Il valore della famiglia, dell'onore e della virilitá nella cultura romaní

 

di Santino Spinelli

 

tratto dalla Rivista Thèm Romanó (Mondo Zingaro)
anno X n°2 pag 8 e anno XI n° 1 pag. 11

 

L'istituzione matrimoniale è in molte culture un fatto sociale di grande rilievo che trascende la semplice legalizzazione dell'unione sessuale o la legittimazione della prole: definisce i rapporti fra le famiglie, ridisegna le alleanze, regola la distribuzione delle ricchezze attraverso la dote o la ricchezza della sposa ed è importante per gli individui in quanto contribuisce alla definizione della loro identità. Lo studio di questa istituzione nella comunità romani risulta particolarmente interessante perché aiuta a chiarire alcuni aspetti delle relazioni tra istituzioni sociali e la nozione di genere, le relazioni che si instaurano e come esse sono organizzate.

Il mondo romano, con la sua diversità etnica e culturale, rappresenta una nazione sovranazionale senza Stato. Quella romani è una società semplice, pre-capitalistica che si basa essenzialmente su un sistema egualitario in cui i rapporti personali vertono sugli elementari concetti di dare, avere e ricambiare, regolati dalla morale dell'onore. Strettamente collegati all'onore sono i concetti di puro (ÒuÒipé) e impuro (mellipé o merimé). Al concetto di puro sono ricollegabili tutte quelle qualità o azioni positive che onorano un individuo (rispettabilità, igiene personale, cordialità nei rapporti sociali, modestia, etc.) mentre al concetto di impuro quelle negative (indecenza, impudicizia, turpitudine, incesto, adulterio, mestruazioni, omicidio, guerra, etc.).

Il sistema di prestigio o onore sociale, cioé i meccanismi attraverso i quali gli individui conquistano o mantengono una certa posizione di valore sociale, è una delle forze che intervengono in modo diretto nella costruzione dell'ideologia di genere. Se però da una parte gli uomini mantengono il loro prestigio attraverso il controllo delle donne, non è altrettanto vero il contrario, anche se il prestigio femminile non può prescindere dalla scala di valori dominante. Nel mondo romano il prestigio maschile e le relazioni fra i sessi sono fortemente legati.

Ad esempio, il controllo della sessualità femminile, che avviene attraverso tutta una serie di istituzioni culturali (valore della verginità, segregazione) è uno degli elementi salienti del prestigio maschile che finisce per determinare i suoi stessi attributi di genere riassunti dalla nozione di virilità. La donna tuttavia è fatta garante della trasmissione dei valori sociali dominanti ed in particolar modo alle figlie. La Romní ha il potere di trasmettere e di perpetuare le tradizioni o di interromperle. In alcune culture, la virilità, ovvero le modalità socialmente condivise che l'uomo deve assumere, si esprime attraverso la lotta, il coraggio o la potenza sessuale. La virilità e la mascolinità devono essere dimostrate attraverso prove e comportamenti. Nella società romaní gli uomini non devono competere fra loro con la lotta, mostrare coraggio o totale indifferenza nei confronti del dolore. Non esistono riti cruenti a cui sottostare per dimostrare di essere uomini. In questo contesto, mancando prove o competizioni dirette fra uomini, la preoccupazione di apparire virili potrebbe apparire debole. Ma come in molte altre culture esiste l'idea che la virilità è differente dalla mascolinità biologica: anche al Rom è perciò richiesto di provare la propria virilità- elemento fondamentale della struttura di prestigio - alla società ed a se stesso.

La virilità non si evidenzia attraverso le capacità seduttive o la quantità di donne che si riesce a possedere all'interno del gruppo di appartenenza. La morale romani e la struttura del prestigio delle comunità rom condannano il seduttore non perchè il suo comportamento contrevviene alla norma che impone di astenersi dall'avere rapporti sessuali fuori dal matrimonio, la disapprovazione, sociale deriva dal fatto che tale comportamento rovinerebbe irrimediabilmente la vita della Romní sedotta, comprometterebbe la reputazione del marito (se e sposata), della sua famiglia e sopratutto dell'intero clan di appartenenza. Da qui si deduce che il concetto di famiglia presso le comunità rom e non si riduce al semplice nucleo conuigale, ma si estende a tutto il clan parentale. Le doti di un uomo si trasmettono attraverso il suo sperma ai suoi figli. La salute e il vigore dei figli sono la manifestazione evidente della forza e del vigore del padre. È importante sottolineare che tutto ciò è coerente con l'idea della trasmissione delle qualità del clan da padre in figlio, principio su cui si fonda la stratificazione sociale. Nello stesso modo il non aderire agli stereotipi di genere provoca l'indebolimento delle proprie capacità virili. Non bisogna giungere all'estremo dell'omosessualità per vedere compromessa la propria virilità. Ad esempio è sufficiente un rapporto troppo stretto con il mondo femminile. L'omosessualità fra i Rom è molto rara e in ogni caso mai appariscente.

Al pari del vigore fisico dei figli, il loro genere sessuale è un ulteriore elemento che comprova la virilità del padre. Avere solo figlie femmine è considerata una vera sventura e vista con sospetto, quasi come una incapacità riproduttiva. Il Rom che ha solo figlie femmine è spesso oggetto di scherno. In questa sede a noi è sufficiente sapere che la mancanza di progenie maschile è vissuta con grande drammaticità. Questo perché la società romani adotta un sistema patrilineare in cui i diritti di successione, eredità, riconoscimento del gruppo sociale passano soltanto attraverso gli uomini. Ciò significa che ogni uomo trasmette la filiazione: la regola sociale che definisce l'appartenenza di un individuo a un dato gruppo etnico. Le figlie appartengono per nascita al gruppo del padre, ma sono soprattutto i figli maschi ad essere i prediletti proprio perché tramandano la genia. La filiazione passa perciò per un solo sesso e va dal nonno (papù) al padre (dat) al figlio (©havó) al nipote (nispió). Questo sistema unilineare mette in evidenza la particolare visione del mondo da parte dei Rom.

Sono i figli maschi, dunque, a fornire in ultima istanza la prova della virilità e garantire così il prestigio sociale. La positività sociale di avere figli maschi è interiorizzata dagli individui attraverso il sistema di prestigio che rende la persona orgogliosa agli occhi della gente e diventa uno degli strumenti più efficaci per far aderire, conformare o rispettare i modelli sociali. Il sistema di prestigio si lega così indissolubilmente alle strutture di genere.

Proprio per via della filiazione la maggior parte dei membri delle comunità romani uomini o donne che siano, ammette una certa superiorità maschile, attribuendo all'uomo fermezza di carattere, risolutezza e forza: qualità che gli permettono di gestire gli affari di famiglia e quelli sociali; mentre alla donna di attribuisce un carattere debole, voluttuoso, una predisposizione all'intrigo, all'inganno, al maleficio. Se i termini "inferiorità" o "supremazia" risultano sgraditi, più appropriati sono i riferimenti all'obbedienza, alla sottomissione e alla dipendenza della donna nei confronti del padre prima e del marito poi (entrambi segni di grande modestia e di comportamento onorevole). L'accento è posto sulla differenza e la complementarità che viene salvaguardata attraverso la separazione dei due sessi. Essi sono collocati in ambiti sociali diversi e ci si aspetta che ognuno si comporti conformemente allo stereotipo applicato al proprio sesso. Si ritiene che gli uomini e le donne abbiano carattere, comportamento e compiti sociali differenti. L'uomo domina la sfera pubblica, la donna si occuperà della vita domestica e il suo prestigio sarà in relazione alla sua attività di moglie e di madre.

I compiti asegnati all'uomo e alla donna necessitano di spazi separati confacenti alle funzioni sociali di ogni sesso. La separazione dei sessi è netta, ma non riguarda la semplice tipologia degli spazi. Riguarda l'importanza sociale di tali luoghi. Gli uomini occupano gli spazi aperti, i luoghi pubblici che rivestono rilevante importanza sociale (si pensi alla kriss o tribunale rom). L'uomo deve essere presente alle attività collettive, deve evitare di stare in casa, soprattutto in cucina: il luogo femminile per eccellenza. Rimanere attaccato alle donne di casa porta all'effeminatezza ed alla sottomissione. Restare in casa viene visto con sospetto, come segno di mollezza. La differenza sessuale fa apparire naturale la separazione degli uomini e delle donne: così come i compiti, anche gli spazi sono contrapposti conformemente alla loro natura. Ma la separazione è necessaria per mantenere intatta la propria virtù. Si ritiene infatti che la pulsione sessuale soprattutto quella femminile- sia incontrollabile ed è dunque necessario costruire barriere che la frenino. Tutto il sistema è basato sulla supposizione che le donne sono esseri potenti e pericolosi. Tutte le istituzioni sessuali (ripudio, segregazione, verginità, etc…) possono essere percepite come una strategia per contenere il loro potere. Le donne possono infatti distrugere la reputazione dei loro mariti e dell'intera discendenza. Ovvero detengono il potere di compromettere il prestigio dell'intero clan. È dunque necessario "proteggere" le donne e gli uomini da questo pericolo mantenendo i due sessi separati.

La separazione degli uomini dalle donne attraverso la segregazione femminile negli ambiti domestici e l'imposizione delle gonne lunghe dette tsoxá sono le strategie adottate. Non sorprende dunque che il controllo delle donne nubili sia ferreo. La purezza virginea è di massima importanza per il prestigio di tutta la famiglia ed il futuro della donna. Le bambine fino a poco prima del menarca possono giocare liberamente in strada e non subiscono particolari restrizioni.

Crescendo gli viene imposto un comportamento sempre più riservato. Nell'età dell'adolescenza devono indossare il romanó jurivibbé (vestito romano) e non è permessa loro la stessa libertà di movimento che avevano in precedenza.

La donna sembra vivere all'ombra del maschile, ma in realtà anche se si definisce in rapporto ad esso (madre, moglie, sorella) il suo prestigio non sarà il semplice riflesso del prestigio maschile. Sarà l'uomo, più che la donna, a far dipendere il proprio prestigio dalle relazioni con l'altro sesso. A differenza dell'uomo, il comportamento non decoroso del partner influisce in misura minore sulla reputazione della donna e a volte è del tutto irrilevante. Ella non può essere biasimata per il comportamento del consorte. La donna infatti non può imporre al marito alcun comportamento.

È chiaro dunque che la castità della ragazza nubile e la fedeltà della moglie non riguardano solo le prestazioni sessuali in senso stretto, bensì è soprattutto la condotta pubblica della donna: meno si espone in pubblico, più alto è il rispetto che gode. La donna deve tenere un comportamento modesto e pudico che non dia l'impressione di voler piacere apparendo sessualmente desiderabile agli uomini.

Essa infatti non deve porgere troppa attenzione alla cura e all'estetica del proprio corpo, segno di immodestia. La donna si deve curare solo per piacere al marito, dunque non c'è alcuna ragione di abbellirsi durante la sua assenza. Diversa è la posizione delle ©haj tarniá (letteralmente ragazze nubili, ma più sottilmente "ragazze pure"): esse, per esempio, per andare alle feste matrimoniali si ornano con i migliori monili, i più costosi vestiti ed utilizzando essenze. Ancora una volta il prestigio di una donna non si gioca solo in relazione al maschile, ma si costruisce e viene espresso con regole proprie del mondo femminile.

Anche negli spazi pubblici, come la strada, la donna è separata dal suo abito che la rende totalmente anonima, praticamente invisibile; la tsox, dunque manifesta pubblicamente che la donna è capace di garantire la purezza del lignaggio. Ma più in generale la semplicità dell'abito ha il doppio significato di mostrare la modestia della donna e di non attirare l'attenzione degli uomini.

Lo stato di verginità femminile, come si è detto, è indispensabile per potersi sposare. È un valore per tutti i gruppi rom, uomini e donne sia dei ceti elevati, sia dei più poveri. Il sistema di residenza nella società romani è patrilocale (la donna segue il marito) e se la notte delle nozze la ragazza viene trovata non vergine è ripudiata dal marito e dalla famiglia di quest'ultimo. La verginità è posta al primo posto nella scala dei valori del sistema di prestigio ed ha peso importante nei gruppi di discendenza.

Così lo sforzo è rivolto a mantenere la purezza del lignaggio che assicura il proprio posto nella gerarchia dei gruppi di discendenza e questo dipende particolarmente dalla purezza delle donne. La purezza del lignaggio è associata alla verginità della donna.

Completamente pura deve essere la discendenza che la donna difende col proprio comportamento. Si è detto che la sposa, se giunge non più vergine alle nozze, viene ripudiata immediatamente dal marito, provocando un grosso scandalo. Lo scandalo si riversa anche sulla famiglia dello sposo in quanto tale azione manifesta l'incapacità di scegliere una moglie adeguata per il proprio figlio. Il tutto è aggravato dal fatto che le famiglie sono spesso imparentate.

La società romani, quindi, trova forza e prestigio da alcune costrizioni o da determinate cose che "non fa", come per esempio l'incesto, considerato assolutamente impuro. Il tabù dell'incesto nasconde l'intima necessità di conservare, proteggere e tramandare sia la genia che il gruppo di appartenenza. Non trasmettere la vita significa rompere una catena che non ha fine; l'incesto va contro questa logica e così minaccia la sopravvivenza del gruppo.

Matrimonio e procreazione sono doveri a cui non ci si può sottrarre. L'assenza di procreazione è un crimine verso se stessi e verso il gruppo di appartenenza per questo lo scapolo e la zitella non sono ben visti nella società romaní, anzi sono fatti oggetto di scherno e derisione. La donna rom è considerata tale solo dopo aver procreato, nell'ambito della famiglia è innanzitutto madre. La nascita è considerata dai Rom l'evento che finalizza il matrimonio e rende l'uomo fiero di sua moglie, oltre che dare prestigio alla donna. Una donna sterile nella società romani rappresenta una vergogna per il marito. I figli rappresentano una ragione di vita per i genitori e l'orgoglio vero del nucleo coniugale. Grazie a questo meccanismo il bambino si trova inserito in una linea di discendenza che sottolinea un continuum. Ciò che assicura la sua esistenza è l'attribuzione di una identità sociale riconosciuta da tutti, identità segnata dal nome che gli viene dato e dalla famiglia a cui appartiene.

La sterilità è vissuta nel mondo Rom come un'infrazione all'etica di una regola fondamentale del gruppo: la sopravvivenza, su di essa si regge il susseguirsi delle generazioni e le funzioni che ad ognuno sono attribuite.

La sterilità è quindi considerata una disgrazia. Le funzioni attribuite ad ogni individuo sono perfettamente convergenti e coese nella struttura sociale romaní che è di tipo egualitario in cui le posizioni di prestigio sono tante quante le persone che sono in grado di occuparle. In tale società, dunque, non vi è stratificazione sociale.

Chiaramente non tutte le persone sono "uguali" perché vi saranno sempre tra gli individui differenze di età, di genere e di capacità specifiche (fascino, intelligenza, creatività, doti fisiche, etc…).

La società romaní si basa soprattutto sulla condivisione che assicura un accesso alle risorse economiche che non dipende dal grado di prestigio. Le risorse economiche, il cibo, il vestiario e quant'altro vengono divisi tra tutti i membri della famiglia e passano frequentemente da un individuo all'altro.

Tutto ciò si inserisce perfettamente nell'ottica di vita che i Rom hanno e che è di tipo orizzontale.È inoltre interessante sottolineare che i Rom abruzzesi (ciò accade anche fra altri gruppi rom) chiamano i figli di due fratelli phràl kuÞin o phèn kuÞin, ovvero fratello cugino o sorella cugina poiché discendenti da un antenato comune mentre i cugini acquisiti sono chiamati semplicemente kuÞin.

Dunque i parenti consanguinei in linea collaterale non vengono distinti da quelli in linea diretta. Ora se consideriamo che la parola kuÞin è di origine europea, i Rom si considerano "fratelli". Ciò dimostra inequivocabilmente che la società Romaní è basata sui rapporti di parentela che si impernia su uno spiccato senso di solidarietà e di aiuto reciproco. I rapporti sociali e quelli di parentela in particolare non sono altro che un'estensione di quelli familiari.

La società romaní è quindi di tipo familiar-parentelare, dove il rapporto di parentela ha una funzione dominante nel sistema delle relazioni sociali. Il quadro che ne emerge è quello di una comunità profondamente legata da valori comuni rispecchianti a loro volta un sistema di organizzazione sociale estremamente egualitario.

È un fatto rilevante che un popolo facente parte di una società semplice ha saputo darsi, dai tempi remoti, un ordinamento politico egualitario incentrato sui valori della famiglia, dell'onore e della virilità.