a
cura del Forum Regionale Lombardo del Terzo Settore
Cosa sono le
fondazioni ex-bancarie
Il
processo di riforma delle banche di diritto pubblico comincia
nel 1990, con l'obiettivo di slegare l’attività finanziaria e
creditizia degli istituti da quella di promozione di interventi
di pubblica utilità, attività quest’ultima che le banche
ereditavano dalla loro storia. I loro patrimoni infatti si erano
costituiti grazie ai risparmi delle comunità raccolti a scopo
mutualistico o di garanzia per chi si fosse trovato nella
condizione di richiedere servizi di credito e finanziari e
contemporaneamente fosse impossibilitato ad accedere al mercato
finanziario e creditizio.
La
contemporanea scoperta di nuovi bisogni sociali, culturali e di
tutela del territorio e dell’incapacità delle Istituzioni di
soddisfarli scopre un’area di domande (e una possibilità di
intrapresa) non coperte, il terzo settore si assume questo
compito e quello, altrettanto necessario, di far emergere nuove
esigenze collegandole organicamente alle risorse disponibili. Il
terzo settore vive però un’endemica debolezza patrimoniale e
un'altrettanto profonda difficoltà a recuperare i capitali per
poter finanziare nuove iniziative e sperimentare nuovi servizi.
Su queste premesse poggia l’idea di fare del patrimonio delle
costituende fondazioni ex-bancarie il volano finanziario di
questo nuovo possibile mercato; la nascita di questo nuovo
soggetto avrebbe inoltre colmato la carenza nel sistema non
profit del nostro Paese costituita dall’assenza di importanti
fondazioni di erogazione (le cosiddette grantmaking foundations)
che in altre realtà giocarono e giocano un ruolo
importantissimo nella produzione e nell’offerta di attività
di pubblica utilità.
Sul
piano degli obiettivi la riforma tendeva a scindere le funzioni
più rivolte al mercato dei capitali (funzioni che questi
istituti avevano maturato e accresciuto nel corso del tempo),
dalla quota di patrimonio da utilizzare per interventi di
pubblica utilità. Sotto il profilo giuridico le funzioni
rivolte al mercato verrebbero esercitate per mezzo di un
soggetto societario (una società di capitale) e il patrimonio
gestito attraverso la forma giuridica della Fondazione.
Nel
corso degli anni novanta nascono quindi delle società di
capitale che operano nel mercato del credito e della finanza. Più
complicato è il percorso attraverso cui originano le fondazioni
di origine bancaria, se solo con l’atto di indirizzo emanato il 5 agosto 1999 dal Ministro del
Tesoro si avvia a conclusione il processo di riforma definito
con la legge delega 23/12/98 n° 461 ed il successivo decreto
legislativo 17/05/99 n° 153.
Complessivamente
le necessità erano di costruire soggetti privati con precisi
vincoli nella gestione e nelle scelte, a cui indirizzare l’uso
del patrimonio che è di provenienza pubblica e popolare: la
forma giuridica prescelta, quella della Fondazione, unita ai
vincoli previsti per i loro statuti sono gli strumenti a cui il
legislatore ha pensato per conseguire questi scopi.
Entro
il 1° febbraio 2000, le 88 fondazioni bancarie avrebbero dovuto
adeguare gli statuti, sulla base della nuova legge e delle
indicazioni successive. Non tutte hanno rispettato la scadenza e
molte si sono rivolte al tribunale amministrativo contestando il
carattere eccessivamente impositivo e direttivo dell’atto di
indirizzo e in particolare le indicazioni, ritenute
eccessivamente vincolanti, che la normativa dettava per la
costruzione degli statuti. Non a caso: negli statuti troviamo
l’architrave su cui si poggerà l’attività delle
fondazioni.
Lo
statuto deve definire infatti gli ambiti territoriali nei quali
le Fondazioni potranno operare. A seconda che essi siano
“esclusivamente” quelli di riferimento, o che si preveda la
possibilità di intervenire anche al di fuori di essi, potrebbe
essere o meno colmato lo squilibrio esistente nell’attività
delle Fondazioni tra nord, centro e sud (la concentrazione delle
banche da cui le fondazioni originano nel centro e nel nord del
Paese lascerebbe il sud senza questo importante strumento di
promozione di attività di pubblica utilità).
Gli
statuti dovranno inoltre definire gli ambiti di intervento su
cui operare.
Le
disposizioni identificano alcuni settori rilevanti (ricerca
scientifica, istruzione, promozione della cultura e dell'arte,
conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività
culturali e dei beni ambientali, sanità e assistenza alle
categorie sociali deboli); è possibile individuare altri
settori a condizione che si tratti di attività non lucrative e
che non svolte in forma di impresa. In aggiunta, i campi di
riferimento dovrebbero nascere sulla base delle esigenze e dei
problemi vissuti dalle realtà locali.
Gli
statuti devono prevedere l'istituzione di distinti organismi di
indirizzo, di amministrazione e di controllo. Nei primi, si
auspica una rappresentanza dei diversi interessi e delle
esigenze delle comunità cui si rivolgeranno le attività della
Fondazione e le organizzazioni di terzo settore sono una delle
forme a cui si pensa per dare corpo a questo tipo di
rappresentatività. Gli statuti devono prevedere l’obbligo,
entro il mese di ottobre di ciascun anno, di adottare un
Documento programmatico previsionale dell’attività relativa
all’esercizio successivo e regolamenti che disciplinino le
modalità di individuazione e selezione dei progetti e delle
iniziative da finanziare, per assicurare la trasparenza,
l’efficacia e la migliore utilizzazione delle risorse. A
questo proposito rimane aperta la questione su quali strumenti
di rendicontazione consentirebbero la verifica della rispondenza
tra quanto definito nei documenti di previsione e l’impatto
sociale che deriva dall’intervento delle fondazioni.
|