una minoranza da eliminare per ridare dignità a quanti, regolari, vivono ed operano al meglio;

 

-         sociale: necessità di promuovere l’integrazione totale, operando per fasi ed obiettivi successivi: dall’accoglienza iniziale alla formazione, alle strutture, ai servizi. Proprio in relazione all’inserimento ed all’integrazione di tale personale, il mondo militare potrebbe trovarsi in posizione di vantaggio, utilizzando le proprie strutture alloggiative e formative che consentirebbero ai giovani stranieri un plafond di vita dignitosa e confortevole sotto l’aspetto logistico, ricreativo,  addestrativi;

 

-         selettivo: aspetto questo molto delicato ed importante. S’impone da subito un distinguo tra immigrati clandestini ed immigrati regolari. Banditi categoricamente i primi, rivolgo l’attenzione ai secondi e soprattutto a coloro che - essendo sul territorio nazionale da almeno un anno - conoscono sufficientemente la lingua ed hanno fornito prova di correttezza, serietà, moralità, voglia di lavorare. Su questi è necessario operare una severissima selezione, scandita per fasi successive, fino all’acquisizione della certezza di poter reclutare giovani validi, motivati da trasformare in seri professionisti;

 

-         economico: esigenza di contrarre i costi in un regime d’inadeguate  risorse destinate al settore Difesa e Sicurezza.Un esercito di volontari – come noto - comporta costi elevatissimi per il personale, penalizzando il necessario investimento per migliorare e potenziare il settore dei sistemi d’arma e di mezzi. La competitività del prodotto Difesa e Sicurezza può essere attuata con una più equa, qualificata ed adeguata distribuzione del budget, contenendo – ove possibile – le spese del personale senza stravolgere equilibri e puntando sul taglio dei costi, come già avviene nel mondo del lavoro e dell’imprenditoria che attinge a personale immigrato con specificità e competenze, specialmente nel settore della new -  economy, con conseguente contrazione dei costi;

 

-         addestrativo – operativo che il nuovo quadro geo – politico postula. Lo spettro delle possibili opzioni d’impiego è diventato decisamente più ampio ed è collocato nel contesto internazionale e multinazionale. La difesa dell’integrità nazionale, che fino a qualche decennio fa, costituiva la ragion d’essere delle F:A., ha assunto attualmente una priorità tanto bassa quanto scarsamente reale ne è la minaccia. In questo scenario si pone il problema della Difesa e Sicurezza che, pur conservando la sua intrinseca valenza spirituale, si identifica soprattutto nell’efficienza, professionalità, fiducia nei propri mezzi; qualità queste tipiche dei soldati di mestiere, capaci di svolgere il proprio compito con lealtà, dedizione, disciplina interiore. La provenienza e la nazionalità non sono più determinanti o, quanto meno, non come prima, quando ogni cittadino si identificava con la Patria. A creare  soldati con tali connotazioni deve tendere l’addestramento che soprattutto nella fase formativa iniziale deve creare soldati validissimi. Proprio in questa fase si deve realizzare la trasformazione di giovani senza radici, senza lingua, provenienti da Paesi diversi, con back- round culturali diversi, con caratteristiche fisiche, mentali e caratteriali diverse in un tutt’uno omogeneo, coeso e solido. E’ questa una sfida esaltante, difficile da affrontare ma non impossibile e, una volta vinta, apre alle F.A. prospettive di grande valenza operativa

 

 

 

                                                                             Ten. Gen. Agostino  PEDONE      

 

            

                                                                              Presidente del Comitato Militare

                                                                         ISTITUTO STUDI RICERCHE INFORMAZIONI DIFESA