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 JUNIO  VALERIO  BORGHESE    

di Giuseppe Rossi

 
"Se ho sbagliato con la mia decisione dell'8 settembre sono qui per pagare anche con la vita che non è la prima volta che metto a disposizione della Patria, ma chiedo che esca da questo processo la gloria della Decima Mas."

Junio Valerio Borghese

 

Prefazione
Dalle origini al 7 settembre 1943
L'armistizio dell'8 settembre
Dal 9 settembre '43 al 26 aprile '45
Il processo

 
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L'armistizio dell'8 settembre

Se indubbiamente tutti desideravano, in qualche maniera, uscire da una guerra già persa, le modalità di annuncio dell'armistizio ( comunicato dal generale Eisenhower alle 18.15 da Radio Algeri, nella totale assenza di notizie da parte delle autorità italiane), il fatto di averlo stipulato all'insaputa dell'alleato tedesco, la figura di un Re e di un governo in fuga, lo sbandamento della gran parte dei comandi militari, tutti questi fattori contribuirono senza dubbio a creare un'enorme turbamento nelle coscienze.
Il Comandante Borghese apprese il comunicato via radio, per caso, nella caserma della Decima a La Spezia.
"Il governo italiano – diceva Badoglio dai microfoni dell'allora EIAR – riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle Forze Alleate Angloamericane. La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le Forze Angloamericane deve cessare da parte delle Forze Italiane in ogni luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza"

Alle 19.45, ora del giornale radio, ora in cui si sarebbe dovuto trasmettere il “bollettino di guerra n° 1202”, gli italiani ascoltarono questo funereo proclama. Privo di ordini, balzò in auto e si diresse presso la casa dell'ammiraglio Ajmone Savoia duca d'Aosta, ispettore generale dei Mas per chiedere direttive a seguito della promulgazione dell'armistizio.
SAR il principe Ajmone era “allo scuro” di tutto, non aveva ascoltato la radio ne aveva ricevuto alcuna preventiva comunicazione. Il comandante Borghese, tornato in caserma, verso le 22.00 riuscì a collegarsi con Supermarina dove gli fu detto: “non c'è nulla di nuovo. Dalle 20.00 siamo in stato di armistizio. Ognuno resti al suo posto”.
I tedeschi imposero il coprifuoco dalle 20.00 alle 06.00 del mattino e catturarono centinaia di soldati italiani che cercavano di andarsene. Sulla caserma della Decima invece continuava a sventolare il tricolore e le sentinelle montavano, regolarmente armate, la guardia. J.V.Borghese rimase legato ai suoi doveri di ufficiale con le sue responsabilità; e la più importante era quella di salvaguardare non solo l'onore della bandiera ma, prima di tutto, i suoi uomini.
Senza di lui gli uomini del suo reparto avrebbero fatto la stessa fine degli altri lasciati allo sbando, catturati e deportati in Germania (ad esempio come quelli di Bolzano). In questo periodo storico, più che mai solo, “Comandante” e non “principe” (i principi scappano, e sono impegnati più a salvare i gioielli che l'onore), Borghese si barricò con la sua Decima a Lerici pronto a difendersi a una imposta, disonorevole e infamante resa agli alleati.
In molti provarono questo sentimento di vergogna e le conseguenze di quella resa umiliante, per gli stessi elementari motivi di “dignità di soldato” e di “onore”. Gli altri, quelli più deboli, di scelte non ne fecero: le subirono!
Così descrisse il Comandante Borghese quelle fatidiche ore: “l'8 settembre, al comunicato di Badoglio, piansi. Piansi e non ho mai più pianto.
E adesso, oggi, domani, potranno esserci i comunisti, potranno mandarmi in Siberia, potranno fucilare metà degli italiani, non piangerò più. Perché quello che c'era da soffrire per ciò che l'Italia avrebbe vissuto come suo avvenire, io l'ho sofferto allora. Quel giorno io ho visto il dramma che cominciava per questa nostra disgraziata nazione che non aveva più amici, non aveva più alleati, non aveva più l'onore ed era additata al disprezzo di tutto il mondo per essere incapace di battersi anche nella situazione avversa. Non ci si batte solo quando tutto va bene.
Anch'io in quei giorni fui chiamato ad una scelta. E decisi la mia scelta.
Non me ne sono mai pentito, anzi quella scelta segna nella mia vita il punto culminante , del quale vado più fiero. E nel momento della scelta, ho deciso di giocare la partita più difficile, la più dura, la più ingrata. La partita che non mi avrebbe aperto nessuna strada ai valori materiali terreni, ma mi avrebbe dato un carattere di spiritualità e di pulizia morale al quale nessuna altra strada avrebbe potuto portarmi”.

Interi reparti, anche con molti uomini, furono lasciati allo sbando e dovettero alzare le mani davanti a uno sconcertato “nemico” di molto inferiore come numero, che quasi non credeva ai propri occhi.
“Non pensavamo che sarebbe stato così facile!” diranno i tedeschi.