Site search Web search  
Introduzione
Il pensiero politico nazionale della destra
La difesa del lavoro nel pensiero della destra
Il pensiero economico della destra tra socializzazione e liberismo
La destra tra monetarismo ed interesse nazionale
La destra italiana tra irredentismo ed europeismo
Le ragioni sociali dell'Europa
Nazionalismo e mondialismo nel pensiero politico di destra
Unione monetaria, globalizzazione e stato nazionale
Relazione di sintesi
Dibattito

 
Scarica l'intero convegno in formato word cliccando su convegno.zip

 

La destra tra monetarismo ed interesse nazionale

Relazine del Prof. Giuseppe Pennisi della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, Roma

Parlare di destra e moneta è un argomento insolito, particolarmente se destra e moneta vengono viste in un contesto europeo. Perché è un argomento insolito? Di anzi ci è stato ricordato che nel Parlamento inglese si sedevano a destra coloro che volevano conservare l'assetto esistente e si sedevano a sinistra coloro che volevano modificarlo con riforme più o meno drastiche: con riforme o massimaliste o radicali o graduali. E nella divisione tra destra e sinistra la moneta era qualcosa di asettico, che non entrava in discussione. Adesso, curiosamente, nel Parlamento italiano si siedono a sinistra coloro che vogliono conservare l'assetto esistente , coloro cioè che si basano sulla stratificazione sociale esistente, e coloro che si basano, in particolare, su una stratificazione che guarda al passato piuttosto che all'avvenire. Si siedono a destra coloro che propongono il cambiamento e che guardano al futuro piuttosto che al passato. E la moneta sembra diventata un elemento discriminante tra destra e sinistra, particolarmente da quando si parla di moneta e di Europa.
Si parla di moneta e di Europa in questi termini: quando leggiamo i giornali, quasi tutti, e quando vediamo la sera la televisione, quando ascoltiamo il bombardamento continuo che abbiamo da Radio Rai sull'Italia, l'Europa e la moneta, la caricatura che viene presentata - perché è una caricatura che entra nel DNA di molti - è cioè questa storia che la moneta europea, che la destra non vuole perché la destra non vuole stare in Europa, e che al contrario un anziano signore che si chiama Ciampi sta facendo di tutto per portarci in questa moneta europea che risolverebbe, poi, bene o male, i problemi di tutti. Questa è una caricatura molto ambigua, sia perché la moneta nella distinzione tradizionale tra destra e sinistra non entrava - la moneta veniva vista come qualcosa di asettico, come qualcosa che serviva allo scambio, che serviva alla riserva, che serviva alle transazioni e che serviva a numerare, ma non qualcosa che fosse distinzione tra destra e sinistra - poi in quanto sembra quanto meno curioso vedere che la distinzione tra destra e sinistra è tra chi vuole andare in Europa, ed in un'Europa rappresentata da una moneta, e chi non ci vuole andare. Qui credo che bisogna fare due o tre commenti per spostare, poi, il dibattito su quelli che sono i temi più profondi e, a mio avviso, i temi più veri e sui quali ci può essere, c'è una demarcazione profonda tra chi oggi si chiama destra e chi oggi si chiama sinistra.
Innanzitutto Italia, Europa e Moneta.
Dire che si possa fare un'Europa Unita senza l'Italia è semplicemente ridicolo. Noi siamo in Europa, siamo sempre stati in Europa. Italia e Grecia sono i paesi del bacino della cultura europea. Dire che l'Europa delle monete, l'Europa della moneta unica come tratteggiata a Maastricht, possa portare ad una divisione in Europa, la tesi che ha sostenuto per anni Antonio Martino quando insegnava in Università, nel momento in cui incominciò a dirla da Ministro degli Affari Esteri, questa tesi, che è una tesi estremamente corretta, è stata presentata come un'eresia, è purtroppo profondamente vero. L'Europa che è stata definita nel trattato di Maastricht non è un'Europa che unisce, è un'Europa che divide. E come ho detto in altri convegni - non voglio ripetere il ragionamento che potrebbe essere complesso su questo tema - un'Europa in cui ci si divide tra chi è dentro o meno in un sistema di moneta unica, è un'Europa di divisioni non è un'Europa di unità della cultura europea e di creazione della Nazione Europea a cui tutti vogliamo contribuire. L'Europa della moneta divide perché si è pensato di fare l'Europa della moneta prima di fare l'Europa di altre cose, ed è un'Europa della moneta che dividerà, probabilmente, per una fase temporanea che, malauguratamente, rischia di finire male. In questi ultimi giorni uno dei Consiglieri, o dovrei dire degli ex Consiglieri del Ministro del Tesoro Ciampi, il Prof. Alberto Lesina, ha dato le dimissioni dal suo incarico proprio dopo aver scritto un saggio, molto bello anche se piuttosto astratto dal punto di vista matematico, nel quale dimostrava con logica formale che un'unione monetaria realizzata quando mancano le premesse per creare una nazione politica, è un'unione monetaria che non porta all'Europa ma che porta alle divisioni ed alle secessioni. Lui diceva in questo saggio, che è edito in inglese: è un unione monetaria che porta in Bosnia, che porta in Catalogna, che non porta in Padania: ci troveremo senza l'Italia e senza Europa.
E' l'Europa di chi vuole andare in Bosnia, di chi vuole andare in "Padania", di chi vuole andare in Catalogna, di chi vuole i Paesi Baschi. Alberto Lesina è un Professore dell'Università di Harward, è un collaboratore del "Corriere della Sera", è uno degli economisti italiani della generazione giovane - ha 40 anni - più noti all'estero. Martin Firstein che è il presidente del CNR americano per la parte economica ed è il Presidente del National Bureau of Economic Research ha edito, di recente, un saggio analogico in cui diceva: la strada che in Europa hanno preso per la loro unificazione monetaria sarà una strada che porterà conflitti, a conflitti intereuropei ed a conflitti extraeuropei. Quindi se questi signori, che non sono collegati a nessun partito politico italiano e stanno, Firstein a New York, Lesina ad Harward, sono giunti a queste conclusioni, sorge, quantomeno, il dubbio professionale prima ancora che politico, lecito e legittimo, che forse quello che sta avvenendo, prima o poi, dovrà essere corretto. C'è un forte rischio, proprio in questi mesi: il forte rischio sarà che la correzione dovrà essere effettuata dopo, e cioè che verrà creata un'Europa delle monete con l'Italia dentro e che la correzione dovrà essere effettuata nei prossimi anni, e dovrà essere effettuata a spese delle generazioni più giovani. Tenete presente che lo stesso Governo che ci martella ogni sera con i successi del Ministro del Tesoro in Germania, in Francia, a Londra e quant'altro, ha edito a firma del Governo della Repubblica, pochi mesi fa, il rapporto dell' ISFOL (Istituto per la Formazione e lo Sviluppo Economico dei Lavoratori) in cui ci sono una serie di previsioni sugli andamenti occupazionali. Ve ne cito una: questa viene dal Governo Prodi, non viene dall'opposizione: Si afferma che ove la crescita economica del paese da adesso al 2004 sarà del 3% l'anno cioè un tasso di crescita economica superiore a quello degli anni del "boom", un tasso di crescita economica tre volte quello che si è avuto dal 91 ad oggi (dal 91 ad oggi abbiamo avuto un tasso di crescita economica dell' 1% l'anno), ove si crescesse al 3% l'anno il Governo potrebbe avere dei grandi esiti sul piano occupazionale, cioè il tasso di disoccupazione scenderebbe dal 12.4% all' 8.8% per tutto il paese. Nel "Mezzogiorno", però, sempre che si cresca al 3% l'anno, il tasso di disoccupazione passerebbe dal 22 al 25%.
Il documento, che chiunque può acquistare, è in vendita, lo edita Franco Angeli, e afferma, altresì, che, ove l'Unione Europea non volesse dire soltanto una Moneta Unica, avere in tasca un Euro piuttosto che 10.000 lire, ma volesse anche dire - vedo che abbiamo con noi autorevoli esperti del sindacato - un mercato del lavoro italiano più simile a quelli europei in termini di partecipazione particolarmente delle donne e dei giovani al mercato del lavoro, questi signori hanno fatto i conti, ove nel 2004 il tasso di partecipazione delle donne e dei giovani nel mercato del lavoro italiano fosse pari alla media di quello che era, che è stata la media europea nel 1995 (una media che essendo una media include Portogallo, Spagna, Grecia, la ex Germania est e quant'altro), in questo caso, dicono, a livello nazionale la disoccupazione sarebbe il 9% e per il Mezzogiorno sarebbe il 35%, per i giovani del Mezzogiorno andremmo al 60%, 70%, 80% e così via dicendo. Questo è il quadro. Con questo quadro che cosa fare? Non credo di essere stato invitato qui per portarvi una serie di geremiadi. Ora ci sono alcune cose che possono essere importanti e su cui cominciare a riflettere, anche in vista delle riflessioni che molti di noi dovranno fare tra 15 giorni a Verona. A me sembra che questo Convegno sia visto in quell'ambito. Speriamo che il convegno di Verona non sia soltanto per trasformare Alleanza Nazionale in "Alleanza Demografica", avendo letto il documento. Il problema demografico è importante. Ci si potrebbe confondere con una tale Alleanza Democratica che alle elezioni del 94 non ha avuto esiti particolarmente brillanti. Credo che ci siano alcune riflessioni importanti da fare in questa sede.
Proprio partendo dalla irrilevanza dell'Euro. Quello che è successo è oramai fatto. Sia che l'Italia entri sia che l'Italia non entri. L'Italia si è messa da alcuni anni su un precorso di risanamento della finanza pubblica che era comunque essenziale, che noi avremmo fatto in modo differente, ma che comunque era essenziale. E' avvenuto in parallelo con quello che facevano altri Paesi europei, quindi c'è stata una politica di disinflazione europea al momento stesso in cui si attuava una politica di disinflazione negli Stati Uniti ed in Giappone. Il risultato è stato che si è domata l'inflazione. Negli Stati Uniti si è riusciti a domare l'inflazione ma anche a curare i problemi occupazionali. Noi ci troviamo oggi, forse il Prof. Cosenza si ricorderà meglio di me, nella situazione in cui negli anni 70 si parlava di tasso naturale di disoccupazione, un concetto poi passato di moda, e si amava dire che in Europa il tasso naturale di disoccupazione è il 3%, in America è il 5%.
Adesso siamo in una situazione in cui il tasso naturale di disoccupazione viene posto al 10%, mentre in America il tasso effettivo di disoccupazione è al di sotto del 5%. Ora, cosa facciamo, cosa è possibile fare nei prossimi anni? Che proposte, di cosa potremo parlare partendo dalla irrilevanza dell'Euro e del riassetto che deve essere fatto nei prossimi anni in Italia, a Verona? Credo che ci sono 4 punti e, se ho il tempo, vorrei indicarli tutti e quattro.
Innanzitutto:
- I rapporti tra globalizzazione e stato sociale con riguardo ai problemi dell'occupazione;
- Politica dell'occupazione e ruolo del sindacato;
- Gli ammortizzatori sociali e la famiglia;
- Il ruolo della riforma delle pensioni e sindacato.
Abbiamo con noi autorevoli componenti del Sindacato e questo è utile per innescare un dibattito. Globalizzazione e stato sociale: credo che sia opportuno capovolgere il problema e capovolgere il problema non per sfizio, o perché ci piaccia essere bastiancontrari, ma perché le analisi più recenti comportano la necessità di capovolgere il problema.
E che cosa voglio dire con 'capovolgere il problema? Sembra che anche nel documento di base che verrà discusso a Verona si parli di globalizzazione come un fenomeno eterodiretto, comunque esterno all'Italia. Avvenga o non avvenga non possiamo fermarlo: c'è, l'abbiamo capito troppo tardi, e si ritiene che con la globalizzazione occorre smantellare lo stato sociale: questo estremizzando. Bene, le ricerche più recenti, soprattutto di storici economici degli Stati Uniti, comportano di capovolgere il problema. Non voglio svolgere un discorso tecnico. Il mondo ha vissuto un altro momento di globalizzazione ed è stato tra il 1870 e il 1913, ed esso è finito con una guerra mondiale. Le ricerche più recenti dicono che è finito con una guerra mondiale perché non c'era lo stato sociale.
Il processo di globalizzazione comporta una riduzione delle disuguaglianze nei paesi poveri, nei paesi poveri immessi nel circuito della disoccupazione. Pensate ai paesi della sponda sud del Mediterraneo: c'è una parte di manodopera che se ne va, rimesse di emigranti e, nei paesi poveri, il processo di globalizzazione comporta una riduzione delle disuguaglianze. Comporta però un aumento spaventoso delle disuguaglianze nei paesi ricchi. Pensate all'aumento delle diseguaglianze che ha comportato il processo di globalizzazione nel periodo tra il 1870 ed il 1913 in un Paese come gli Stati Uniti d'America. Gli Stai Uniti d'America alla fine del secolo scorso erano un paese, tutto sommato, abbastanza egualitario. I Rochfeller, i Vanderbilt e quant'altri, nascono allora grazie al processo di globalizzazione. Ora ciò comporta delle lacerazioni estremamente profonde, interne, che se non si governano portano a conflitti interni che possono esplodere anche nel resto del mondo. Questo è un concetto importante da portare a Verona.
Chi lo ha più studiato sono due economisti americani che certamente non fanno parte di nessun "Polo" e di nessun "Ulivo". Uno si chiama Jeffrey Williamson, un altro si chiama Edean Woods. E, curiosamente, Williamson ha fatto delle analisi statistiche, che visto che nei paesi ricchi di adesso come l'Italia, come i principali Paesi Europei, come gli Stati Uniti, si sta verificando un processo di aumento delle diseguaglianze analogo a quello dell'altro periodo di globalizzazione. Tenete presente che la globalizzazione allora era fatta con il commercio, con le derrate e con gli uomini, dico uomini, non donne perché le donne restavano a casa, erano gli uomini che emigravano. Adesso la globalizzazione viene fatta in parte con gli uomini che emigrano, poco con il commercio, molto con la finanza. Quindi ci sono molte differenze. Nell'ultimo scritto Williamson lancia appelli accorati: la storia si ripeterà. Lui dice: sappiamo che la storia non si ripete se sappiamo apprenderne le lezioni. Credo che, ad ascoltare questi appelli che vengono da analisi molto complesse, curiosamente, è stato solamente il Papa nel messaggio di Capodanno di quest'anno ai Capi di Stato e di Governi in cui il Papa ha detto: No; non fermo la globalizzazione: la globalizzazione della finanza, della tecnologia, dell'economica è una grandissima opportunità ma va governata perché altrimenti sarà il germe del conflitto.
Questa è un'impostazione marcatamente differente da quella che viene dal pensatoio dello stenditoio dell'Ulivo: quella cosa che hanno creato, lo stenditoio, la settimana scorsa. E' profondamente differente da quella che è la dottrina dominante corrente e che per molti aspetti si riallaccia a cose che sono parte del DNA costitutivo della destra. Riusciremo a vincere la sfida della globalizzazione non se smantelliamo ma se rifondiamo e se manteniamo lo Stato sociale. Per gli effetti del processo di globalizzazione dal 1990 ad oggi in Italia si non persi 1.2 milioni di occupati o equivalenti. Voglio dire agli amici che hanno responsabilità sindacale o che hanno responsabilità politica di essere molto attenti a quello che avverrà nelle prossime settimane. C'è un annuncio oggi su un giornale, non credo che il giornalista abbia compreso esattamente quello che si sta facendo, ma nella foga dell'Euro viene rivalutato il PIL, viene rivalutato il sommerso, e tra un po' leggeremo che il numero dei disoccupati è diminuito perché consideriamo coloro che lavorano per la camorra come occupati, coloro che lavorano per la malavita in Sicilia come occupati, coloro che puliscono le scale due volte a settimana nei condomini come occupati.
E' vero che ci sono circa 4 milioni di persone in Italia coinvolte nel lavoro nero. Molti operano in questo lavoro nero, che in gran parte è doppio lavoro di funzionari, di dipendenti, di imprese private o, in gran parte, di enti pubblici. Ma è anche vero che il nostro dramma non è tanto nel tasso di disoccupazione ma nel tasso di occupazione. Noi abbiamo un tasso di occupazione molto più basso di tutti gli altri Paesi europei. Un Paese come l'Italia, per numero di abitanti, loro raggruppamento per classi di età, reddito pro-capite, dovrebbe avere 24 milioni di occupati come la Francia o la Gran Bretagna. Noi, a malapena, ne abbiamo 20. Allora come andare da 20 milioni di occupati a 24 milioni di occupati, senza far diventare occupati (statisticamente) anche i "picciotti" che lavorano per la mafia?
Occorre ripensare in modo drastico tutta la struttura e la intessitura del diritto del lavoro. Il diritto del lavoro è stato pensato in un determinato modo, ma adesso è in atto una vera e propria fuga dal diritto del lavoro. Occorre ripensarlo per dare una serie di garanzie di base a tutti: non più garanzie categoriali specifiche, e per facilitare l'accesso di chi viene oggi tenuto fuori dalle garanzie eccessive date agli ipertutelati, agli ipergarantiti. Ora, questo è un processo in cui molti Paesi europei sono coinvolti e si può fare solo in due modi: o si fa con il sindacato che fa proposte nuove, un sindacato che diventa propositivo e che entra in competizione con i sindacati che non possono essere propositivi perché fanno parte di un determinato assetto di potere o di governo, o verrà fatto, inevitabilmente, contro il sindacato. Qualcosa avverrà. Non potremmo restare con il tasso di disoccupazione dei giovani in Sicilia ed in Calabria al 60%. C'è modo di cambiare il sistema: dipende molto da come il Sindacato sarà in grado di diventare propositivo e competitivo. Tenete presente che tre Paesi sono riusciti, in Europa, a ridurre il tasso di disoccupazione: la Gran Bretagna dove la signora Thatcher ha scelto un sindacato debole e, si direbbe in termini romani, particolarmente "sfigato", quello dei minatori e ne ha fatto carne per hamburger; ha preso il sindacato più debole, più vecchio, più sfigato e ne ha fatto carne per hamburger. Dopo ha detto agli altri: volete voi pure? Ha praticamente eliminato gran parte delle tutele che c'erano.
In Olanda e Danimarca, in collaborazione con il sindacato si è riscritto tutto il diritto del lavoro e si è riscritto in modo snello. Qui noi abbiamo 1600 pagine di normativa sul lavoro di cui 400 emanate nell'ultimo anno per.......esemplificare il corpo normativo esistente: tutto questo è delirante. Tenendo presente che per quanto riguarda sicurezza e igiene sul lavoro noi siamo comunque obbligati a seguire le normative e le direttive europee. A noi basterebbero 200 pagine di diritto del lavoro e sarebbero persino troppe. 1600 sono solo il "Codice Giugni" ampliato da quello che è successo negli ultimi anni. Quello che auspico avverrà? Dipende molto da quello che il sindacato vorrà fare in sede propositiva. Una rivoluzione ed esemplificazione del diritto del lavoro è essenziale per andare all'altro aspetto del problema: gli ammortizzatori sociali. In un'Europa in cui avremo la moneta unica, anche se la moneta unica dopo un certo numero di anni dovesse saltare, avremo indubbiamente forte tensione tra il sistema di banche centrali e le politiche nazionali. Il sistema di banche centrali dovrà svolgere una manovra coordinata con effetti esterni elevati. Ciò comporterà delle restrizioni durissime: restrizioni durissime degli investimenti ed impatti molto gravi sulla società.
Voi vedete quello che è successo in Francia in questi ultimi giorni, avete letto che in Germania 70 Uffici di collocamento sono stati occupati dai manifestanti, e che in Renania nella Rurhe nella Sar, i manifestanti francesi ed i manifestanti tedeschi erano assieme contro un tal modo di fare integrazione europea. Questo comporterà un aumento del disagio. E' inevitabile purtroppo. Un aumento del disadattamento. Un aumento delle condizioni di sofferenza per molti. Qui occorre chiedersi: in uno Stato sociale come il nostro che oltre ad essere basato su forti tutele occupazionali per chi è già occupato e su nulla per chi non è occupato, non è il caso di cominciare a pensare ad altre cose? A quello che si chiama il minimo vitale? A quello che si chiama assistenza per i giovani che non hanno lavoro e che si devono avvicinare al processo del lavoro con attese molto lunghe? Questo comporta di rimettere mano a tutto il problema previdenziale. Nel frattempo non c'è altro ammortizzatore su cui si può far perno, oltre che la famiglia perché siamo in un contesto di forti restrizioni di finanza pubblica e se siamo in un contesto in cui non si può, indubbiamente, pensare di riformare le pensioni decurtando le prestazioni a chi è già in pensione. Non credo che nessuno pensi di far qualcosa di questa natura perché non sarebbe politicamente sostenibile.
Occorre cercare di ripartire dall' "ammortizzatore famiglia" che è già adesso uno dei principali ammortizzatori occupazionali e sociali del sistema. Fare questo, oltre al fatto che è molto collegato ai principi di chi guarda all'avvenire con quella consapevolezza che appartiene ad una storia, ad una cultura, ad una tradizione - questo vuol dire destra -, non vuol dire semplicemente guardare al futuro ma guardare al futuro dicendo: andrò lontano perché so da dove vengo e non voglio dimenticare da dove vengo. La famiglia è parte di questa cultura. Ciò vuol dire dare dei segnali forti e credo che da Verona potrebbero partire due segnali interessanti: uno consistente nell' aumentare le detrazioni fiscali per le famiglie nel limite che si può fare. Un altro, che non comporta oneri immediati ma che potrebbe essere un segnale importante per il futuro, e credo che sarebbe anche abbastanza in linea con i contenuti, diciamo, demografici che vengono proposti nel documento: perché non pensiamo, come d'altronde fanno in altri Paesi, di premiare con una indennità, magari piccola, magari simbolica, coloro che hanno avuto famiglie numerose, quando vanno in pensione? Se dobbiamo rimettere mano al sistema previdenziale italiano occorre cominciare a dire: le pensioni del futuro, oltre ad avere una parte fissa, avranno una parte "mobile" che terrà conto in tarda età del contributo che hanno dato coloro che hanno avuto una famiglia numerosa: in questo c'è una logica economica forte. Saranno i loro figli a pagare il loro contributo ed il contributo degli altri.
Quindi se si sono sposati giovani, hanno avuto figli, hanno rinunciato a molte cose quando avevano tra i 25 ed i 35 anni, non solo per se stessi ma perché hanno prodotto dei beni sociali, con un collegamento molto forte, perché sarà dai redditi dei loro figli che si pagheranno le pensioni loro e di tanti altri, perché non corrispondere qualche cosa che sia pur piccola, simbolica? Potrebbe essere un segnale importante e sarebbe probabilmente un segnale di demarcazione molto forte tra destra e sinistra. Ultimo nodo: la previdenza. Se ci si viene a parlar di moneta perché ci parla di previdenza? Perché siamo nella moneta, saremo nella moneta, se non ci saremo a maggio di quest'anno ci saremo tra tre anni e noi abbiamo un sistema sociale la cui spesa è fortemente squilibrata dal lato della previdenza rispetto a tutta Europa. Questo lo ha detto la Commissione Onofri. Questo lo hanno detto tutti e lo diranno tutti. Mentre negli altri Paesi europei il 40% della spesa è in previdenza, in Italia va in previdenza il 65% della spesa. Quindi, bene o male, alla fine della storia si dovrà arrivare a modificare qualche cosa. Quello che non dico è un'altra cosa ancora più preoccupante: i contributi che si pagano per tenere in piedi il sistema previdenziale italiano sono in percentuale delle remunerazioni tra il doppio ed il quadruplo di quelli europei. Questo vuol dire che se paghi dei contributi molto più alti o si assottiglia la busta paga o si assottiglia l'occupazione, o si assottigliano tutte e due.
Quindi, bene o male, la moneta unica vorrà dire che ci dobbiamo dare qualcosa di differente. Ed anche qui c'è qualcosa in cui il sindacato può avere un ruolo importante proponendo soluzioni diverse da quelle che vengono proposte adesso. Adesso viene sostanzialmente proposto di accelerare i tempi della riforma Dini. Facendo questo il sistema resta a ripartizione e le prestazioni future (attenti che nessuno lo ha detto, ma lo hanno calcolato) si abbasseranno in gran parte in funzione della produzione e della demografia il che vorrà dire che se la mia pensione dopo 40 anni di contributi sarà equivalente al 75% del mio stipendio, essa dopo 40 anni di contributi sarà equivalente al 30% dello stipendio, in ragione del calo demografico. Bene o male questa cosa non funzionerà. Occorre quindi un'iniziativa forte. Non voglio entrare nei suoi aspetti tecnici, ma solo tratteggiarla. Perché non è l'Italia la prima dei Paesi dell'Unione Europea a proporre un sistema sostenibile? Può prendere quello svizzero e mutuarlo con quello di altri Paesi e può fare qualche cosa che abbia al tempo stesso un forte contenuto sociale ed un forte contenuto produttivistico. Ma ha solo un anno o un anno e mezzo di tempo e non di più per farlo. E vi dico perché: è una corsa contro il tempo la riforma del mercato del lavoro perché più tardi la facciamo più grave sarà il problema in termini di disoccupazione; è una corsa contro il tempo la riforma delle pensioni perché tra un anno, un anno e mezzo, il solo cespite che abbiamo per fare la transizione ce lo saremmo giocato. Il sistema alternativo quale è? Il sistema svizzero, ad esempio, prevede una pensione, uno "zoccolo duro" di pensione sociale, altamente redistributiva.
La cosa altamente redistributiva consiste nel fatto che questo "zoccolo duro" ha due componenti: una fissa ed una mobile; una in funzione delle retribuzioni e una fissa, uguale per tutti i cittadini della Confederazione. Ciò comporta che da questo "zoccolo duro", poi, ci sono dei tetti, ovviamente, sia alle retribuzioni che alle prestazioni. Da questo "zoccolo duro" chi in vita attiva è arrivato a guadagnare negli ultimi anni della sua vita 6 o 7 milioni al mese quando va in pensione prenderà al massimo un milione al mese; chi in vita attiva è arrivato a guadagnare lo stipendio del metalmeccanico di 1.300.000 lire al mese, quando va in pensione prenderà 1 milione al mese. Quindi è un sistema fortemente sociale, tenendo presente che chi in vita attiva guadagnava 6 o 7 milioni al mese forse ha potuto accantonare, si è comprata la casa. Poi ci sono i fondi pensione obbligatori, cioè si è obbligati a contribuire a dei fondi pensione. Si può scegliere: me ne vado da uno o da quell'altro. E c'è una obbligatorietà: tutti i lavoratori dipendenti che superano un determinato stipendio e tutti gli autonomi che vogliono avervi accesso devono contribuire ad alcuni fondi abbastanza grossi, abbastanza forti, per essere diversificati, per poter operare sul mercato mondiale con professionalità. Tenete presente che il BenchMark, cioè l'indice medio dei principali fondi pensione americani, negli ultimi 5 anni, si è collocato ad un rendimento dell' 11%, mentre i giornalisti italiani che protestavano per il cosiddetto "scippo" dell' INPGI, si devono accontentare di un rendimento del 2,5%. Le cifre sono queste. Per fare questo, però, occorre passare da un sistema all'altro. E qui rispondo alla domanda: perché adesso e non più?
Perché un passaggio da un sistema all'altro costa.
Si è passato da un sistema all'altro nei Paesi che lo hanno fatto dicendo ai cittadini: guardate che la vita è dura, ci sono sempre rischi; voi scegliete se rischiare l'insolvenza dell'INPS locale, o rischiare di entrare in questo nuovo sistema che però vi garantisce questo. Per fare questo però ci sono persone come me, come il Prof. Cosenza, che hanno contribuito per molti anni. Ci sono quei due ragazzi lì che non hanno contribuito e dovrebbero cominciare a contribuire. In Paesi con finanze pubbliche floride si possono riscattare i contributi. Io, ad esempio, vado all'INPS e dico di ridarmi quello che ho versato: mi danno la somma corrispondente e io la investo in una cosa nuova, ma però non si pagano le pensioni degli altri. Quindi il solo modo per farlo, e per questo il limite temporale è strettissimo, e per questo solo una proposta politica forte può realizzare la riforma ed agganciarla con le privatizzazioni. Ma tra un anno, un anno e mezzo, non ci saranno più privatizzazioni da fare. Avremo dato tutto a Cuccia non ci sarà rimasto nulla. Come si fa ad "agganciare" le privatizzazioni? E' già stato fatto. Lo hanno fatto in Bolivia, in Argentina, in Colombia. Come si fa? Io o il Prof. Cosenza decidiamo di andare nel sistema nuovo? Ci devono consentire di farlo. Ci danno dei Titoli di credito basati sulle azioni delle grandi imprese da privatizzare. Ce li danno in proporzione alla nostra età anagrafica.
Se io ho lavorato per tanti anni in un sistema e con le mie tasse ed i miei contributi ho pagato i disavanzi dell'IRI presieduta da Prodi, è giusto che mi venga data questa possibilità. Se comincio a lavorare adesso avrò pagato per poco tempo disavanzi, quindi mi daranno meno titoli. Questo comporterebbe anche il fatto di riuscire ad arrivare ad un'altra proposta forte: la partecipazione proprietaria dei lavoratori nelle aziende da privatizzare ed in questo modo si verrebbe a chiudere il cerchio. Mi rendo conto di aver parlato poco di moneta e molto più di altre cose. Questo perché il problema della moneta lo trovo in parte irreversibile e in parte irrilevante visto che siamo in un Paese in cui fatta la moneta unica, entrati se non adesso tra tre anni, siamo e saremo in Europa poiché abbiamo creato ed apparteniamo all'Europa tanto quanto, se non più degli altri. Saranno questi i problemi centrali che dovranno essere affrontati e saranno questi i problemi centrali che una forza politica che guarda all'avvenire con la consapevolezza della sua tradizione, della sua cultura, è qualificata, probabilmente meglio degli altri, a proporli sperando che, particolarmente adesso che il nuovo Regolamento della Camera consente il 20% del tempo al dibattito delle proposte dell'opposizione, si possa stanare l'avversario su quelli che sono alcuni aspetti fondanti dell'Italia in Europa e dell'Europa.