PIUME NERE NEL GELO DI SARAJEVO

 

Pur se lontana nel tempo, è sempre tanto viva nel cuore dei Bersaglieri della Brigata “Garibaldi” la data del 19 dicembre 1995.

Giorno importantissimo sia per la storia della Grande Unità che di tutte le fiamme cremisi, perché continuava brillantemente l’epopea bersaglieresca dei reparti piumati impiegati fuori del Territorio nazionale, iniziata nel 1855 con la guerra di Crimea al comando del Fondatore Alessandro Ferrero della Marmora. Si apriva  così un nuovo ciclo di operazioni – tuttora in corso – per riportare nella martoriata terra balcanica la pace, l’ordine, il diritto, la legalità e la vita.

Si poneva di fronte ai Bersaglieri della “Garibaldi” una sfida esaltante: riuscire là dove, in quasi quattro anni di massacri, di ferocia, di guerra fratricida sporca e cruenta, i soldati dell’ONU avevano fallito.

Che non fosse una missione facile, i Fanti piumati lo avevano arguito dalla preparazione effettuata nella sede stanziale subito dopo la loro designazione, da parte dello Stato Maggiore dell’Esercito, a condurre le operazioni in Bosnia – Herzegovina. Addestramento duro, meticoloso, effettuato di giorno e di notte, con snervanti e pesanti esercitazioni continuative, condotte in bianco e a fuoco; con ritmi incalzanti nel tempo e nello spazio, in ambienti simili a quelli dell’Area balcanica dove avrebbero poi operato.

Erano ben preparati, quindi, quando nella gelida sera del 20 dicembre 1995, iniziavano ad affluire nel Teatro di Operazioni che li poneva sotto gli occhi del Mondo.Dopo lo sbarco in Croazia, con 1098 mezzi da combattimento e logistici percorrevano l’unico itinerario di 150 Km. che, da Ploce a Mostar, li portava a Sarajevo. La guerra e le sue immani distruzioni lo avevano reso di difficilissima praticabilità per la presenza di strade sconnesse, ponti di barche insicuri, ponti di pietra pericolanti, strade a mezza costa con frequenti frane, by – pass pericolosissimi, tratti ghiacciati ed innevati in grande pendenza; il tutto in condizioni climatiche limite (spesso – 28°). Tale afflusso, avvenuto senza incidenti di rilievo, è da considerare ancora oggi un autentico miracolo.

Una città spettrale, deserta e distrutta li accoglieva: Sarajevo; un ambiente ancora di guerra e comunque di gente non convinta di dover desistere dal continuarla.

Si capiva subito che in quelle aree servivano non tanto “soldati di pace” – termine tanto caro alla retorica imperante – ma “soldati veri”, provvisti di una validissima preparazione operativa e di altrettanta carica spirituale. Di questo i Bersaglieri  erano convinti, come pure erano consapevoli di dover rappresentare al meglio l’italianità: un mix armonico di professionalità, senso del dovere, spirito di sacrificio, solidarietà e tanta, tantissima umanità. Qualità queste che trovano nei Bersaglieri degni di questo nome, l’espressione più vera, più bella, più storica; in sintesi, costituivano  il meglio dell’Esercito Italiano.

Per questo, “i ragazzi con il ciuffo” ( come affettuosamente li chiamava il popolo di Bosnia – Herzegovina ) sapevano imporsi all’attenzione di tutte le altre Forze operative internazionali, ma soprattutto alla gente locale, fosse essa serba, mussulmana, croata, prostrata da tanti anni di guerra, ma abbisognevole di aiuto, protezione, solidarietà e ancor  più di un volto amico, pulito, sorridente.

Il settore assegnato alla “Garibaldi comprendeva aree di grandissimo attrito, quali  quartieri e  sobborghi (Gorbavica, Vogoscha) e l’intera città di Sarajevo, la cittadina di Pale, capitale della repubblica Serpska, l’enclave di Goradze, centri di stragi, conflitti, fatti e misfatti inenarrabili.

Settore questo non certo casualmente toccato al Contingente italiano, dal momento che le maggiori Potenze avevano cercato ed ottenuto di non esporre a  troppi rischi i loro reparti. Nelle suddette aree, oltremodo difficili da controllare per la frequenza di scontri ed incidenti, i Bersaglieri esprimevano il meglio delle loro potenzialità. Iniziavano, già dalla metà del mese di gennaio 1996 ( 25 giorni prima della assunzione della loro responsabilità ), le massacranti e rischiosissime attività operative con il dispiegamento sul terreno - h24 - di 1600 uomini a fronte di una forza organica disponibile di 2.500 italiani, 900 portoghesi e 850 egiziani che costituivano la Brigata multinazionale “Sarajevo Nord”.

I compiti da svolgere erano tanti e richiedevano continuamente una spiccata professionalità ed una particolare attenzione alle variegate minacce insite nel terreno: mine, ordigni inesplosi, trappole esplosive ed altro (di sole mine antiuomo e anticarro pare che ve ne fossero più di tre milioni),  portate dall’odio, non del tutto sopito delle fazioni e dalla ritrosia di queste ad accettare gli accordi di Dayton.

In particolare venivano effettuati: scorte armate a favore di autorità politiche e militari, partecipanti a riunioni e commissioni; di convogli umanitari e di profughi; di autocolonne militari del Contingente; controllo del territorio, attività di vitale importanza ai fini della sicurezza, attuata h24, mediante pattugliamenti nei centri abitati per scongiurare scontri, attentati ed intervenire in soccorso della popolazione per spegnimenti di incendi e bonifiche da ordigni esplosivi; check-points collocati nei punti più delicati e sensibili delle principali arterie e sulle strade che incidevano sulle linee del cessate il fuoco, ove si fronteggiavano le varie fazioni, nonché a cavallo dei ponti di Sarajevo (Vrbania, Bratsva e cimitero israelitico), punti di transito di serbi, mussulmani e croati, tristemente noti per le scelleratezze compiute; Posti di Osservazione e Allarme (in tutto 310) attivati nei punti strategici di Sarajevo (Debelo Brbdo, Monte Zuc, Old Fort) e presidiati giorno e notte, sui quali sventolava con il Tricolore anche il piumetto dei Bersaglieri che, disseminati nell’Area di 3000 Kmq. (molti in zone impervie e con temperature al di sotto dei 28°), consentivano di monitorizzare la situazione in atto e l’evolversi della stessa; sorveglianza anti-sniping, per impedire che i famigerati cecchini colpissero personale e mezzi in transito per le vie di Sarajevo; attività di Bonifica del Territorio da mine ed ordigni esplosivi. I nuclei BOE (Bonifica Ordigni Esplosivi) divenivano famosi in tutta la Bosnia-Herzegovina per la professionalità,la tempestività e la completezza degli interventi e per l’enorme quantità di ordigni rinvenuti e distrutti.

A queste attività spiccatamente operative, si aggiungevano tante altre di natura tecnico – tattica ed  a carattere umanitario.

Lavori immani per il ripristino di edifici, di condotte della luce, dell’acqua, del gas, nonché della viabilità, della fortificazione campale e per l’impianto delle telecomunicazioni, venivano condotti a ritmo incessante. La realizzazione della rete dei collegamenti si rivelava più articolata e complessa di altre poste in essere in precedenti missioni all’estero (Libano, Somalia, Monzambico, Kurdistan), sia per l’aspra morfologia e l’estrema compartimentazione e frammentazione del terreno, nonché per l’ampiezza dell’Area operativa di responsabilità; ciò richiedeva una grande professionalità ed enormi sacrifici fisici.

Un cenno a parte meritano le attività umanitarie condotte dai Bersaglieri della “Garibaldi”. In esse, questi meravigliosi giovani fanti piumati evidenziavano in maniera tangibile le doti spirituali migliori che tuttora contraddistinguono e  rendono famoso il Corpo nel mondo: generosità, fratellanza, solidarietà, serenità, spirito di sacrificio e soprattutto umanità, tantissima umanità. Tutto ciò che poteva essere attuato per lenire le sofferenze di quel popolo, martoriato dalla guerra, dalla fame, dalle difficoltà sanitarie ed ambientali, veniva posto in essere con tenacia e sprezzo del pericolo.Un bellissimo esempio di nobiltà d’animo erano “le adozioni a distanza” per consentire ai bambini bosniaci di tornare rapidamente ad una vita normale. Atto questo, compiuto in segreto e sottoscritto da moltissimi Bersaglieri, che commuoveva non solo il nostro Capo dello Stato, ma tante altre Alte Autorità italiane e locali quando, dopo alcuni mesi, ne sono venuti a conoscenza. Anche per questo motivo, ancora oggi i Bosniaci riservano ai Bersaglieri della “Garibaldi”un posto privilegiato nel loro cuore.

Mi sono limitato a lumeggiare solo i risvolti pregnanti della “avventura bosniaca”, riferiti essenzialmente agli aspetti umani e spirituali che hanno caratterizzato il comportamento dei “ragazzi con il ciuffo”. E’ stata un’esperienza unica ed esaltante per Comandanti e Gregari, arricchita quotidianamente dal contatto con una popolazione che – diversa per credo religioso, usi, costumi, tradizioni, mentalità – era accomunata dalla sofferenza, dall’assuefazione alla rinuncia e, perché no, dall’odio, dalla mancanza di fiducia e rispetto reciproci. A tutti costoro i Bersaglieri della “Garibaldi” hanno portato il sorriso, la pace, la vita, il diritto di vivere nel benessere e nella concordia, liberi in un Paese libero.

Essi si sono imposti così alla attenzione del mondo, affermando in pieno le loro non comuni doti di ottimi soldati e di uomini veri. 

 

 

                                                                       Bers. Ten. Gen. Agostino PEDONE

                                                                già Comandante della Brigata “Garibaldi”