Dove va l’America!  Spunti di geo-strategia.

1.  Premessa

Nella scelta del tema, oggetto dell’odierna relazione, ho inteso evidenziare che si tratta di spunti di geo-strategia, essenzialmente riferiti ad avvenimenti, situazioni e problemi di maggior momento che interessano la politica estera degli Stati Uniti. D’altronde, l’ampiezza e la complessità dell’ argomento, coniugate con l’esiguità del tempo a disposizione, non consentono di approfondirlo adeguatamente e suggeriscono di farlo in un eventuale successivo “question time”.

2. Politica estera degli USA

Raramente nella storia degli Stati Uniti, in un tempo così breve (circa un anno) dall’insediamento di un nuovo Presidente, si è assistito a tanti cambiamenti, aperture, inviti al dialogo, che riguardano essenzialmente la politica estera ed in particolare temi scottanti quali: la crisi e la ripresa economica, la finanza mondiale, la sicurezza con particolare riguardo al terrorismo ed alla proliferazione nucleare, il clima e l’ambiente, la globalizzazione e la cooperazione.

Il Presidente Obama, appena assunto l’incarico, ha promesso soprattutto rispetto e pari dignità nelle relazioni tra le Nazioni. Si è impegnato a farlo, usando tutti gli strumenti impiegati dal suo predecessore e ricorrendo vieppiù ad altri quali ad esempio: rapporti bilaterali più frequenti, allargamento delle strutture internazionali,  dialogo tra culture, e, se il caso lo imponesse, impiegando tutto l’enorme potenziale del suo Paese. Sembra quasi che alla base di tale policy vi sia la necessità di dare al mondo un segnale rapido di una profonda inversione di  rotta rispetto alla politica estera espressa in precedenza, che ha portato gli USA spesso a situazioni di disagio, per non dire di netto contrasto anche con i Paesi amici ed Alleati.

Questi propositi e queste novità - che hanno interessato anche Paesi non tradizionalmente amici ed alleati (Cina, Russia, Iran, Corea del Nord ed altri ancora) - hanno suscitato, soprattutto presso molti Paesi europei, entusiasmo ed ottimismo, prefigurando un mondo nuovo e meno conflittuale. Lo stesso entusiasmo ed ottimismo non si sono però riscontrati  presso ampi strati della società politica americana che, pur continuando ad accordare  una consistente fiducia e consenso al Presidente Obama, lo segue non senza qualche perplessità. Il primo sintomo di un certo malessere si è avuto nelle recenti elezioni dei governatori del New Jersey e della Virginia, dove i repubblicani hanno vinto sui democratici.

E’ noto che – oltre all’opposizione repubblicana – buona parte della società americana - per non parlare di talune potentissime lobby - è fermamente convinta del ruolo  che gli USA debbano svolgere  quale nazione guida per i destini del  mondo, cui devono imporre, quasi per volere divino, i propri principi, i propri valori ed i propri interessi. Da costoro le novità, le aperture ed i cambiamenti di rotta – senza valide contropartite – sono considerati pericolosi ai fini della sicurezza e degli interessi americani nel mondo. Critiche che, comunque per certi aspetti, non sono  del tutto infondate.

Esaminiamo rapidamente i lineamenti di politica estera degli Stati Uniti, evidenziandone le novità riferite essenzialmente: alle relazioni con i Paesi di maggiore valenza in tema di politica economica, sociale e militare; alla crisi economica mondiale; alla cooperazione commerciale; al problema della sicurezza, intesa come lotta al terrorismo ed alla non proliferazione nucleare.

a. Teatro Asiatico

Nel delineare la situazione dei colossi asiatici si recepisce un fatto nuovo: per acquisire un ruolo di leadership non basta possedere uno strumento militare di prim’ordine, ma sono necessarie altre potenzialità quali: un’economia trainante, un mercato vasto ed una disponibilità di risorse energetiche.

(1) Cina. Attualmente la Cina è da considerare a tutti gli effetti una grande potenza a livello planetario:  non  ancora dal punto di vista militare, ma senza dubbio sul piano economico- finanziario. Essa, sotto mentite spoglie di Paese comunista, opera con un sistema capitalistico. Il suo grande balzo verso l’economia di mercato ha costituito il vero motore della globalizzazione che ha trascinato le economie asiatiche verso crescite molto consistenti.

Qualche dato esplicativo:

·        Crescita economica: Cina:+8,1%(stima 2009); USA: -3,13% (recessione);

·        Inflazione: Cina 0,50 %; USA 0,60%;

·        Esportazioni: Cina verso USA:337,8 mld.$; USA verso Cina:71,5 mld.$;

·        Disoccupazione: USA: circa 7 mil. 800mila unità; Cina: non si hanno dati;

·        Bilancia dei pagamenti: USA: -266,3 mld.$.; Cina: detiene una buona fetta del deficit americano in bond (circa 700 mld.$).

Questi dati costituiscono un’aperta e globale sfida alla supremazia economica americana. C’è chi pensa che la Cina sia un colosso dai piedi di argilla in quanto il suo enorme sviluppo economico dipende essenzialmente dalle esportazioni, ma tale valutazione non è del tutto esatta ove si consideri che – con l’aumento della disponibilità di spesa di ogni singolo cinese, cioè con un maggiore  benessere interno – la Cina ha in casa un mercato immenso  con i suoi 1.300 mil. di abitanti.

Attualmente esiste una sola realtà inconfutabile: contro e senza la Cina si può fare ben poco. L’Amministrazione americana lo ha ben capito; essa infatti cerca di non assumere posizioni conflittuali con la grande potenza asiatica. La “politica cinese”, elaborata dagli USA, non si pone più l’obiettivo di contenere la Cina – come fatto in precedenza dall’ Amministrazione Bush - ma di cooperare e collaborare con essa in tutti i settori di interesse di entrambi i Paesi, creando di fatto un dualismo ed una partnership che operi insieme per la tutela della pace, della stabilità e prosperità mondiale, affrontando insieme tutte le sfide di entrambi i Paesi. L’America attualmente non può agire diversamente; essa è più debole nei confronti della Cina di quanto non lo fosse prima, per cui ha molto da chiedere al colosso asiatico, ma poco da  offrire.

 Nella recente visita di Obama in Cina è nato a tutti gli effetti un direttorio che si propone di  fissare un nuovo ordine bipolare nel XXI secolo.  Tibet, Taiwan, Xinjlang e diritti umani possono aspettare!

(2) India. Il gigante asiatico è senza dubbio l’alleato più fidato degli USA nell’Area; alleanza consolidata da rapporti estremamente amichevoli, da comunanza di principi e valori, nonché ferma convinzione della validità della democrazia. Molto apprezzata dagli americani la presenza dell’India in vari settori  della vita afghana (cucina, film, aiuti economici), con particolare riguardo alla ricostruzione del Paese, al sostegno al governo Karzai ed alla lotta ai Talebani. Obiettivi questi, simili a quelli degli  Stati Uniti che preferirebbero in Afghanistan una più marcata  influenza indiana a quella pakistana; il governo pakistano infatti non nasconde le sue mire per un’ Amministrazione afghana pro-pakistana. Anche in questo affiora palese il contrasto tra India e Pakistan legato a vecchi contenziosi in tema di territori (Kashimir). In sintesi,  gli Stati Uniti considerano l’India il vero e forse l’unico paese amico nel Teatro asiatico.

(3) Pakistan. Grande Paese a valenza nucleare, di fede islamica che ”si dice” sia grande alleato americano nell’Area più sconvolta del pianeta. In realtà non è una alleanza fattiva,affidabile e animata da fiducia  e obiettivi condivisi. D’altronde come potrebbe esserlo se Islamabad da una parte invoca la solidarietà islamica e dall’altra chiede ed ottiene sussidi da Washington per combattere i Talebani? I vertici politici e militari americani sanno che le migliori truppe pakistane sono schierate al confine con l’India invece che nelle zone tribali orientali (Fata) dell’Afghanistan, per combattere con determinazione i talebani ed Al Qaeda. Anzi, c’è chi pensa che quelle schierate nel settore afghano sud-orientale  - che è quello più a rischio – non siano così determinate ancor più ora in previsione del ritiro, a breve termine, della NATO e quindi degli americani dal Teatro Afghano. Da notizie di stampa (da verificare) si è appreso che le Autorità pakistane hanno rinunciato a dare la caccia in Afghanistan ad un certo capo talebano, perché lo considerano un loro alleato. La situazione in quella zona di grande frammischiamento etnico e razziale, favorisce ambiguità e collusioni e non certo la necessaria determinatezza per combattere e sradicare il cancro dei Talebani che ormai controllano –  con le proprie attività finanziate con la coltivazione e lo smercio della droga – la maggior parte del territorio afghano.

(4) Afghanistan. Costituisce,senza dubbio, il più complesso ed intrigato problema che investe il “Premio Nobel” Barack Obama. Il quadro politico del Paese desta timori e perplessità; le recenti elezioni hanno lasciato al potere un Karzai più debole e delegittimato a capo di un governo corrotto ed inefficiente. Ad aggravare la situazione, la mancanza di una strategia nella condotta delle operazioni che stabilisca inequivocabilmente se:

·        dare priorità alla lotta contro Al Qaeda o contro i Talebani;

·        recuperare i Talebani più moderati e dialogare con loro;

·        tenere militarmente solo le città ed abbandonare i territori più impervi;

·        combattere con determinazione la coltura dell’oppio e trovare alternative;

·        privilegiare la ricostruzione, investendo in essa maggiori risorse ed aiutare maggiormente  la popolazione.

Sono questioni vecchie ma ancora insolute!

La Casa Bianca ha disposto un progetto su tre punti, tanto ambizioso quanto teorico e di difficile soluzione: stabilizzare l’Afghanistan; battere i Talebani; smantellare Al Qaeda. Per la sua attuazione ha disposto l’invio nel Teatro Afghano di un congruo rinforzo al Contingente NATO : 30.000 Marines e 3.000/7.000 soldati di altri Paesi Occidentali. Una parte del suddetto rinforzo si unirà alle unità operative l’altra verrà utilizzata per addestrare le Truppe afghane.

Con questo provvedimento – può sembrare un paradosso – Obama   prepara in realtà “l’exit strategy , accelerando il trasferimento di responsabilità alle forze di sicurezza afghane, gestendo in maniera capillare la transizione, assistendole e consigliandole per meglio operare per la loro sicurezza e quella del loro Paese.

Buona parte della credibilità della NATO, degli USA e dell’Occidente, nonché della loro sicurezza, si gioca in Afghanistan.

(5) Corea del Nord e Iran                   

Costituiscono due spine nel fianco della leadership americana anche se a valenza ed in forme diverse.

Corea del Nord. Ancorché con una situazione economica disastrosa continua a cullare sogni nucleari, e lo fa con un atteggiamento ambiguo e provocatorio. Gli USA appoggiano “in toto” la Corea del Sud, loro fidatissimo alleato, la cui politica estera tende alla denuclearizzazione dell’ intera penisola coreana mediante un processo verificabile e completo. La rinuncia della Corea del Nord alle ambizioni nucleari comporterebbe in cambio  un consistente piano di aiuti economici al Paese “fratello”, per risollevarlo dallo stato di estrema indigenza in cui versano i cittadini. Per tale progetto la Casa Bianca sta operando diplomaticamente per acquisire il consenso e l’appoggio da parte della Cina.

Iran. All’ intransigenza dell’ Amministrazione Bush è seguita con Barack Obama una politica più flessibile e fluida nei confronti del Paese iraniano. Dichiarandosi pronto a negoziare la fine dell’embargo e la ripresa dei rapporti diplomatici, lo ha fatto prima di aver verificato la volontà dell’Iran di interrompere l’arricchimento dell’uranio. Successivamente si è dovuto ricredere di fronte alla politica nucleare  di Teheran che non ha dato adito a trattative di sorta; la Casa Bianca ha dovuto ricredersi sulla possibilità di dialogo e collaborazione; ha dovuto quindi correggere la rotta, dichiarando in maniera esplicita che non vi sarebbe stato accordo alcuno se   l’Iran non avesse prima accettato un sistema ispettivo che garantisse la rinuncia iraniana ad un programma nucleare militare.

 

 

b. Russia

Molto più complesso e delicato è l’approccio americano alle relazioni con la Russia per la politica poco lineare e spesso ambigua svolta da quest’ultima.

D’altronde non è una novità!  Winston Churchill soleva dire:” la Russia è un dilemma, avvolto nel mistero, racchiuso in un enigma”. Mai come ora il detto ha trovato valida conferma. Dopo il periodo “Putinocratico”, l’attuale dualismo Putin-Medvedev al governo del Paese potrebbe consentire di affermare tutto ed il contrario di tutto.

La Russia, al pari della Cina, è tornata ad essere una superpotenza mondiale, recuperando il precedente ruolo messo in discussione dal crollo del comunismo e dalla sua implosione interna a seguito dello sgretolamento dell’URSS. Tutto ciò è stato facilitato dallo spostamento del baricentro energetico del pianeta dalla penisola arabica alla Russia che è diventata il maggior fornitore mondiale di petrolio e gas; USA, Cina ed Europa ne sono energeticamente dipendenti.

Attualmente più che mai per raggiungere il ruolo di super potenza mondiale, non basta soltanto disporre di un potenziale bellico di prim’ordine è necessario saper impiegare altre “armi”  quali : economia,  disponibilità energetica e mercati.

Uno dei primi atti del Presidente Barak Obama nei confronti della Russia è stato quello di congelare l’installazione in Polonia e nella Repubblica Ceca dello scudo antimissilistico ABM, fermamente voluto dall’ Amministrazione Bush e fortemente osteggiato dai Russi, optando – sembra - per un sistema mobile  installato su navi ed aerei. Il motivo del cambiamento di politica di difesa – apparentemente giustificato da mancanza di fondi dovuta alla crisi economica -  è stato dettato dalla necessità di acquisire il consenso russo contro il programma nucleare iraniano. La variante non ha suscitato grandi entusiasmi a Mosca, tant’è che il Presidente Putin ha preannunciato lo sviluppo di “armi offensive” per bilanciare lo scudo antimissile americano sia esso fisso o mobile; sicché, se da una parte Usa e Russia esprimono la ferma volontà di ridurre gli arsenali nucleari, dall’altra procedono al riarmo. Il cambio di programma dianzi indicato ha molto deluso i Polacchi ed i Cechi i quali,  dopo cinquant’anni di comunismo - paventando ancora oggi mire imperialiste della Russia - avrebbero gradito maggiore sicurezza, ma soprattutto non perdere il consistente aiuto economico, promesso da Bush, per la disponibilità ad installare sul proprio territorio lo scudo antimissile.

Come per la Cina anche per la Russia, il presidente Obama è costretto a muoversi in soggezione di quota, ma l’orgoglio americano non è sopito.

c. Unione Europea

Costituita da 27 Paesi e da 500 milioni di persone e basata su grandi valori di libertà, di democrazia,  di dignità dell’uomo, l’Unione Europea dovrebbe essere, a tutti gli effetti, un autentico colosso politico, economico e militare. Ma in realtà non lo è!

Lo spostamento  del baricentro della ricchezza e del potere verso l’asse Asia-Pacifico comporta un’ attrazione forte e rapida della superpotenza americana verso quell’Area, con conseguente emarginazione dell’UE dal Club dei Paesi che contano. Ad accelerare tale processo – comunque già da tempo in atto - ha concorso la crisi economica ancora non del tutto scongiurata a fronte di una florida economia dei grandi Paesi asiatici (Cina in testa). La prospettiva futura non sembra essere più rosea della situazione attuale; essa non riesce a darsi una politica estera ed economica unitaria e concorde ed, ancor peggio, una leadership trainante. Infatti la Germania rifiuta il ruolo di leader, la Francia con la sua grandeur non ha prodotto alcunché di concreto, la Gran Bretagna è la nazione più in crisi di tutte e l’Italia sperimenta nuove alleanze ed esprime una politica tutta sua. Sicché di fronte alle grandi sfide mondiali , gli europei si muovono in ordine sparso, ognuno preoccupato del sua stato interno, delle commesse, delle forniture energetiche senza mai trovare una posizione comune ed efficace.

E’ ormai improcrastinabile che L’Europa rafforzi la sua azione sugli scenari mondiali da quelli di “governance economica” a quelli strategici e militari. Per costruire una politica planetaria è necessario realizzare: una unicità di intenti, prima tra tutti i quattro Paesi fondatori; un eventuale coinvolgimento da parte della Russia e dei paesi del Mediterraneo; il passaggio da un’ alleanza subordinata ad un partenariato con gli USA. Su questa linea d’azione bisogna acquisire il consenso degli “States” e soprattutto del Presidente Obama, con il quale è necessario stabilire una corsia preferenziale nell’affrontare i problemi di maggior momento che interessano  l’Occidente.

 

d. Medio Oriente

E’ da sempre un’Area ad altissimo rischio, una autentica polveriera. Il Presidente Barack Obama ha dichiarato a più riprese che “la sicurezza di Israele è una faccenda di interesse vitale”; ma è rimasta una professione d’intenti. E’ da tempo che i Palestinesi chiedono agli USA di convincere gli Israeliani a negoziare con loro la creazione di uno Stato palestinese con l’annessione di una parte di Gerusalemme ed il rientro dei profughi. Richieste che non hanno mai trovato riscontro presso gli israeliani. In tale contesto di grande conflittualità, non sembra che il processo di pace in Medio-Oriente abbia fatto progressi anzi è regredito.

L’impegno del governo israeliano di attuare il congelamento delle colonie – moratoria parziale e temporale (10 mesi) – non ha entusiasmato i Palestinesi che torneranno al tavolo delle trattative solo a fronte di un completo congelamento degli insediamenti e la trattativa sulla divisione di Gerusalemme e rientro dei profughi. Tali problemi, ancorché molto importanti per il processo di pace in un’Area critica, vengono posposti -  sulla mappa dell’Area medio-orientale, predisposta dalla Casa Bianca – a quelli iraniani ed  afghani che assumono “priorità uno”; anzi dei due a preoccupare di più Washington è l’Afghanistan. Comunque si ha la sensazione che gli USA non siano in grado di districare l’ ingarbugliata matassa israelo-palestinese. Non  esiste un disegno strategico americano ben preciso per questo Teatro Operativo ove gli scontri si susseguono frequenti ed i morti aumentano costantemente; anzi pare che gli USA corrano, di volta in volta, rispondendo alle sollecitazioni laddove la situazione si fa più critica e l’intervento diventa improcrastinabile.

Ciò danneggia non solo la figura del Presidente, ma soprattutto l’immagine e la credibilità della superpotenza nel suo ruolo di arbitro delle questioni internazionali.

e. America Latina

E’ il Continente da sempre caratterizzato da grandi speranze e da molte contraddizioni. La situazione geo-politica dell’Area presenta sempre maggiori punti di attrito sia a livello interno che internazionale: Bolivia, Columbia, Venezuela ed altri Paesi ancora, con le loro beghe, ne sono un valido esempio. Tutti comunque sono d’accordo con i Vertici brasiliani nel ritenere che gli USA mai hanno tenuto in debito conto la Regione, ignorandone volutamente i problemi. All’indomani della sua elezione il Presidente Obama manifestò un certo interesse per una ripresa più solida delle relazioni con i Paesi dell’America Latina, promettendo un’incentivazione del dialogo con essi. A tutt’ora manca una politica organica nei loro confronti. In questo vuoto di potere si è inserita, con molto successo, la Cina, curando relazioni incentrate su semplici accordi commerciali, investimenti diretti e legami militari, basati sulla vendita di armi, soprattutto al Venezuela di Chavez, armamenti e sistemi d’arma di ultime generazioni. La presenza cinese nel Continente latino-americano è molto più estesa e capillare di quanto non sembri. Proprio il Venezuela ha invitato una Compagnia petrolifera cinese a partecipare a nuove esplorazioni e ricerche nel bacino dell’Orinoco; il fatto ha molto indispettivo gli Stati Uniti. Ma il Presidente Chavez è andato ben oltre: pare che abbia dato alla Russia ed ai suoi bombardieri atomici Tu 160 la disponibilità di usare la base aerea dell’isola de La Orchilla, una volta ristrutturate le piste. Tutto ciò ha il  significato di una sfida strategica di ben nota memoria (anni 60’).

Anche Mosca è molto presente sul mercato latino-americano con la vendita di armi ed altri materiali connessi con attività belliche.

Come è possibile arguire, il Continente latino-americano costituisce un’Area che non può essere trascurata e/o ignorata dalla politica estera degli USA per gli effetti e ricadute devastanti sulla sicurezza stessa della super- potenza. Si auspica che il nuovo Presidente ne faccia oggetto di maggiore e più approfondita attenzione.

f. Terrorismo

E’ senza dubbio il problema  più scottante per il presidente USA, è quello che più lo assoggetta a critiche interne per la debolezza con cui viene affrontato e che potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza del Paese. Il recente fallito attentato al volo “Delta” – che ha messo a nudo una grave serie di errori, disfunzioni e valutazioni - sembra avallare in pieno la sensazione pessimistica che si è ingenerata nell’opinione pubblica americana.

La lotta al terrorismo – è noto – non può essere condotta da soli e prevalentemente con mezzi militari, come spesso ha inteso fare l’Amministrazione Bush, ma con una collaborazione e cooperazione fattiva e globale soprattutto nel settore dell’ intelligence e dell’economia, coinvolgendo tutti i Paesi, Cina ed India comprese. Tutto ciò  sembra sia stato recepito da Barack Obama. Attaccare obiettivi limitati e locali, non risolve l’ormai drammatico problema, anzi lo amplia ove si pensi alla conseguente maggiore facilità di reclutamento ed addestramento di terroristi in una miriade di centri dislocati in Indonesia, Pakistan, Afghanistan, Mauritania, Maghreb, Somalia, Etiopia e Yemen. “Combat ready” (pronti all’impiego) vengono distribuiti soprattutto in Occidente, America compresa.

 

3. Conclusioni

Certo che dopo gli otto anni del Presidente George W. Bush, gli Stati Uniti  hanno cambiato faccia, ma non è detto che questa attuale sia quella giusta in un contesto globale, in un mondo che si mostra frammentario (dal G2 al G20 ed oltre), senza un’ Autorità che imponga regole e stabilisca modi di vivere. Non è difficile constatare infatti che:

·        la Russia di Putin alza la voce;

·        la Cina invade i mercati e non accetta critiche di sorta;

·        il regime iraniano procede spedito verso la nuclearizzazione e minaccia la sopravvivenza di Israele;

·        la guerra contro i Talebani langue;

·        Al Qaeda si fa sempre più minacciosa;

·        l’Europa continua ad essere in crisi di identità;

·        l’America Latina, nella sua quasi totalità, vira a sinistra e stringe rapporti di protezione e cooperazione con Cina e Russia;

·        la crisi economica che attanaglia l’Occidente non sembra del tutto scongiurata.

E pensare che dopo la caduta del muro di Berlino tutto sembrava volgere verso un mondo migliore e pacificato; è subentrato invece un mondo ove il rischio di una catastrofe, e non solo ambientale, è sempre più immanente.