GLI IMMIGRATI E LE FORZE ARMATE

 

 

 

1. Premessa

 

Lo studio ha lo scopo di verificare la fattibilità, più o meno remota nel tempo, di consentire l’ingresso nelle Forze Armate di giovani immigrati.

Tale eventualità potrebbe – il condizionale è d’obbligo – scaturire da una serie di fattori, legati essenzialmente alla configurazione della realtà sociale dell’Italia in un futuro più o meno prossimo.

Lo studio non ha la pretesa – e d’altronde, almeno inizialmente, non ne avrebbe i requisiti – di costituire la “panacea” alla soluzione dei complessi e, per taluni aspetti, gravi problemi che interessano il settore Difesa e Sicurezza, visti alla luce di un mutato quadro geo–politico, di recenti provvedimenti legislativi e di una nuova configurazione strutturale ed ordinativa dello strumento militare.

Esso costituisce, in sostanza, un valido punto di riferimento, uno strumento di lavoro, una banca - dati, una serie di situazioni prefigurate e quant’altro occorra, per essere in grado di valutare con maggior attendibilità e realismo il problema dell’inserimento, anche nelle F.A., di una forza giovane, già presente nella società italiana in termini quantitativi non trascurabili, ma da selezionare qualitativamente, in maniera molto accurata e severa.

 

 

 

2. Elementi di base

 

Molti sono i fattori, insiti nella struttura sociale nazionale che interferiscono con il “pianeta” Difesa e Sicurezza.

Essi sono di natura:

-         demografica: carenza di personale giovane da reclutare; la popolazione italiana si avvia rapidamente a contrarsi nel numero e ad invecchiare;

- etica: nuovo approccio al concetto di Difesa e Sicurezza - intesa prioritariamente come tutela di interessi economico/sociali ovunque localizzati, più che come salvaguardia dell’integrità nazionale - ed inserito sempre più marcatamente in un contesto europeo e multinazionale;

-         vocazionale: scelta della carriera delle armi, sentita, motivata e maturata;

- fisica e psico - caratteriale: peculiarità irrinunciabile per il personale che opera nel settore della Difesa e Sicurezza e gli consente di svolgere in ogni circostanza il proprio compito;

-         geografica/provenienza: quantità e qualità del reclutamento dei volontari;

-         legislativa: leggi chiare che diano certezze e fughino preoccupazioni nei giovani; incide anch’essa sulla quantità e sulla qualità del reclutamento;

-         finanziaria: aumento delle spese per la Difesa e Sicurezza a fronte di budget finanziari endemicamente insufficienti.

 

Ciò premesso, procediamo all’approfondimento dei vari aspetti di ogni singolo fattore.

 

 

 

a.       Fattore demografico

 

L’ISTAT prefigura, nel “breve termine”, un’Italia meno popolosa e più vecchia dell’attuale.

La svolta radicale di tale configurazione si avrà tra circa trent’anni.

L’Istituto di Statistica, nello studio “Previsioni della popolazione residente”, condotto fino al 2050, prevede, tra l’altro, un consistente allungamento della vita (88 anni per le donne, 82 per gli uomini), ma soprattutto una riduzione della nostra popolazione che, iniziando dal 2012, comporterà nel 2030 una diminuzione di circa 4,5 milioni e, nel 2050, di circa 5,5 milioni di abitanti.

Attualmente la popolazione italiana conta 57 milioni e 700 mila unità.

Ad un incremento iniziale della stessa, previsto fino al 2010 e dovuto essenzialmente alla presenza degli immigrati, si contrapporrà, in virtù del rapporto negativo tra nascite e morti nel nostro Paese (le seconde supererebbero di 500.000 unità le prime), un continuo decremento nonostante il previsto ingresso annuale di circa 111.000 immigrati.

A fronte di tali previsioni, in Italia, nel prossimo decennio, l’indice d’invecchiamento crescerà fino a toccare 2 “over 65” ogni 10 abitanti e questi aumenteranno del 73% nel 2050.

Tale esplosione di popolazione anziana, quindi, si avrà quando “l’onda lunga” delle abbondanti nascite nelle famiglie immigrate (“baby - boom”) dei primi anni duemila, raggiungerà la terza- quarta età.

Il processo d’invecchiamento riguarderà anche la popolazione attiva: nel 2028 gli “over 50” saranno il 38% del totale della popolazione italiana, con un incremento dell’11% rispetto alla situazione attuale.

Infatti, l’Italia ha il tasso di natalità più basso del mondo: dal 1973 esso è sceso al di sotto di 2 figli per nucleo familiare e arriverà a toccare in media l’1,4 nel 2010.

Le regioni dove si registra un minor numero di nascite e una maggior presenza di “over 65” sono quelle del nord. In questo, il nostro Paese è perfettamente allineato con tutti quelli più industrializzati e sviluppati del mondo che nei prossimi 50 anni vedrebbero diminuire la propria popolazione in media di 10 milioni, a fronte di un incremento globale del resto del pianeta di 3 miliardi e 300 milioni rispetto all’attuale.

Per meglio capire il problema, un dato probante: attualmente la popolazione africana e quella europea si equivalgono; tra 50 anni saranno rispettivamente di 2 miliardi l’una e di 600 milioni l’altra.

S’impone, quindi, l’adozione di provvedimenti mirati a risolvere il problema dell’invecchiamento della società.

L’America del Nord, con un tasso di natalità pressoché analogo, comunque maggiore del nostro (1,8 figli per donna), ha operato la scelta politica d’immettere nel tessuto sociale nazionale 1.000.000 di immigrati l’anno, decisione che ringiovanisce ed aumenta la forza lavoro con innegabili riscontri in termini di competitività in campo internazionale e di benessere in quello nazionale.

In Italia, perdurando tale situazione demografica ed in assenza di organici ed improcrastinabili provvedimenti di carattere sociale, la popolazione compresa tra i 20 e i 40 anni, nei prossimi due decenni, sarà pressoché dimezzata.

Il nostro si avvia quindi a diventare un popolo di anziani con risvolti penalizzanti in tantissimi settori della vita pubblica ed ancor più nel settore della Difesa e Sicurezza.

 

 

 

 

 

 

 

b. Fattore etico

 

E’ riferito essenzialmente al mutato concetto di Difesa e Sicurezza.

La legge n.331 del 14 Novembre 2000 “Norme per l’istituzione del servizio militare professionale” all’art.1 comma 1 e 3, recita rispettivamente: “Le Forze Armate sono al servizio della Repubblica” e “Compito prioritario delle F.A. è la difesa dello Stato”.

L’interpretazione delle suddette prescrizioni, scaturita dall’abolizione della leva, attenua la perentoria proclamazione del 1° comma dell’art. 52 della Costituzione Italiana: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” e determina una svolta epocale non solo sul piano strutturale ed ordinativo (Esercito professionale), ma soprattutto su quello etico, prima incentrato solo sui termini Patriae sacro dovere”.

Pur rimanendo valido nella sostanza il disposto del citato art.52, con la L.331/2000, vengono introdotti elementi nuovi e, per taluni aspetti, più in sintonia con il nuovo concetto di Difesa e Sicurezza.

Al termine “PATRIA” (terra dei Padri, tradizioni, usi, costumi, retaggio storico, etc.), si aggiunge quello meno “aulico”, ma più concreto di STATO”.

Lo Stato in senso giuridico è costituito da tre elementi essenziali: il Popolo (elemento personale), il Territorio (elemento spaziale) e il Governo/Sovranità (elemento organizzativo).

Nessuno di questi elementi può identificarsi autonomamente, ma ognuno è in relazione/funzione degli altri. L’ultimo (governo), al fine di assicurare un ordinato svolgimento della vita sociale, deve operare, tra l’altro, per la salvaguardia degli interessi della collettività che ne caratterizzano la sovranità.

In un’ottica moderna gli interessi assumono un significato ed una valenza più ampia e diversificata; vanno intesi e valutati in senso:

n    temporale e spaziale - più spaziale che temporale - spesso fuori del contesto nazionale per collocarsi in un contesto europeo e mondiale;

n    globale, della intera comunità nazionale; comunità che assume le caratteristiche sempre più accentuate di una società multietnica, per cui diventa verosimile che la difesa dei diritti e degli interessi debba essere demandata alla Comunità stessa nella sua interezza.

E’, questo attuale, un momento storico delicato, di verifiche e di scelte per ricostruire prima la vera “identità nazionale”, per meglio collocarsi poi, in un contesto comunitario europeo, senza annullare, anzi esaltando quelle peculiarità che fanno dell’Italia un punto di riferimento morale, culturale e storico nel mondo.

 

 

 

 

c.Fattore vocazionale

 

Altro fattore soggetto a radicale cambiamento.

Non più tardi di qualche decennio fa, il “mestiere delle armi” era considerato una “missione” non solo per i fini nobili che si poneva colui che lo abbracciava, (sempre e comunque al servizio della Comunità Nazionale), ma anche per spinta e motivazione interiori, senso del dovere, disciplina convinta e doti spirituali accertate.

Attualmente, pur continuando a considerare la carriera delle armi una scelta di vita di alto spessore morale e di grande valenza spirituale, non si può non evidenziare il diverso approccio dei giovani nei confronti di tale scelta, la quale ha assunto un significato più prosaico che, per taluni aspetti, la priva della sua atipicità.

Alcuni provvedimenti caratterizzanti la vita militare, quali: l’orario di lavoro, l’istituto dello straordinario ed altri, hanno ingenerato nella maggior parte dei Quadri una mentalità impiegatizia al punto da farli sentire inseriti sempre più tra i dipendenti statali con retribuzioni di livello medio - basso.

Tali retribuzioni poi, se confrontate con quelle del personale di altre Amministrazioni dello Stato con pari responsabilità e funzioni, sono di gran lunga inferiori. A “penalizzarle” ancor più, è il raffronto con le retribuzioni di Quadri, pari grado, di altri eserciti, con i quali giornalmente, fianco a fianco, quelli italiani operano in contesti multinazionali.

Tutto ciò ingenera, talvolta, malcontento e frustrazioni, comunque scarsa considerazione di sé e delle funzioni che essi sono chiamati a svolgere.

D’altronde in una società industrializzata e, per taluni aspetti, meritocratica, l’importanza che si annette alla funzione è direttamente proporzionale alle retribuzioni (vedasi manager, funzionari d’azienda, etc.).

Tale situazione incontrovertibile, si ripercuote negativamente sulle scelte di vita dei giovani, specialmente di coloro che sono in possesso di validissime qualità di fondo, ma non sempre sono supportati da spinte interiori tali da fare loro trascurare l’aspetto economico della carriera militare.

Si verifica così il rischio di dover reclutare personale di basso livello intellettuale e spirituale, pur di “riempire le caselle”, con grave nocumento per l’intera Istituzione.

 

 

 

 

 

 d.Fattore fisico e psico–caratteriale

 

L’Italia, come visto in precedenza, a meno di una decisa inversione di tendenza – ormai non più ipotizzabile nel breve e medio termine – si avvia a diventare un popolo di anziani. Ciò comporta risvolti penalizzanti in tantissimi settori della vita produttiva e soprattutto in quello della Difesa e Sicurezza, ove è vitale fare affidamento su personale giovane, ma soprattutto sano, robusto, scevro da ancor minime mende dal punto di vista fisico e della salute.

Quest’aspetto non trova uguale riscontro, né è paragonabile a quanto avviene per l’assunzione di tutti gli altri dipendenti dello Stato.

Naturalmente un controllo così severo delle peculiarità fisiche del candidato ha motivi ben precisi: quanti operano nel settore Difesa e Sicurezza devono essere pronti ad agire con efficienza ed efficacia in qualsiasi momento ed in qualsiasi circostanza meteo– ambientale.

Un discorso pressoché analogo deve essere condotto per la componente psico-caratteriale: integrità di comportamento, coraggio di fronte al pericolo ed ai tanti rischi insiti nell’attività professionale, serenità d’animo e freddezza nel gestire l’emergenza, devono costituire autentiche peculiarità da verificare in sede di reclutamento e selezione.

In sintesi la prestanza fisica e l’equilibrio psico-caratteriale costituiscono condizioni necessarie ed aspetti qualificanti per quanti scelgono la carriera delle armi e sono da ricercare per consentire alla compagine militare quel salto di qualità, nel senso dell’efficienza operativa, talvolta penalizzata dall’insufficiente quantità e qualità dei requisiti tecnici dei sistemi d’arma, dei mezzi e degli equipaggiamenti, non sempre al passo coi tempi.

e. Fattore geografico (provenienza)

 

Anche questo fattore incide fortemente sul reclutamento del personale volontario.

Il quadro di riferimento attuale– e nel breve termine non si ravvisano fattori tali che lo possano variare- indica che la quasi totalità dei VSP e VFB provengono dalle regioni del Sud d’Italia.

I motivi di tale fenomeno sono da ricercarsi (in buona parte) nel maggior indice di natalità e (in maggior parte) nell’elevato tasso di disoccupazione giovanile, autentica piaga del Meridione.

Le aree industrializzate del settentrione assorbono la quasi totalità di mano d’opera giovanile, tanto da aver bisogno -per attività meno qualificanti- di una cospicua quantità di immigrati.

Tali disponibilità di lavoro nel Nord non “allettano” i giovani meridionali, in quanto le retribuzioni iniziali spesso sono insufficienti a permettere loro una vita dignitosa, considerati il costo di affitto di una casa e quello del sostentamento. Pertanto un buon numero di giovani disoccupati preferisce rimanere nella propria terra, accontentandosi di condurre una vita più serena tra i propri affetti, le proprie tradizioni e “sbarcando” a mala pena il lunario con il sussidio di disoccupazione che percepisce e con qualche lavoro “nero” che nel Meridione abbonda.

Molti altri sono invece più propensi a scegliere la carriera militare, che assicura loro un benessere maggiore e riduce sensibilmente i problemi alloggiativi e di sostentamento e prelude, più di altri, all’acquisizione di un posto fisso, vero obiettivo della gente del Sud.

Certo tali motivazioni, di natura spiccatamente materialistica ed utilitaristica, mal si conciliano con la figura del militare al quale non può invece mancare, in armonica simbiosi con le precedenti motivazioni, quella spinta interiore che fa del militare un valido ed eccellente soldato.

Sicché alla quantità non sempre sufficiente si abbina, nel reclutamento di tale tipologia di volontari, una qualità che spesso lascia a desiderare.

Perdurando tale fenomeno, i danni allo strumento militare possono essere gravi se non addirittura irreversibili.

 

 

 

f.Fattore legislativo

 

Strettamente connessi con l’aspetto quantitativo e qualitativo del reclutamento –specialmente dei VSP e VFB e VFA – sono i disposti degli strumenti legislativi. Primo tra tutti la legge 331/2000 che segna l’avvio della transizione dall’attuale strumento militare misto ad uno a carattere professionale.

Avvenimento questo molto importante -per alcuni aspetti epocale- che deve essere regolato da leggi chiare, che non lascino spazio ad equivoci di sorta.

Chi intraprende la carriera delle armi deve sapere cosa gli riserva il futuro sia nell’Istituzione militare, sia in altre Istituzioni dello Stato, sia nel contesto civile ed imprenditoriale sia del mondo del lavoro.

La legge deve costituire uno strumento aggiornato ed efficiente che sappia dare ai Volontari in Servizio Permanente, in Ferma Breve ed in Ferma Annuale, approcci chiari, risposte certe e soddisfare aspettative differenti con soluzioni differenziate.

Purtroppo sono emerse fondate preoccupazioni sulla possibilità di ottenere, con le norme vigenti, un gettito quantitativamente e qualitativamente adeguato alle reali esigenze dello strumento militare sia in questa delicata fase di transizione, sia quando entrerà a regime l’assetto professionale del settore Difesa e Sicurezza.

I giovani che intendono accedere alla carriera delle armi non sono sufficienti -ma ancor peggio- non sono validi qualitativamente.

Quando la domanda è insufficiente, spesso significa che l’offerta non è adeguata.

La legge n.331/2000 conferisce al Governo la delega ad emanare, tra l’altro, disposizioni concernenti la graduale sostituzione dei coscritti con volontari. Un intervento sui contenuti del Decreto Legislativo e sui provvedimenti attuativi, si rende necessario per migliorare le condizioni di reclutamento dei giovani volontari.

E’ necessario, quindi, intervenire innanzitutto con incentivi adeguati ed appetibili che interessino i giovani, privilegiando l’atipicità della funzione di soldato volontario, soprattutto nei confronti di quella del servizio civile, alla quale non è possibile attribuire analoga valenza.

 Il vero nodo da sciogliere è la disponibilità di un posto di lavoro certo e di una struttura organizzativa finalizzata soprattutto alla formazione del volontario, creando professionalità spendibile sia nell’Istituzione che nella società civile.

Se anche questi provvedimenti non dovessero risultare validi ed adeguati, sarà necessario esplorare altri campi, altre realtà sociali (immigrati).In alcune Nazioni già da tempo operano in maniera ottimale reparti stranieri (Francia, Gran Bretagna, etc.), mentre in altre (Spagna) è oggetto di studio e approfondimento un eventuale ricorso ad immigrati da Paesi con la stessa lingua..

 

 

 

 

g.Fattore finanziario

 

Nel trattare l’aspetto finanziario due dati sono incontrovertibili:

a)  lo strumento militare prefigurato dalla Legge 331/2000, costituito da personale professionale, ancorché ridimensionato in senso riduttivo, comporta costi di gestione più alti di quello formato da coscritti e di questo attuale misto;

b)  il budget assegnato annualmente al settore Difesa e Sicurezza è di norma caratterizzato da endemica insufficienza (circa 1% del PIL).

L’endemia si riscontra nella serie storica delle risorse annualmente allocate, che non hanno mai superato in maniera consistente quelle dell’anno precedente, anche in presenza di inderogabili esigenze d’ammodernamento e potenziamento dello strumento (rimaste solo sulla carta).

Nonostante l’oneroso impegno in campo internazionale (nei Balcani l’Italia è seconda solo agli USA), il nostro budget è sostanzialmente inferiore a quello dei Paesi industrializzati europei (Gran Bretagna, Francia, Germania, etc.) che partecipano a tali missioni peraltro con contingenti più ridotti.

Nella graduatoria dei bilanci militari della Difesa siamo penultimi, davanti solo alla Grecia.

La carenza di risorse mal si sposa però con lo sviluppo armonico delle varie componenti dello strumento militare e, ad essere maggiormente penalizzato, è sempre il settore dell’investimento e del potenziamento, non potendosi comprimere le spese vincolate, che riguardano il personale e il mantenimento.

Sicché, pur disponendo di personale valido ( almeno ci si augura), i sistemi d’arma, i materiali e gli equipaggiamenti obsoleti, recano grave nocumento all’efficienza e alla funzionalità delle unità.

Tale fatto è ancor più penalizzante quando si opera in contesti internazionali, inquadrati in unità multinazionali, come si verifica attualmente.

Ed ora qualche cifra.

Il bilancio 2000 della Difesa, pur segnando un miglioramento del 6,4% rispetto al precedente anno, come peraltro indicato nella nota esplicativa del Ministro della Difesa pro - tempore, ha perso inizialmente l’1,5% per il tasso d’inflazione che lo ha portato a al 4,9%.E’ sceso ancora, se raffrontato poi con quello assestato del 1999, (l’incremento di 626,7 miliardi in valore assoluto) che lo ha posto al + 1,9% in termini monetari, ma allo 0,4% in termini reali.

L’incremento, quindi, è risultato pressoché irrilevante.

Sicché, quello che doveva rappresentare il bilancio della “svolta epocale”, ha finito con l’essere pressoché analogo a quello precedente e quindi ancora una volta insufficiente per realizzare un valido reclutamento della componente volontari ed un potenziamento quantitativo e qualitativo di sistemi d’arma, materiali e mezzi.

Come noto, il potenziamento e l’investimento sono le voci che più di altre caratterizzano e qualificano il bilancio della Difesa e non tanto il dato “grezzo” espresso in percentuale del PIL, poiché tale cifra spesso contiene voci accessorie e non pertinenti (riflessione del Ministro della Difesa francese).

La percentuale riferita agli investimenti per i Paesi interessati alla Difesa Comune Europea dovrebbe aggirarsi tra lo 0,7% e l’1,1% dei rispettivi PIL: in Francia è intorno all’1% su un bilancio della Difesa pari a circa il 3% del PIL.

L’Italia, per realizzare la trasformazione dello strumento militare, nel nuovo quadro delle esigenze geo-strategiche, dovrebbe quantomeno triplicare l’attuale quota di risorse destinate agli investimenti che attualmente si aggirano intorno allo 0,20% - 0,23% del PIL, per una somma pari a 4 – 5 mila miliardi.

Sono dati questi che, a seconda della loro entità, qualificano l’impegno dell’Italia nel settore Difesa e Sicurezza, non solo in campo nazionale, ma soprattutto in quello internazionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3. Esigenze Settore Difesa

 

a. Premessa

 

Il settore della Difesa e della Sicurezza ha senza dubbio acquisito un’enorme importanza per le ripercussioni che ha assunto nella vita nazionale, ma, ancor più, nel contesto internazionale.

La presenza delle F.A. in teatri operativi europei –e non solo- inquadrate in unità e reparti multinazionali, consente al nostro Paese di partecipare attivamente e con diritto a scelte di politica estera ed economica di grande rilievo.

Ciò postula un’attenzione particolare a quello che è divenuto lo strumento più visibile in campo internazionale, per il ruolo importantissimo che attualmente svolge: lo strumento militare.

 

 

b.      Situazione iniziale

 

Le F.A. italiane vivono da qualche anno una fase molto delicata: una fase di transizione e di acquisizione di una nuova identità.

La legge 14 Novembre 2000, n. 331, ha segnato l’inizio della trasformazione dello Strumento Militare: da strumento di popolo (tutti coscritti) a quello attuale misto (solo 52.000 coscritti), per assumere, entro il 2006, una configurazione completamente professionale.

La dotazione organica prevista è di 190.000 unità di cui 95.366 VSP, VFB e VFA.

La citata legge, infatti, prescrive tra l’altro, che entro il 2002 sia possibile procedere al reclutamento –oltre alle dotazioni fissate dal D.L. 196/1995, pari a 23.587 VSP e 30.759 VFB- di un massimo di 30.506 VFB e di 10.450 unità da immettere nel ruolo VSP.

 

 

 

c.      Situazione attuale

 

Il raggiungimento della dotazione organica di 95.366 militari professionisti entro sette anni comporta un’immissione graduale di volontari secondo una precisa pianificazione annuale.

Tali provvedimenti avrebbero dovuto attualmente portare i VSP a 28.868 unità e i VFB a 34.606; in realtà la presenza del suddetto personale nelle unità operative è di 16.700 VSP e di 27.700 VFB.

Nell’Esercito la situazione appare ancora più problematica: delle 60.454 unità di volontari, previste nella pianificazione 31 marzo 2001, l’attuale consistenza è di 49.008 unità, che raggiungeranno nel 2006 le 77.000 unità.

Se la situazione attuale non è florida dal punto di vista quantitativo, diventa molto più grave, e per taluni aspetti inaccettabile, dal punto di vista qualitativo.

Il personale reclutato non sempre dimostra di possedere i requisiti morali, spirituali e comportamentali richiesti al volontario che ha scelto la carriera delle armi per servire al meglio la Comunità Nazionale.

 Non mancano casi (in realtà alquanto frequenti) di personale che viene prosciolto per motivi disciplinari e, talvolta, giudiziari.

La qualità del personale- che rappresenta il cuore dell’Istituzione- è determinante ai fini dell’immagine, ma soprattutto dell’operatività e come tale deve essere anteposta a qualsiasi altra esigenza.

 

 

d. Previsioni

 

E’ sempre molto difficile far previsioni, ma, nel formularle, è necessario tener presente ed approfondire gli elementi salienti di situazione che portano ad elaborare le linee di tendenza.

Certo è che i molteplici e complessi problemi della Difesa e Sicurezza- per quanto è stato analizzato in precedenza- sembrano nel breve e medio termine di più difficile soluzione.

E di questi quelli più gravi riguardano:

·                        le risorse finanziarie, invero esigue per la “costruzione” di uno strumento militare che possa ben operare in formazioni multinazionali. Per assolvere i compiti che ad esso sono stati demandati deve possedere i requisiti di proiettabilità delle forze, avere disponibilità di personale, materiali e mezzi adeguati alle nuove esigenze, essere interoperabile, avere capacità di sopravvivenza in “ambienti limiti”, di mobilità, di flessibilità e quant’altro occorra ad uno strumento d’élite;

·                        il reclutamento di personale quantitativamente insufficiente e qualitativamente non valido.Quest’aspetto non si risolve “tout court”, assicurando al personale emolumenti competitivi, effettive possibilità di carriera o di accesso al mondo del lavoro civile o ad altre Istituzioni dello Stato.

Nel reclutamento interferiscono, come abbiamo visto in precedenza, tutta una serie di fattori di carattere demografico, etico, morale, vocazionale, geografico/provenienza.

Tra tutti questi però, quello che ricopre un ruolo determinante, è senza dubbio il fattore demografico, per cui è necessario - ancorché a livello di studio- prevedere di allargare la base di reclutamento del personale volontario a quanti già vivono sul territorio nazionale e sono ormai cittadini stranieri “regolari” e che potrebbero, a determinate condizioni essere immessi nelle F.A.

Prima di approfondire il problema “immigrati” ed i risvolti giuridici, etici, sociali, selettivi, addestrativi ed economici, si ritiene opportuno -ancorché in stretta sintesi- evidenziare taluni precedenti storici riguardo alla presenza degli stranieri negli strumenti militari.

 

 

 

4. Precedenti Storici

 

 

a. Premessa

 

Gli esempi si riferiscono solo ad alcuni Corpi tra i più noti, tralasciandone –per motivi di spazio- altri non certo meno importanti, quali ad es. la “Legione Polacca”, che è forse la più antica per costituzione.

 

 

b. Gli Ascari (in arabo askaro = soldato)

 

Soldati indigeni eritrei, somali ed alcuni anche arabi, erano all’origine bande armate irregolari, arruolate dai primi Comandi militari italiani che avevano occupato l’Eritrea; entravano, ufficialmente a far parte del nostro Esercito nel 1892.

Articolati su quattro battaglioni regolari, erano inquadrati esclusivamente da Ufficiali e Sottufficiali italiani (Indro Montanelli ne comandò un plotone).

Nel 1904 i btg. venivano aumentati di numero e raggruppati nel “Regio Corpo delle Truppe Indigene”; con tale ordinamento operavano nelle Colonie fino alla perdita delle stesse e, dopo la 2^ Guerra Mondiale, venivano sciolte.

Gli Ascari, soldati fedeli ed affidabili, avevano dato vita a reparti validi operativamente, che avevano saputo conquistarsi sul campo fiducia e stima.

Indossavano dapprima l’uniforme bianca, poi kaki, stretta in vita da una fascia coi colori del btg., colori che spiccavano anche sul fiocco del tarbusc ( copricapo rosso).

 Gli arruolamenti erano volontari e riguardavano gli uomini tra i 16 e i 30 anni; la prova di idoneità fisica consisteva in una marcia di 60 Km. da compiersi in 10 ore consecutive.

Il Comandante di btg. era, tra l’altro, il coordinatore e responsabile della vita del reparto e del “Campo famiglia” degli Ascari che a lui ricorrevano per tutte le questioni, anche per quelle private.

 

 

c.  Legione Straniera Francese

 

E’ una speciale e caratteristica formazione militare, costituita nel 1831 in Africa Settentrionale e destinata ad operare fuori del territorio metropolitano, nei possedimenti d’oltremare.

E’ composta da volontari di ogni nazionalità tra i 18 e i 40 anni, vincolati a lunghe ferme. Ad essi non vengono chieste notizie personali o ragioni dell’arruolamento, ma viene data loro la possibilità di esplicare l’attività delle armi e di rifarsi, talvolta, una vita dopo vicende di disgrazia.

Inizialmente la Legione Straniera era articolata su 7 btg., uno di essi composto da italiani.

Successivamente gli effettivi variavano a seconda delle esigenze, fino a raggiungere il numero di 20.000 unità all’inizio del 2° conflitto mondiale.

Partecipavano a molte campagne di questa guerra e dopo venivano impiegati in tantissimi fatti d’arme e, al completo, nella guerra d’Indocina (1945 – 54) e di Algeria (1955 – 62).

Più recentemente hanno preso parte ad operazioni di Supporto alla Pace, condotte dall’Esercito Francese in più Teatri operativi.

Saldamente inquadrati quasi esclusivamente da Ufficiali francesi (alcuni legionari hanno possibilità di accesso tra i Quadri), animati e sorretti da una sentita e forte disciplina, hanno sempre dato il meglio di sè in ogni attività militare con eccellenti risultati che hanno reso la Legione Straniera famosa nel mondo.

Attualmente è articolata su 10 reggimenti (7 in Patria e 3 nei Territori d’Oltremare) per un totale di 8.200 uomini.

 

 

d. La Legione Straniera Spagnola

 

Denominata “Tercio Extraniero”, operava per conto della Spagna nel Marocco spagnolo. Veniva impiegata notevolmente e proficuamente dal Gen. Francisco Franco in Spagna durante la guerra civile.

 

 

e. I Gurkha

 

La stirpe dei Gurkha, di origine indù, immigrata nel Nepal, aveva costituito nell’estremità occidentale una società aristocratica e guerriera che era riuscita a conquistare l’intero Paese, riunificandolo e sottomettendone, a regime di servitù, la popolazione.

Le mire espansionistiche dei Gurkha e l’instabilità della regione portavano il Governo Britannico, subentrato alla Compagnia delle Indie Orientali, a stringere rapporti sempre più stretti con il Nepal, anche per assicurarsi i confini himalaiani e garantirsi l’appoggio contro eventuali moti indiani.

Infatti, il Nepal forniva truppe alle Unità di Sua Maestà Britannica nelle guerre afghane e birmane e nella repressione della rivolta indiana del 1857.

Reparti gurkha partecipavano a moltissime campagne d’armi, inquadrati nell’esercito britannico durante i conflitti mondiali, distinguendosi per valore, professionalità e disciplina.

L’influenza ed il controllo inglese sul Nepal rimanevano inalterati, tanto che il reclutamento dei Gurkha nell’esercito britannico come corpo speciale al servizio di Sua Maestà, avveniva anche dopo il 1947, anno dell’acquisita indipendenza del Paese himalaiano.

Il rapporto di fedeltà alla Corona non si è mai interrotto. Impiegati nel 1982 nella campagna delle Folkland e recentemente in Kosovo, i Gurkha prestano attualmente servizio in Gran Bretagna per un totale di 3.400 uomini, costituiscono il nocciolo duro dell’esercito inglese e sono famosissimi per la mira, il coraggio e l’abilità nel maneggiare il coltello ricurvo in dotazione (kukri), da ”bagnare nel sangue del nemico”.

 

 

Si potrebbero indicare altri esempi, ma quelli evidenziati sono sufficienti per dimostrare che già da tempo e ancora oggi, eserciti di grandi tradizioni e di elevata valenza operativa, hanno inserito nelle loro unità, reparti con personale di altre nazionalità che si distingue per professionalità, disciplina, lealtà e attaccamento alla bandiera, operando in maniera eccellente e conseguendo risultati di tutto rilievo.

 

 

5. Il Problema dell’Immigrazione

 

 

a. Premessa

 

Accertata la compatibilità storica di reparti stranieri negli strumenti militari, passiamo ora al problema degli stranieri in Italia.

E’ questo un problema senza dubbio di maggior momento della realtà italiana che riguarda non solo l’aspetto sociale, ma anche quello giuridico, economico/produttivo ed etico/morale.

L’approccio al fenomeno dell’immigrazione trova tutti d’accordo nell’assunto che esso può trasformarsi in un arricchimento della struttura sociale nazionale, ormai avviata ad invecchiare sempre di più e del settore economico che trae linfa vitale dall’immissione di mano d’opera produttiva.

Di pari passo è necessario operare perché questi flussi immigratori avvengano nell’alveo di reali esigenze ed abbiano il crisma della legalità, bandendo ed impedendo con severità, se necessario, ogni forma di clandestinità, predisponendo norme e strutture organizzative che consentano d’identificare ed allontanare gli “irregolari”.

 

 

b. La politica migratoria attuale

 

Per l’Italia il problema dell’immigrazione risente giuridicamente di un certo noviziato in quanto il fenomeno, fino agli anni ottanta, era marginale. Anzi, negli anni ’60-’70 avveniva il fenomeno contrario: l’esodo di cittadini italiani verso altri Paesi (Francia, Germania, Svizzera ect.)

Le linee generali della politica italiana in tema di immigrazione sono definite dalla legge n. 40 del 6 marzo 1998 “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, consolidata in un Testo unico sull’immigrazione.

La legge si ispira all’art. 10 della Costituzione, comma 2°: la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”.

Le linee programmatiche in materia di immigrazione vengono fissate dal governo ogni tre anni in un “DOCUMENTO PROGRAMMATICO” relativo alla politica d’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato. Esso.

·        indica le azioni e gli interventi dello Stato, in coordinamento con i Paesi membri UE, con Istituzioni comunitarie NGOs;

·        evidenzia gli accordi con i Paesi d’origine degli immigrati;

·        stabilisce le misure di carattere sociale ed economico relative agli stranieri che soggiornano sul territorio italiano;

·        definisce i flussi migratori, gli interventi pubblici per favorire le relazioni familiari, l’inserimento sociale e l’integrazione culturale degli stranieri residenti in Italia, nel rispetto delle loro diversità ed identità culturali e professionali.

Dal documento programmatico triennale derivano uno o più Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, per definire annualmente le quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, anche stagionale e per lavoro autonomo, tenendo conto anche dei ricongiungimenti familiari.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, quindi, predispone entro il 30 ottobre di ogni anno, di concerto con il Ministro degli Esteri, dell’Interno, della Programmazione Economica, del Lavoro e della Previdenza Sociale e, sentiti quanti sono interessati al problema, comprese le Parti Sociali, il “ Documento programmatico” relativo alla Politica d’immigrazione nel territorio dello Stato che, approvato con Decreto dal Presidente della Repubblica, viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Il Documento tra l’altro:

à       prevede accordi con i Paesi d’origine;

à       fissa i flussi d’ingresso e le modalità dei permessi di soggiorno;

à       delinea gli interventi per favorire l’inserimento nella vita sociale (iscrizione anagrafica, identità culturale, lingua, religione)

à        salvaguarda il diritto allo studio, al lavoro, alla salute, alla casa, etc.;

à       stabilisce con i ministri interessati le quote di stranieri da ammettere per lavoro stagionale e subordinato, entro il limite delle quote stabilite.

  Il citato documento tiene conto delle norme definite dalla legge n. 39 del 28 febbraio 1990 che regola il soggiorno dei cittadini stranieri nel territorio dello Stato, la loro tutela giurisdizionale, i diritti e doveri, la regolarizzazione dei cittadini extracomunitari già in Italia da almeno 10 anni anche se sprovvisti di visto d’ingresso, la regolarizzazione del lavoro autonomo (attività commerciali) e libere professioni, la frequenza di scuole ed Università.

Il Governo, inoltre, presenta annualmente al Parlamento una relazione sulla situazione degli extracomunitari presenti nel territorio dello Stato.

 

 

c. Entità del fenomeno

 

Non è facile conoscere con esattezza il numero di immigrati presenti sul territorio nazionale con regolare permesso di lavoro.

Le fonti di informazione (ISTAT, Ministero dell’Interno, del Lavoro, Union Camere) sono diverse e non concordanti.

Più attendibile è l’ISTAT che, al gennaio 2000, ha contato 1.520.000 immigrati con permesso regolare di soggiorno per motivi di lavoro, di questi 678.000 in Italia da oltre cinque anni.

Uno studio pubblicato da “Il Mulino” ha prefigurato un trend: dall’inizio del 1999 al 2007 saranno presenti sul territorio nazionale circa 2.500.000 immigrati, pari al 4,2% della popolazione presente in Italia.

Nel 2017, poi, aumenteranno fino a 3.500.000, pari al 6,2% del totale dei residenti con vantaggi – si spera - enormi nel settore demografico e produttivo.

In particolare, nel 2001 il Governo ha definito in 83.000 il numero d’immigrati nel nostro Paese, con un incremento di 20.000 unità rispetto all’anno 2000; l’aumento è riferito essenzialmente ai lavoratori stagionali, per pressanti richieste provenienti dal settore agricolo, mentre i lavoratori a tempo indeterminato sono nell’ordine dei 50.000 unità.

Lo strumento di programmazione riguardante gli ingressi per lavoro di cittadini extracomunitari è ormai collaudato e prevede quote riservate a quei Paesi che hanno sottoscritto trattati di cooperazione con l’Italia: ad es. l’Albania (6.000), la Tunisia (3.000), il Marocco (1.500) ed altri. Quest’anno una quota è riservata anche alla Somalia (500).

Sono inoltre definite le quote riferite a profili professionali specifici: è previsto l’ingresso in Italia per 2.000 infermieri, 3.000 lavoratori specializzati nelle nuove tecnologie ed in informatica.

Saranno inoltre 15.000 gli ingressi con lo sponsor: privati cittadini ed Associazioni varie sponsorizzano, garantiscono e finanziano la presenza in Italia di personale extracomunitario per il periodo che occorre per trovare un lavoro stabile.

L’incrocio tra offerta e domanda per quest’ultimo sistema avviene con chiamata diretta attraverso le anagrafi professionali delle Ambasciate dei Paesi d’origine.

 

 

 

d.Dimensione europea del fenomeno

 

L’esigenza di accrescere i ritmi di sviluppo economico dei Paesi dell’Unione Europea in un contesto di bassa pressione demografica generalizzata, ma più accentuata in Italia, ha comportato richiesta di manodopera da impiegare in alcuni settori ed attività a basso “gradiente sociale”, con particolare riguardo a quello agricolo e industriale.

La libera circolazione della manodopera in Europa ha favorito l’afflusso disordinato ed a volte caotico delle popolazioni provenienti dall’Est verso la Germania e dal Nordafrica verso l’Italia.

L’importazione del “capitale umano” porta certamente benessere e stimola processi di sviluppo dell’economia di mercato della UE, ma implica problemi sociali molto evidenti, che si traducono per la maggior parte, in quelli relativi all’alloggio, all’assistenza sanitaria, all’inserimento scolastico ed educativo, senza poi tralasciare il problema della religione e della sicurezza.

La soluzione dei suddetti problemi non può avere solo valenza nazionale, ma esige norme e comportamenti analoghi in tutti i Paesi dell’Unione Europea, indipendentemente dalle aree in cui si verificano le più rilevanti immissioni di extracomunitari nel tessuto sociale ed economico della UE.

Ma il problema riguarda, anche se parzialmente, le risorse occupazionali e finanziarie disponibili, condizionate, in molti casi e per altri motivi, dai livelli di disoccupazione e dalle aree di sottosviluppo che interessano in misura diversa quasi tutti i Paesi dell’Unione; per l’Italia, ad es., il Meridione.

In queste regioni non sempre le richieste di lavoro corrispondono alla disponibilità di occupazione, in quanto, come accennato in precedenza, una certa tipologia di posti di lavoro non è più “appetibile” agli Europei.

Si configura socialmente, in tal modo, un problema extracomunitari “calato” in quello dell’occupazione, la cui soluzione richiede sia un coordinamento delle politiche migratorie attuate in ogni Paese europeo, che delle direttive comuni, nel rispetto della “Carta dei diritti fondamentali”dell’Unione Europea.

E’ già in atto una proposta di direttiva approvata dalla Commissione Europea che verrà sottoposta all’esame del Consiglio dei Ministri ed al Parlamento Europeo: agli immigrati extracomunitari residenti da almeno cinque anni in un Paese dell’Unione (immigrati di lunga durata), verranno riconosciuti i diritti sociali dei cittadini europei, compresi quelli di emigrare e trovare lavoro in un altro stato membro dell’UE.

Tale importante norma fa parte di un pacchetto di misure sull’immigrazione, già note ed approvate in linea di massima dai governi nazionali.

Questi principi, stabiliti per la prima volta dal Consiglio Europeo di Tampere nell’ottobre 1999, trovano applicazione completa in una direttiva che, una volta approvata, uniformerà la legislazione degli Stati membri in materia di immigrati.

La direttiva prevede, infatti, il riconoscimento - a coloro che abbiano un minimo di mezzi di sostentamento e non rappresentino minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza interna degli Stati accoglienti- del diritto al lavoro salariato o autonomo, alla protezione sociale, all’assistenza sanitaria, all’istruzione ed alla formazione professionale, all’accesso a beni e servizi senza alcuna distinzione di trattamento dai cittadini comunitari

Attualmente l’immigrato residente in uno Stato dell’Unione con regolare permesso di lavoro, può viaggiare in un altro Paese dell’Unione per un periodo di tre mesi, ma non può né stabilirvi la propria residenza, né trovarvi lavoro, né iscriversi all’Università.

Con l’approvazione della direttiva invece, gli immigrati saranno liberi di trasferirsi da uno Stato all’altro ed attuare quanto hanno in animo di fare.

Si ritiene, infatti, che tale mobilità favorisca e faciliti una migliore utilizzazione della manodopera esistente nei vari stati membri dell’Unione e nel frattempo incoraggi immigrazioni di lavoratori specializzati.Talune stime hanno evidenziato che, a partire dal 2007, la forza lavoro europea sarà del tutto insufficiente a soddisfare le esigenze economiche e che quindi sussista fin d’ora la necessità di portare nell’UE giovani con competenze professionali adeguate.

Qualcuno ha ipotizzato che tali norme siano il frutto di antagonismo tra UE e USA, per accaparrarsi giovani professionisti e laureati, specie nel campo dell’informatica e dell’automatismo, provenienti dai Paesi emergenti, quali India e Pakistan.Nel 2000, n.11.474 immigrati indiani, esperti di It (Information tecnology) sono stati chiamati a lavorare in Gran Bretagna.

Certo è che per i giovani professionisti specializzati in settori di punta, è molto importante avere prospettive ampie di lavoro in un contesto come quello europeo, senza più barriere nazionali.

 

5. Immigrati e Forze Armate-Risvolti Giuridici

 

L’interconnessione va esaminata alla luce della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”.

 

 

a. Sintesi delle tematiche della” Carta dei diritti”

 

E’ a tutti noto che nel vertice di Nizza, del dicembre 2000, è stata proclamata in maniera congiunta da tutti gli Stati membri del Consiglio del Parlamento Europeo e della Commissione dell’UE, la”Carta dei diritti fondamentali dell’Unione”.

Essa riunisce in un unico testo i diritti civili, politici, economici, sociali finora enunciati in fonti diverse: nazionali, europee, internazionali.

Nel preambolo viene istituita la cittadinanza dell’Unione secondo i principi umani universali di democrazia e dello Stato di diritto.

In tale contesto sono state adottate misure, in materia di politica dell’immigrazione, relative a:

n    condizioni di ingresso e soggiorno, norme sulle procedure per il   rilascio, da parte degli Stati membri, di visti e di permessi di soggiorno;

n    immigrazione e soggiorni irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare;

n    diritti e condizioni per i cittadini di Paesi terzi in altri Stati membri.

Inoltre nel campo occupazionale e sociale tutti i cittadini:

n    dell’Unione hanno la libertà di cercare lavoro, lavorare, stabilirsi o prestare servizio in ciascuno Stato membro;

n    dei Paesi Terzi, che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri, hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelli di cui godono i cittadini dell’Unione.

E’ vietata, comunque, qualsiasi forma di discriminazione basata in particolare sul sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione, convinzioni personali, origini politiche o di qualsiasi altra natura.

Ne consegue - in linea di principio – che il giovane immigrato che si trovi in siffatte condizioni, può avere giuridicamente diritto di espletare anche il lavoro o la professione previsti per il militare volontario nel contesto delle F.A.

 

 

b. Immigrati – Servizio militare Volontario

 

L’evoluzione degli strumenti militari nazionali dell’UE, entro la prima decade del terzo millennio, avrà certamente portato, nella maggioranza degli Stati, ad una configurazione esclusivamente professionale e volontaria.

L’Esercito europeo diventa finalmente una realtà, dopo quasi cinquant’anni di falliti tentativi. Il primo nucleo è costituito dalla Forza di reazione rapida, che dovrà essere in grado di agire autonomamente, di far entrare in azione 60.000 uomini all’estero entro 60 giorni e tenerli impegnati almeno per un anno. L’Italia fornirà alla difesa europea un contributo rilevante (20.000 uomini) dello stesso ordine di grandezza della Francia, Gran Bretagna e Germania.

Questo sarà possibile perché nel frattempo il nostro Esercito sarà diventato un Esercito di professionisti e volontari.

 Non mancano le difficoltà, le lacune, gli ostacoli da superare.

 Ne consegue che quello degli immigrati potrebbe costituire un settore utile per ampliare e potenziare l’area di reclutamento con uno spettro di professionalità e di competenze molto ampio, come d’altronde accade in qualsiasi altra azienda in cui la disponibilità occupazionale è vanificata dall’assenza di domanda di lavoro in ambito locale, regionale e talvolta anche nazionale, perché i posti di lavoro non sono appetibili perché onerosi o non rispondenti agli standard di vita radicati nelle società più avanzate.

Il Ministero della Difesa è l’unica Amministrazione dello Stato ad essere stata esclusa, anche a livello consultivo, dalla realtà della politica immigratoria e dall’iter legislativo di una qualsiasi norma riguardante cittadini extracomunitari o semplicemente stranieri, se si eccettua l’ambito del Consiglio dei Ministri nella sua sede collegiale e decisionale di Governo.

Né poteva essere altrimenti per una base giurisdizionale militare imperniata, fino ad ieri, sull’obbligatorietà del servizio di leva per tutti i cittadini di sesso maschile e, come tale, escludeva socialmente l’esistenza di un problema occupazionale.

Inoltre, neanche con l’attuale legge sulla volontarietà del servizio militare, appare possibile considerare il volontariato esteso esclusivamente ai soli cittadini italiani, siano essi uomini o donne, perché lo limiterebbe nei confini nazionali, quale servizio alla Patria.

D’altra parte le peculiarità del servizio sono tali e tante che, renderlo possibile anche agli immigrati, presuppone una serie di provvedimenti di carattere giurisdizionale ed organizzativo di ampio spettro.

 

 

 

 

c. Prospettive

 

Il problema trova invece possibile sbocco e quindi soluzione nel contesto dell’Unione Europea, in quanto, superato il limite prettamente nazionalistico – direi “patriottico” - per contemperare alle esigenze del settore Difesa e Sicurezza in ambito comunitario, si potrà operare reclutamenti di giovani idonei e validi, soprattutto in quegli Stati che hanno abolito la coscrizione obbligatoria ed hanno scelto la tipologia professionale.

Si tratta di adeguare e coordinare la legislazione nazionale vigente a quella che scaturirà dalla “Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione”, dal momento in cui la stessa avrà carattere vincolante per tutti gli Stati.

Infatti, la Carta potrebbe in futuro assumere, nell’ambito della gerarchia delle fonti di diritto comunitario, il ruolo di componente essenziale di vera e propria Costituzione Europea.

In sintesi Carta dei diritti e Costituzione Europea, qualunque sia la loro valenza giuridica - problema questo squisitamente politico – costituiranno il terreno entro il quale dovrà essere definita la politica extracomunitaria europea e quindi le possibilità di inserire stranieri nell’ambito delle Forze Armate.

In ogni caso l’Italia ha accolto con carattere vincolante la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione, per cui la stessa può costituire riferimento primario nella valutazione del problema immigrazione in Italia.
Sicché, le attuali norme di legge, a carattere nazionale, possono interagire nel contesto europeo per:

v    individuare le connessioni con la legittimità della presenza prima e dell’integrazione poi nella società italiana, dei giovani provenienti da altri Paesi, attraverso una normativa della legge vigente;

v    apportare eventuali modifiche allo “status” giuridico iniziale e definire quello che dovrà caratterizzare gli extracomunitari dopo alcuni anni di permanenza sul territorio nazionale;

v    attuare nuovi strumenti legislativi che regolino l’afflusso, la permanenza, l’inserimento nel mondo del lavoro ed in particolare nelle F.A..

 

 

 

 

6 . Immigrati e Forze Armate – Risvolti Etico/Morali

 

Il fenomeno dell’immigrazione –come in precedenza evidenziato – comporta molti vantaggi in importantissimi settori della vita nazionale e comunitaria,ma, se non viene gestito con rigore secondo i crismi della legalità, potrebbe apportare altrettanti svantaggi, specialmente nel campo della sicurezza e dell’ordine pubblico.

Talvolta – e non a torto – il termine extracomunitario viene associato a quello di “violento”, “delinquente”, “prostituta” (per le donne) e quant’altro si identifica con il peggio dell’etica sociale.
Ma un distinguo è d’obbligo: ciò interessa solo una parte minore di immigrati: i clandestini.

E’ necessario convincere l’opinione pubblica che le devianze morali spesso sono dovute a fattori contingenti che riguardano soprattutto gli immigrati irregolari che non riescono a trovare lavoro, hanno difficoltà di adattamento, non hanno possibilità di inserimento, vivono situazioni di estremo disagio, sono facili prede di organizzazioni malavitose e ne diventano pericolosa manovalanza..

Ciò ingenera seri problemi di ordine pubblico.

Inoltre, a complicare ulteriormente il quadro etico/morale subentra la strumentalizzazione, per fini politici, che enfatizza fatti e misfatti per xenofobia, latente avversione al diverso per cultura, credo religioso, modo di vivere, colore della pelle ed altro.

Pertanto, si parla di immigrati e molti cittadini pensano ai clandestini e alle loro malefatte, ai coprifuoco spontanei sul calar della sera nei paesi piccoli,ove il numero di stranieri irregolari è notevole.

E’ questo, comunque, un riflesso condizionato, un errore madornale determinato anche dall’ineguatezza di provvedimenti legislativi, che non riescono a mantenere in maniera chiara e rigorosa, i flussi immigratori negli argini della legalità, ma soprattutto dalla mancanza di rigore e severità nelle espulsioni dal territorio nazionale di quanti non sono in regola.

Si è infatti convinti che più di provvedimenti di esclusione, sia necessaria una politica di prevenzione, da attuare possibilmente in un’ottica europea.

E’ prevista, infatti, l’elaborazione di un testo unico sull’immigrazione ove, tra l’altro, si pensa di dotare tutti gli immigrati, in possesso di regolare permesso di soggiorno, di un codice fiscale che - in maniera temporanea – quale ulteriore documento di riconoscimento, debba essere rilasciato dai Consolati in concomitanza con la stessa stesura delle liste d’immigrazione.

Ma ciò che più conta ai fini dell’ordine pubblico è la rivisitazione del procedimento di rimpatrio/espulsione,facilitato e velocizzato nelle procedure, di quanti – privi di permesso di soggiorno – si trovano sul territorio nazionale.

Si presume siano questi i provvedimenti che possono mettere ordine in un settore tanto delicato quanto pericoloso per i risvolti etico/morali e della sicurezza.

Se è vero che gli immigrati non possono essere considerati un qualcosa di “usa e getta”,è pur vero che i cittadini italiani hanno diritto di vivere nella loro terra, in un Paese prospero sì, ma sicuro.

E la sicurezza non può certamente essere garantita se non si sa quanti sono i clandestini (pare il 20 - 25% degli immigrati) e fino a quando non verrà fissata una unicità di comportamento per tutti gli Organi preposti a regolarizzare i flussi di immigrazione; in realtà viene posta in essere per gli immigrati clandestini una girandola di provvedimenti che vanno dal trattenimento alla “liberazione”, all’espulsione, all’accompagnamento alla frontiera.

E’ in atto anche la costituzione di una banca – dati centralizzata per l’identificazione e quindi per l’espulsione rapida di chi non ha il permesso di soggiorno.

In tal senso hanno operato Francia e Gran Bretagna, siglando un accordo per un fermo “giro di vite” contro l’entrata irregolare di personale straniero.

In sintesi, la questione immigrati clandestini è soprattutto un problema di ordine pubblico e, come tale, va risolto con immediatezza e con rigore, per garantire la sicurezza negli agglomerati urbani e nel contempo rendere giustizia in termini d’immagine a quanti – la stragrande maggioranza di extracomunitari – conducono una vita sana, laboriosa, nel rispetto dei principi etico/morali, delle loro tradizioni e del credo religioso.

L’Italia, senza remore di sorta, potrà contare su di loro in maniera completa, anche nel demandare loro lavori ed attività attualmente di esclusiva pertinenza dei giovani italiani.

Mi riferisco al servizio militare volontario, e , quindi, all’inserimento nelle unità operative delle nostre F.A. a somiglianza di quanto avviene presso Eserciti di Paesi alleati ed amici, quali la Francia e il Regno Unito.

 

 

 

7. Immigrati e Forze Armate – Risvolti Sociali

 

La realtà sociale delle Nazioni più industrializzate del mondo vira decisamente verso la pluralità etnica.

Nell’ambito del nostro Paese le aree con un numero più alto di immigrati, sono quelle del Nord – Est e, tra le città, quella più cosmopolita è Milano, ove, alle soglie del terzo millennio, vivono 150.000 stranieri, pari al 4% della popolazione.

L’Italia è ormai diventato un Paese multirazziale dove i cittadini extracomunitari diventano parte integrante del sistema produttivo.

Ad aver trovato lavoro, sono soprattutto gli uomini (80%) e nella maggioranza dei casi si tratta di lavoro di bassa valenza (operai generici senza specializzazione). Molti immigrati hanno dichiarato di non avere titoli di studio, anche se molti – pur di accaparrarsi un posto di lavoro – hanno preferito omettere il diploma o addirittura la laurea

Accanto agli stranieri operai e generici impiegati nell’agricoltura,c’è da considerare anche una fetta non trascurabile di immigrati che sono diventati imprenditori.

Quest’ultima attività è in continua ascesa, tant’è che in alcune aree è addirittura incoraggiata con l’istituzione di corsi di formazione per il personale straniero che intende lavorare in proprio.

 

Pertanto in tema di assunzioni è possibile rilevare in media che il 50% dei contratti interessa il settore dei servizi, il 27 % il settore dell’industria (edilizia), il 10 % il settore dell’agricoltura, il resto è ripartito tra impieghi nei campi ospedaliero ed informatico.

Tale spettro di occupazione è suscettibile di ampliamento per assumere altre competenze e specificità lavorative che, oltre ad interessare il mondo del lavoro, potrebbero tornare utili all’inserimento nel mondo militare: personale già pronto ad essere impiegato nel settore logistico, infrastrutturale, delle comunicazioni, con innegabili vantaggi in termini economici.

Per gli incarichi operativi nell’ambito militare è necessario condurre approfondimenti a parte.

Se il punto di arrivo per tutto il personale straniero – peraltro in costante aumento – è chiaramente l’integrazione totale, non parimenti chiaro è il punto di partenza per raggiungerla.

E’ necessario operare per fasi ed obiettivi successivi: dall’accoglienza iniziale, alla formazione (scuole), agli alloggi, ai servizi per le famiglie.

Per assicurare la qualità del personale extracomunitario sarebbe anzi necessario prevedere contatti ed interventi preventivi presso i Governi dei Paesi d’origine per pilotare l’immigrazione del personale in possesso di determinate competenze e specializzazioni oltre a operai generici cioè “alle sole braccia”, per facilitarne poi l’inserimento e l’integrazione nel tessuto sociale e nazionale.

E’ proprio in relazione all’inserimento ed all’integrazione di tale personale, che il mondo militare può operare in posizione molto vantaggiosa.

Infatti, come attualmente avviene in Francia per gli 8.200 uomini della Legione Straniera e nel Regno Unito per i 3.400 Gurkha, anche in Italia le caserme costituirebbero il meglio della sistemazione per i giovani immigrati che intendessero arruolarsi da volontari nelle F.A.

Le suddette strutture sono predisposte per assicurare a giovani stranieri (quasi tutti senza famiglia) un plafound di vita dignitoso e confortevole sotto l’aspetto logistico – ricreativo (alloggi, mense, circoli, stabilimenti balneari), formativo, addestrativo, educativo e quant’altro occorra per facilitare una completa integrazione nel tessuto sociale nazionale.

In sintesi, per il personale straniero che potesse optare per la professione militare, la Caserma rappresenterebbe per i primi anni un pezzo, ancorché piccolo, della propria terra.

 La solidarietà costituisce un forte collante tra commilitoni di diversa nazionalità, razza, cultura e religione e il concetto di “reparto/gruppo” sostituiscono quello di Patria/famiglia.

Il motto della Legione Straniera francese ne è la conferma: “LEGIO   PATRIA NOSTRA”.

Ma ai fini dell’inserimento completo degli immigrati nella società italiana, è determinante l’acquisizione della cittadinanza.

Ed anche per questo obiettivo non si parte dal nulla; basta solo rivisitare ed aggiornare una legge già esistente: la legge n.91/1992 sulla cittadinanza italiana, in relazione all’immigrazione.

Sono interessanti soprattutto gli art. 9 e 16 con i quali si stabilisce che:

può chiedere la cittadinanza italiana lo straniero che abbia prestato servizio anche all’estero, per almeno 5 anni alle dipendenze dello Stato, ed ancora: la cittadinanza compete allo straniero che risieda legalmente da almeno 10 anni nel territorio della Repubblica.

Inoltre, il Presidente della Repubblica, sentiti gli Organi Governativi competenti, può concedere la cittadinanza a quei cittadini stranieri che abbiano reso eminenti servigi all’Istituzione.

In sintesi , per la naturalizzazione (art.9) i requisiti richiesti allo straniero che desideri ottenere la cittadinanza italiana sono: avere 10 anni di residenza legale e un reddito sufficiente, non avere precedenti penali e rinunciare alla cittadinanza di origine.

Inoltre l’art. 16 prevede tra l’altro che l’apolide che risieda legalmente nel territorio della Repubblica, sia soggetto alla legge italiana per quanto riguarda l’esercizio dei diritti civili e gli obblighi del servizio militare.

Ed ancora: lo straniero rifugiato nello Stato italiano è equiparato all’apolide ai fini dell’applicazione della presente legge, con l’esclusione degli obblighi inerenti al servizio militare.

Evidentemente la legge 91/1992 si riferisce al servizio militare obbligatorio , che, come noto, cesserà la sua validità operativa alla fine del 2006.

Da un confronto tra il disposto degli art. 9 e 16 della suddetta legge e quello della 331/2000, non emergono punti comuni ed affinità di sorta, per cui si rende necessario ed auspicabile predisporre l’aggiornamento della legge qualora si dovesse concedere la cittadinanza ai giovani stranieri volontari nelle F.A. Nell’aggiornamento sarebbe possibile uniformare le tematiche del servizio militare, trattando con un denominatore comune apolidi, rifugiati e stranieri extracomunitari, prevedendo così la concessione della cittadinanza italiana a tutti coloro che, muniti di permesso di soggiorno da almeno un anno e, residenti stabilmente nel territorio della Repubblica, serviranno lo Stato nel servizio volontario militare per la durata di almeno tre anni – periodo congruo - anche al di fuori del territorio nazionale.

 

 

 

 

 

 

 

8 . Immigrati e Forze Armate – Risvolti Selettivi

 

Quello della selezione, è senza dubbio il problema organizzativo più delicato e più importante da risolvere, una volta stabilita, a livello concettuale, la fattibilità del provvedimento di immissione di immigrati nelle F.A.

Un primo importante “distinguo” deve essere operato tra immigrati clandestini ed immigrati regolari: banditi categoricamente i primi, si rivolga massima attenzione ai secondi e soprattutto a coloro i quali, essendo sul territorio nazionale da almeno un anno,conoscono sufficientemente la lingua, elemento fondamentale che facilita l’integrazione.

Si deve inoltre accertare che nel periodo, ancor breve, di permanenza sul Territorio italiano, il loro comportamento sia stato irreprensibile; ciò dovrebbe costituire referenza.

Una corsia preferenziale potrebbe essere riservata agli immigrati garantiti e tutelati da sponsor, siano essi privati o associazioni.

Nel 2001 gli “sponsorizzati” sono stati 15.000 e con profili professionali noti: infermieri, lavoratori professionali, lavoratori specializzati nelle nuove tecnologie ed in informatica.

Al suddetto personale si aggiungono gli immigrati di “lunga durata”, cioè i cittadini extracomunitari che risiedono regolarmente ed in modo continuativo da almeno 5 anni in Italia, (figli d’immigrati), o in uno degli Stati membri dell’UE, giovani specializzati in settori di punta per i quali è interessante avere prospettive di lavoro anche nell’ambito militare.

 

Un esempio di reclutamento può essere quello attuato in Francia dalla Legione Straniera:

sul territorio nazionale esistono 20 “Posti di reclutamento”, gestiti da “Sottufficiali superiori”; sono a tutti gli effetti degli Uffici ove lo straniero si presenta e viene sottoposto alla visita medica preliminare, per accertare la prima idoneità fisica.

Da questi Uffici, vengono inviati ad uno dei 3 “Posti d’informazione” della Legione, gestiti da Ufficiali anziani, ove gli aspiranti legionari vengono sottoposti a colloqui per accertare la reale volontà di arruolamento.

Dopo il colloquio con il Comandante, il candidato viene inviato al “Centro di Selezione e Incorporazione” e sottoposto ai test di selezione che è severissima (in media viene arruolato 1 candidato su 18).

Pur senza scendere nei particolari dell’attività selettiva – modalità queste da trattare eventualmente in un secondo tempo ed in altra sede – è necessario focalizzare l’attenzione su alcuni aspetti di carattere generale che interessano la materia.

Tale attività, per la vitale importanza che riveste, deve essere demandata a periti selettori che conoscano perfettamente il mestiere e siano eventualmente affiancati da consulenti ed esperti, ottimi conoscitori delle realtà sociali ed ambientali dei Paesi di provenienza dei giovani immigrati; conoscitori, in particolare, delle “vulnerabilità” e degli aspetti pregnanti del loro carattere e modo di vivere.

I periti selettori, tenendo conto delle capacità fisiche ed intellettuali dei candidati e della loro attitudine alla vita militare, devono saper discernere in maniera chiara l’idoneità al servizio, non solo al presente, ma, trattandosi di soldati professionisti, proiettata al futuro, anche in attività di comando.

D’altra parte non è possibile precludere ai migliori di procedere nella carriera militare,di avere responsabilità di comando almeno fino al grado di Caporal Maggiore, come i volontari italiani in servizio permanente.

Considerata la delicatezza della materia, le difficoltà di scelta e selezione dei giovani immigrati da reclutare nelle F.A., è opportuno procedere, per fasi successive, ad uno screening psico – fisico iniziale molto severo, far seguire un periodo di tirocinio immettendo i giovani immigrati alla formazione di base della durata di alcuni mesi (non meno di 4), durante i quali verranno effettuati accertamenti approfonditi per verificare le reali potenzialità e possibilità di questa nuova tipologia di soldati ed assolvere i compiti assegnati.

Al termine delle selezioni, e dopo aver accertato l’idoneità al servizio, si potrebbe procedere alla ferma annuale del suddetto personale (VFA) e consentire poi, a chi lo meriti, il passaggio nei VFB e quindi nei VSP.

Potrebbe essere questo un motivo per condurre un’ulteriore verifica, finalizzata non solo a saggiare la validità del singolo, quanto a valutare il grado di efficienza e di operatività acquisito dal reparto.

Una selezione quindi severissima ed articolata che, per la particolarità del personale da esaminare, non può essere uguale a quella dei giovani italiani, ma deve essere più variegata e meticolosa, proiettata nel tempo in quanto deve realizzare sia l’integrazione degli stranieri nel reparto che l’integrazione dei reparti (costituiti da tale personale) nelle Unità delle F.A.

 

 

 

9. Immigrati e Forze Armate – Risvolti Economici

 

Come già illustrato in precedenza, le F.A. italiane al pari di altri Paesi europei, quali Francia, Spagna e Gran Bretagna, nel breve termine anche la Germania, hanno imboccato la strada della completa professionalizzazione e dell’integrazione in uno strumento militare europeo.

La Difesa Europea non consentirà una diminuzione di risorse da allocare, anzi, richiederà maggiori investimenti.

 E’ indubbio che uno strumento militare professionale, comporti costi altissimi di gestione, costi tendenti ad aumentare con l’integrazione europea sempre più spinta, favorita presto dalla diffusione dell’euro e da un mercato del lavoro sempre più allargato e tenderà ad evidenziare le differenze retributive che, per chi veste l’uniforme, rappresentano anche il grado di considerazione della società nei suoi confronti.

Il rischio è che, a fronte di sempre nuove sfide – costituite dalla partecipazione italiana ad impegnative missioni fuori Area e dalla necessità di integrarsi in uno strumento multinazionale sia in ambito NATO che europeo – non corrisponda un parallelo adeguamento del budget a quello stanziato dagli altri partners.

Il problema di completare le riforme, reperendo i fondi necessari, più che i Partners europei, riguarda l’Italia, il cui bilancio, solo per l’acquisizione di nuovi sistemi d’arma, di materiali ed equipaggiamenti e per la professionalizzazione del personale -secondo una stima realistica-necessiterebbe di 8.000 miliardi in più all’anno.

Ma in un contesto finanziario insufficiente è praticamente impossibile ripartire le risorse tra i vari settori in modo adeguato. Sono, infatti, le spese fisse, in quanto incomprimibili (retribuzioni e mantenimento), ad essere privilegiate, rispetto a quelle per l’investimento (potenziamento ed ammodernamento dei sistemi d’arma), con il rischio di ridurre l’efficienza e l’operatività dello strumento.

E’ necessario quindi procedere ad un’oculata e rigorosa politica economica, per poter coniugare al meglio la scarsità di risorse finanziarie con la molteplicità di problemi del settore Difesa e Sicurezza.

In tale contesto la gestione del pianeta F.A. può essere equiparata a quella imprenditoriale secondo una -ormai irrinunciabile- filosofia del rapporto costo/efficacia e costo/competitività, ove l’efficacia e la competitività s’identificano con l’efficienza operativa e con l’idoneità dello strumento militare/azienda ad assolvere i compiti affidati.

Sono rapporti questi che in un contesto di penuria di risorse acquistano un’enorme valenza e richiedono una chiara visione degli obiettivi da conseguire.

La competitività del prodotto Difesa e Sicurezza può essere attuata con più giusta, qualificata ed adeguata distribuzione del budget, contenendo, ove possibile, le spese del personale senza stravolgere equilibri e puntando decisamente sul taglio dei costi.

Un possibile provvedimento viene in un certo qual modo indicato dal mondo del lavoro e dell’imprenditoria, come d’altra parte già avviene specialmente nel Norditalia, promovendo la possibilità di ricorrere ad una consistente, valida, selettiva presenza di giovani provenienti da Paesi extracomunitari.

Come abbiamo potuto verificare, trattandosi di personale in regola con le norme di legge, sussistono le premesse per approfondire, in termini di fattibilità, il ricorso al suddetto personale, peraltro già presente sul Territorio Nazionale in un contesto sociale che diventa sempre più multietnico.

Poter attingere per il reclutamento di VFA inizialmente, da transitare nei VFB e VSP, anche alla comunità degli immigrati comporta:

·        un cospicuo aumento della domanda a fronte dell’offerta con importanti ricadute in termini qualitativi;

·        l’ampliamento della possibilità di attingere per competenza e specificità specialmente nel settore logistico;

·        una possibile contrazione dei costi.

Quest’ultimo aspetto è da verificare ed approfondire ulteriormente e comunque non si tratterrebbe di diversificare le retribuzioni tra personale paritetico: immigrati ed italiani; non sarebbe giusto e morale penalizzare i primi, ma, attuare per loro una serie di facilitazioni e di benefici compensativi da rendere noti in sede d’arruolamento.

Ad esempio, si potrebbero mettere a disposizione dei “volontari extracomunitari” strutture di cui il mondo militare dispone in abbondanza e che sono in ottime condizioni di funzionalità: strutture logistiche, sociali, ricreative, formative.

Le esigenze di vita dei giovani immigrati, per le loro peculiarità esistenziali e le prospettive di vita futura (lontananza dalle famiglie, acquisizione della cittadinanza italiana ed altro), in realtà sono diverse e, per alcuni aspetti, più contenute rispetto a quelle dei colleghi italiani. Inoltre, una contrazione dei costi potrebbe essere ricercata in una diversificazione, rispetto a quello dei volontari italiani, dell’iter di carriera riferito alla durata dei contratti o quant’altro potrebbe essere posto in essere in ragione delle esigenze dell’Istituzione.

Quanto esposto, è solo una serie di spunti e considerazioni che dovranno costituire argomenti di approfondimento   degli aspetti tecnici nelle sedi appropriate.

 

 

 

10.ImmigratieForze Armate–Risvolti operativi/addestrativi

 

Questi operativi e addestrativi sono risvolti interdipendenti, legati tra loro da un nesso di causa – effetto.

 

 

a.     Risvolti operativi

 

E’ a tutti noto come l’evoluzione del quadro geo- strategico, soprattutto in Europa, abbia radicalmente modificato le missioni affidate alle F.A.

Lo spettro delle possibili opzioni d’impiego è diventato decisamente più ampio.

Allo stesso tempo le prospettive operative si sono inserite in un contesto internazionale e multinazionale - mentre prima erano ancorate allo Scacchiere Nord-Est della Penisola ed in una dimensione essenzialmente nazionale - ancorché collocate nel Teatro europeo della NATO.

Il nuovo concetto operativo, in questa fase di transizione dallo strumento militare misto (coscritti e volontari) a quello professionale, vede le unità dell’Esercito articolate in forze di proiezione, di reazione e di presenza e sorveglianza, in relazione alle priorità a cui le stesse sono destinate.

In un contesto di priorità ridisegnato, è possibile arguire che le vere sfide si giocano in scenari internazionali ed in impieghi Fuori Area ad altissima valenza operativa.

La difesa dell’integrità nazionale, che fino ad un decennio fa costituiva la vera ragion d’essere delle F.A., ha assunto attualmente una priorità tanto bassa, quanto scarsamente reale è la minaccia, configurata nel quadro geo-politico e nel momento storico che la società internazionale sta vivendo.

C’è quindi una netta inversione di priorità delle missioni e un diverso significato di valori; la sacralità del dovere del cittadino di difendere la Patria – pur continuando a sussistere nella completa validità di principio- viene rivisto in un’ottica diversa, come la configura il disposto dell’art.1 della legge 331/2000 sull’istituzione del Servizio Militare professionale: compito prioritario delle F.A. è la difesa dello Stato, ove un ruolo assumono gli interessi della Comunità Nazionale ovunque collocati.

Dal termine” PATRIA”, ricco di valori morali ed etici universali, si è passati a quello di “STATO”con un significato più realistico, legato all’attualità della Comunità nazionale ed europea.

E’ il caso di ammettere, con “la morte nel cuore”, ma senza falsi pudori, che il dovere è diventato sempre meno dovere, perché non è di tutti e il “sacro”è rimasto solo un valore simbolico, patrimonio di pochissimi.

In questo scenario si pone il problema della Difesa e Sicurezza in un futuro prossimo ove – pur senza cancellare la valenza spirituale – vanno ricercate soprattutto l’efficienza, la professionalità e la fiducia nei propri mezzi, qualità tipiche dei soldati di mestiere, capaci di svolgere il proprio compito con lealtà, dedizione, disciplina interiore.

La provenienza e la nazionalità non sono più determinanti o, quanto meno, non come prima, quando ogni cittadino s’identificava con la Patria.

Infatti, come già da tempo avviene, in altre Nazioni, soldati volontari stranieri sono inquadrati in unità, che servono a pieno titolo gli interessi dei Paesi ove vivono ed operano.

Una tal eventualità, non del tutto improbabile, potrebbe verificarsi anche nel nostro Paese: ove il quadro demografico e sociale prefigurato e il nuovo concetto di sicurezza potrebbero postulare il ricorso a personale volontario extracomunitario.

Potrebbero così anche in Italia essere costituiti reparti di giovani di altre nazionalità da inserire nelle Unità di proiezione con impieghi fuori del territorio nazionale: ad esempio in missioni di Pace e/o per tutelare interessi economici e sociali.

 

 

b.     Risvolti addestrativi

 

L’attività addestrativi del personale è di norma correlata con l’impiego operativo dello stesso.

Con la presenza di immigrati nelle F.A., non si è più nella norma, per cui si rende necessario rivedere, soprattutto nella parte iniziale, cioè nella fase formativa, un iter addestrativo diverso da quello seguito per il personale italiano.

La diversità dell’addestramento è riposta essenzialmente nella finalità che si vuole conseguire: oltre a farne dei soldati validi, è necessario realizzare, nella maniera più rapida e completa, l’integrazione di giovani senza radici, senza lingua, provenienti da Paesi diversi, con back-ground diversi, con caratteristiche fisiche, mentali e caratteriali diverse in un tutt’uno omogeneo, coeso e solido.

In questo, un ruolo importantissimo giocano la disciplina, la solidarietà, la fiducia in se stessi e nei superiori, lo spirito di corpo, la fedeltà al reparto. E’ su queste molle che, nell’addestramento iniziale si deve insistere; sono questi i valori che devono essere esaltati.

Il personale d’inquadramento, scelto tra i migliori e più motivati, deve avere ben chiari in mente e più ancora nell’animo, questi principi e avere la forza morale di inculcarli in questa gente senza patria e senza famiglia (quelle d’origine sono lontane).

I concetti di “patria e famiglia” debbono essere trasferiti rispettivamente in quelli di “reparto e gruppo”.

 Per il primo –reparto- i fatti d’arme, le tradizioni storiche (scegliere unità tra le più gloriose), devono essere ben conosciute ed assimilate da tutti ed il perpetuarle deve essere per ogni volontario straniero motivo d’orgoglio e di fierezza.

Per il secondo –gruppo- ogni volontario straniero deve sentirsi fratello d’armi dell’altro, qualunque sia la propria nazionalità, razza e religione; la solidarietà e il cameratismo deve essere il collante che li lega quali membri della stessa famiglia.

A condurre questa difficile e delicata fase della formazione di base, è necessario designare un solo reparto, un reggimento, dotarlo di quanto occorra in termini di personale qualificato e preparato spiritualmente e professionalmente e di strutture moderne e funzionali che rispondano compiutamente alle esigenze da soddisfare, che, si ribadisce, sono diverse da quelle dei volontari nazionali..

Con l’impiego di un solo reparto di formazione, si garantisce in pieno l’uniformità e l’unicità di indirizzo addestrativo.

Un esempio di addestramento di base da approfondire nei particolari, potrebbe essere quello attuato in Francia presso la Legione Straniera.

Nei primi 4 mesi –tanto dura la fase formativa- il processo d’integrazione nella vita della collettività, si svolge grazie ad un metodo esclusivo della Legione “il metodo del kepì bianco”.

I volontari trascorrono il primo dei 4 mesi d’istruzione presso strutture del reggimento di formazione, in completo isolamento, divisi in nuclei di tre individui, di cui uno francofono, che serve da “ripetitore” e tutore ai suoi due camerati.

In tale periodo l’addestramento di compagnia viene svolto in maniera intensiva e severissima, sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro per trasformare il volontario straniero in Soldato (con la esse maiuscola).

Quanto esposto è solo un sintetico quadro di proposte, soggette senza dubbio ad articolato approfondimento e suscettibili di miglioramento e completamento, per trasformare in soldati autentici questi giovani che –se ben impiegati- rappresentano per l’Istituzione e la collettività sociale un enorme serbatoio di potenzialità operative ed umane.

 

 

 

11. Conclusioni

 

 

Lo studio condotto ha evidenziato che l’ingresso massivo di immigrati in Italia alla fine del 2° millennio e che prosegue con ritmi crescenti nel 3°, ha comportato problemi sociali di considerevole entità, che interagiscono in maniera rilevante su tanti settori importanti della vita nazionale.

Questo fenomeno, che interessa molti altri Paesi del vecchio Continente, ha bisogno di regole e comportamenti da definire in ambito Unione Europea, indipendentemente dalle Aree e Regioni più soggette alle rilevanti immissioni di extracomunitari nei loro tessuti sociali ed economici.

Gli strumenti vanno ricercati nella “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” che potrebbe in futuro assumere il ruolo di componente essenziale di una vera e propria “Costituzione Europea”.

E’ ormai inconfutabile che la popolazione immigrata, specie quella extracomunitaria in costante aumento, rappresenta per la Nazione una risorsa di rilevanti potenzialità da non sottovalutare.

Essa incide non solo sulla quantità di ricchezza che si produce (PIL), ma costituisce una solida garanzia di ringiovanimento della società italiana sempre più caratterizzata da “vecchi”, utilizzatori di ricchezza, a fronte di “giovani e adulti”, produttori di ricchezza.

Con innegabili vantaggi, il fenomeno dell’immigrazione comporta anche taluni risvolti negativi, essenzialmente connessi con la numerosa presenza dei clandestini che ingenera problemi di sicurezza e di ordine pubblico.In quanto tali, sono problemi da affrontare e risolvere con rigore ed immediatezza, ponendo in essere procedure semplici, ma nel contempo efficaci.

E’ inoltre necessario operare con strumenti legislativi e normativi chiari ed esaustivi per l’integrazione nella collettività nazionale di quanti –e sono la maggioranza- conducono una vita serena, laboriosa e nella legalità.

E’ presumibile che gli extracomunitari acquisiscano quanto prima diritti politici a carattere locale, regionale e nazionale, oltre ai diritti sociali già acquisiti, fissati da trattati internazionali in generale ed europei in particolare.

Diventa perciò reale – senza per ora fissare tempi e modalità – che l’organizzazione delle Forze Armate possa, e chissà che non debba, fare riferimento con fondatezza a questa fonte di giovani risorse per la costituzione di unità e reparti.

La storia e l’attualità di alcuni popoli ne sono la più esplicita testimonianza e riprova di fattibilità.

Se tale evenienza dovesse verificarsi, l’Istituzione non dovrà trovarsi impreparata.

E’ questo, in estrema sintesi, il fine ultimo di questo studio: aver voluto indicare le vie più opportune per conseguire questo obiettivo, prefigurandone situazioni, strumenti e modalità attuative.

E’ chiaro che il tutto va rivisitato, approfondito, in maniera più articolata, completa, capillare e –aggiungerei- appassionata, come si conviene quando si è coscienti di rendere un servizio all’Istituzione.