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 LE RAGIONI SOCIALI E STORICHE DELLA DESTRA    

Introduzione
Il pensiero politico nazionale della destra
La difesa del lavoro nel pensiero della destra
Il pensiero economico della destra tra socializzazione e liberismo
La destra tra monetarismo ed interesse nazionale
La destra italiana tra irredentismo ed europeismo
Le ragioni sociali dell'Europa
Nazionalismo e mondialismo nel pensiero politico di destra
Unione monetaria, globalizzazione e stato nazionale
Relazione di sintesi
Dibattito

 
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Relazione di sintesi

Relazione del Prof. Avv. Augusto Sinagra della facoltà di Economia dell'Università di Chieti - Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, Roma

Loro avranno osservato che non ho preso appunti nello svolgimento delle relazioni che sono state esposte dai relatori o che sono state lette per quanto riguarda i relatori che sono stati impediti ad essere presenti.
Non lo ho fatto non certo per una qual forma di ignavia; in realtà non lo ho fatto perché sarebbe stato ben difficile prendere degli appunti significativi dei contenuti complessi e importanti delle relazioni che sono state svolte; devo dire, infatti, e, non per rivolgere pubblici complimenti ai relatori, che in tali relazioni tutto in ogni loro passaggio e in ogni loro momento era importante
Fatta questa premessa che indico a titolo di giustificazione della sommarietà di questa mia relazione di sintesi, nutro la speranza che sia stata resa chiara la ragione per la quale questo Convegno, che è la risultanza di una intuizione e di uno sforzo comune con l'On. Anderson come con l'On. Mealli e con il Circolo Territoriale di Alleanza Nazionale “Tiburtino-Portonaccio” di cui è Presidente Mario Mariella, ed è il Circolo al quale sono iscritto, perché, dicevo, questo Convegno è stato intitolato alla memoria ed in restituzione di un debito morale che tutti dobbiamo alla figura di questo sindacalista rivoluzionario - Alceste De Ambris - così efficacemente ricordato dalle parole introduttive dell'On. Mealli questa mattina e dall'On. Cellai nel suo intervento.
Il nome di Alceste De Ambris la sua vita la sua azione sindacale, di sindacalismo rivoluzionario, il suo l'impegno sociale, ci fanno intendere ancora, in un'attualità che si rinnova a distanza ormai di circa 80 anni dall'impresa del Poeta Armato a Fiume, quale sia stato e ancora sia il messaggio che egli ci ha lasciato e che noi possiamo ricavare ancora oggi sul piano politico e sociale per la costruzione di una società migliore.
Penso che in questa prospettiva, nello spirito del sindacalista Alceste De Ambris, Capo di Gabinetto del Comandante di Fiume d'Italia abbiamo visto molti punti di convergenza nelle relazioni che abbiamo ascoltato; relazioni che non è certo possibile riassumere o ridurre ad unicum, non solamente per la loro complessità e per i diversi aspetti che affrontano, ma perché esse si risolvono, come si voleva che fosse in questo Convegno, nel confronto dei tanti modi diversi di avere un'idea della destra, che può essere destra liberale, che può essere destra a forte ispirazione cattolica che si ispira al magistero sociale della Chiesa: quel magistero, ed è stato anche ricordato, che ha pure dettato e detta i principi ineludibili del comportamento degli Stati e degli individui, e da ultimo nei discorsi del Pontefice in occasione della sua visita pastorale nella Cuba di Fidel Castro. C'è la poi destra nazionalista, e c'è la destra sociale, c'è la destra che è costola storica del socialismo. Ma i punti di convergenza che io vedo nel confronto e nelle proposte e nei diversi punti di vista che ci sono stati presentati quali sono? Innanzitutto la constatazione che quella destra alla quale personalmente ed orgogliosamente appartengo, non ha niente da rinnegare. Quello che dovevamo censurare lo abbiamo fatto. Lo abbiamo fatto con serena fermezza, lo abbiamo fatto con profonda consapevolezza, lo abbiamo fatto e non a Fiuggi; lo abbiamo fatto da sempre. In particolare mi riferisco a quella che è stata la pagina più vergognosa nella storia italiana di questo secolo e forse dei secoli passati, e cioè le leggi di discriminazione razziale che fu insulto intollerabile ai nostri concittadini di religione ebraica che hanno saputo servire lo Stato italiano con fedeltà, ai nostri concittadini di religione ebraica che, sono certo, rispetteranno e serviranno sempre lo Stato italiano al quale essi esclusivamente appartengono nei loro doveri e nei loro diritti.
Altro da rinnegare non credo che vi sia se non l'amor di Patria, ma questo non lo faremo mai perché mai rinnegheremo i nostri sentimenti e le nostre convinzioni.
Al di là dei falsi problemi che ci vengono posti, delle abiure che ci si vorrebbero imporre , degli esami ai quali ancora ci si vorrebbe sottoporre perché ancora oggi strumentalmente si vorrebbe emarginare e discriminare questa destra che ha forti radici nel passato, ma guarda risoluta al futuro, abbiamo molto da riflettere da quello che ci ha detto il Prof. Hernandez, il Prof. Cosenza, il Prof. Pennisi, il Sen. Toth, il Dr. Nobilia e tutti gli altri relatori ed intervenuti.
Al Senatore Toth vorrei dire subito che da quella mia Sicilia che è così lontana da Zara, ma è vicina al nostro cuore, vorrei esclamare come fece il Presidente Kennedy guardando al di là del Muro di Berlino: Sono zaratino anch'io!.
Venendo più specificatamente a ciò che oggi ci è stato esposto, viene da considerare che se promozione del lavoro e promozione dei lavoratori si è verificata in questo secolo essa va ascritta alle leggi fasciste, che nella rinnovata r rivoluzionaria concezione dello Stato, in questo seppero trasfondere i principi fondamentali del socialismo.
Se una concezione dell'economia, come diceva il Prof. Catello Cosenza, intesa come governo, come regola della casa, come predisposizione dei mezzi per il conseguimento degli obiettivi che la classe politica indica, questa concezione dell'economia presidiata da una forte tensione morale e spirituale, fu un'intuizione realizzata nell'arco di pochi anni, dal 1926 al grande conflitto mondiale.
Ne vediamo ancora oggi le tracce, non solamente normative, che varrebbero essere considerate dei residuati normativi e tali non sono, perché il Prof. Hernandez ci ha ricordato come tutte le relative disposizioni del Codice Civile del 1942 abbiano retto all'esame sempre severo della Corte Costituzionale.
Ma quelle ispirazioni e disposizioni le troviamo anche e ancora nella nostra Carta Costituzionale: la funzione sociale della proprietà, il ruolo dei sindacati, i contratti collettivi di lavoro, la partecipazione, la tutela del risparmio e tante altre ancora. Vedo riannodarsi un filo che si era spezzato e si era spezzato forse per colpa dello stesso fascismo, che tradì se stesso e che cercò, quando tragicamente era ormai tardi, di riannodare esso quel filo.
La storia, su questo, ci ha reso giustizia: quel filo è stato riannodato da altre mani; queste diverse mani ci hanno dato ragione: quell'intuizione, quelle scelte, quel metodo, quelle regole, erano dunque regole socialmente giuste.
Certamente, se si parla di sindacati è inevitabile considerare l'esattezza di quello che diceva il Prof. Hernandez circa la deformazione di quei principi. La classe politica di governo si rivolge ai sindacati quasi come per conseguire una seconda legittimazione, dopo quella che la sovranità popolare conferisce. Ma è anche vero quello che diceva il Segretario Generale dell'Unione Generale del Lavoro, Mauro Nobilia. Che il sindacato abbia svolto un ruolo che ad esso non appartiene probabilmente non è soltanto ascrivibile ad una attitudine espansionistica delle competenze e del ruolo del sindacato, che vadano oltre e fuori dalle funzioni proprie per il conseguimento degli obiettivi specifici dell'azione di tutela del lavoro dei lavoratori.
Ma cosa altro avrebbe dovuto fare un sindacato che non ha mai trovato un reale ed effettivo interlocutore politico? E' ciò che evidenziava stamani Mauro Nobilia. Cosa dovrebbe fare un sindacato che non può confrontarsi con un capitale che sia degno di questo nome. Diceva Mauro Nobilia che l'Italia ha un capitalismo d'accatto. Io non sono del tutto d'accordo su questo: direi piuttosto che in Italia c'è un capitalismo “accattone”. D'accatto significa che uno lo trova a quattro soldi ma il nostro è un capitalismo che cerca quattro soldi, e li cerca dallo Stato. E se non li cerca dallo Stato con la messa in cassa integrazione o attraverso lo strumento di più dirette e più o meno palesi sovvenzioni, questo capitalismo accattone va cercando qualcosa attraverso strumenti più raffinati e che maggiormente sollecitano l'attitudine egoistica e consumistica di ogni singolo cittadino: la “rottamazione” ne è un esempio emblematico.
Ho notato ancora, in ordine ad un particolare aspetto, una convergenza significativa delle diverse anime della destra e se, alla fine, ne volessimo trarre le risultanze conclusive in ordine a molti punti essenziali, potremmo dire che non ci sono diverse anime della destra, ma la destra è una sola, la sua anima è una sola.
Mi riferisco a quel profilo così bene esposto dal Prof. Cosenza: la partecipazione, il senso dell'appartenenza, il senso e il ruolo della famiglia.
Il Professore Cosenza mi offre l'occasione per sottolineare l'importanza delle cose da lui dette consegnandole alla riflessione degli amici e dei Camerati presenti. Se fosse qua presente uno del PDS direbbe “Compagni presenti” io rivendico il diritto di potermi rivolgere a chi lo gradisce, dicendo “Camerati”.
Si è, poi, molto parlato di cittadinanza. Cosa è, dunque, la cittadinanza? Una certificazione dell'anagrafe? Un requisito per conseguire la patente di guida? No. La cittadinanza è consapevolezza di appartenere ad un corpo sociale. E' consapevolezza di essere partecipi di un comune destino collettivo; partecipi di un comune passato. Un passato che nel bene o nel male, nella pace o nella guerra, ed anche nella guerra civile che abbiamo avuto, ci deve ora accomunare tutti e che maggiormente ci deve spingere a ricercare quelli che Violante ha chiamato “valori comuni”, finalmente vengono posti a base e fondamento dello Stato.
Ma senza condanne per nessuno e senza ancora subire la violenza storica e morale dei vincitori. Su questi presupposti può basarsi il senso profondo della partecipazione. Si è anche parlato degli spettri secessionisti che vengono agitati e ci si è anche interrogati oggi sul perché stupirsene. Non vorrei francamente dare importanza a quello strano personaggio che scende dalle valli bergamasche perché me ne sentirei mortificato solo a pronunciarne il nome, ma dobbiamo tuttavia chiederci il perché di certe spinte indubbiamente centrifughe del nord-est e quale senso di giustificazione si può dare a quelle genti? Sono genti italiane e il problema che esse sollevano e del quale esse si lamentano non è certamente solo economico a causa di uno Stato che non restituisce quanto riceve di imposte; il problema è diverso, è più complesso e di più alto livello: è la reazione a questo Stato che ci ha privato di una identità nazionale, ci ha privato di una ragione per essere italiani e della consapevolezza e responsabilità di fare parte di un solo popolo . E siamo un grande popolo. E' la reazione ad uno Stato che per 50 anni ci ha derubato della nostra dignità, ci ha derubato dei nostri sentimenti, della nostra dignità nazionale. E dico ancora e interrogo: questo è nazionalismo? Non lo so, ma se qualcuno lo pensa mi dia pure del nazionalista, non mi sposto più di tanto. Se il rivendicare giustizia sul piano della storia, sul piano culturale nel senso più impegnativo dell'espressione, se rivendicare quell'obbligo dello Stato di difendere i suoi cittadini che stanno al di la di una frontiera ingiusta, e se prendersi carico di quello che accadde dal 1943 al 1948, se tutto questo dovesse essere inteso come nazionalismo o irredentismo, datemi pure del nazionalista e dell'irredentista. Né l' uno né l'altro furono mai un delitto e non credo che, almeno nei termini che sono stati rappresentati dal Senatore Toth, non si possa non essere d'accordo, nel chiedere la restituzione di ciò che ci fu tolto. Ma questa distruzione della nostra dignità nazionale e dei nostri sentimenti nazionali a cosa ascriverla? A ragioni lontane ed a ragioni vicine e storicamente in senso relativo. Le ragioni lontane vanno cercate nell'idea devastante dell' internazionalismo proletario; le ragioni vicine, e che sono successive a quello che accadde fino agli anni '47 e '48 nelle Regioni italianissime dell'Istria, del Carnaro e della Dalmazia, sono di diverso segno. Il Partito Comunista Italiano non consentiva che di questo si fosse mai parlato. Questo ha contribuito alla distruzione della nostra identità e dignità nazionale. Ebbene, si può anche capire il Partito Comunista Italiano perché esso ha agito nella logica del complice. Il complice cerca di nascondere le tracce del delitto: il P.C.I. fu complice degli infoibatori slavo-comunisti. Ma di chi rappresentava le classi politiche liberali, quelle di ispirazione cattolica, ebbene, essi che cosa fecero? Nulla! Concorsero a quella distruzione attraverso la menzogna e la disinformazione, che così grande parte ebbero nel processo distruttivo della nostra identità nazionale.
Anche un uomo di sinistra come il Prof. Cecchini di Trieste ci parla di identità nazionale perché è un uomo onesto. Ma la nostra identità nazionale è stata distrutta ed a questa dobbiamo metter mano per la sua ricostruzione.
E' rimasto inascoltato il monito del Deputato dell' Assemblea Costituente, Benedetto Croce che, parlando contro la ratifica del Trattato di Pace, disse che ratificare il Trattato di Pace avrebbe significato “fiaccare la tempra nazionale”: “Le generazioni a venire potrebbero chiamarcene responsabili”; “Non siamo secondi nel volere e nel sentire a nessun popolo della Terra”. Occorre per riprendere un aspetto, che considero di grande importanza, evocato dal Senatore Toth, e che cioè queste tematiche, oggi, vengano riprese anche dalla sinistra e di queste tematiche la sinistra oggi renda tardiva testimonianza, anche fisica attraverso l'erezione di monumenti a memoria del sacrificio degli italiani dell'Istria, del Carnaro e della Dalmazia, non diventi il rituale “pagamento di un passaggio” per poi archiviare tutto nella filmoteca di Stato.
Questo non dovrà accadere, e anche su questi problemi noi chiediamo che vi sia partecipazione di tutti. Potrebbe essere anche questo un punto di convergenza per ricostruire la nostra identità nazionale nel rispetto reciproco delle opposte posizioni politiche. Se questo la sinistra non lo farà, e questo sarà ancora onere della destra, la destra continuerà a fare il suo dovere fino in fondo, come sempre. Ma sarà intollerabile che ancora si dovesse dire che la destra strumentalizza queste tematiche nonostante che da parte della sinistra continuasse il suo rifiuto di partecipazione alla ricostruzione della nostra momoria e dignità nazionale, in nome di un internazionalismo del quale la storia e la ragione hanno da tempo fatto giustizia.
Ancora un punto di convergenza trovo importante: la concezione del mercato e con tutto quello che ciò comporta in vista del nuovo sistema comunitario della moneta unica. Anche lì si scorge una convergenza tra le diverse rappresentazioni della destra che rendono giustizia di una forse inconsistente contrapposizione di posizioni anche all'interno di Alleanza Nazionale, tra destra cosiddetta liberale e destra cosiddetta sociale. In realtà se andiamo, a ben guardare e ci riconosciamo nelle cose dette dal Prof. Cosenza, e non vedo come non si potrebbe essere d'accordo con lui, ci rendiamo conto che il mercato e le libertà che sono espresse dal mercato non possono esser intese in senso illimitatamente incontrollato perché vi deve essere sempre il governo della politica che guida, che orienta, non a scopo repressivo o limitativo della libertà, ma proprio perché continui la pienezza delle libertà economiche e politiche.
In questa prospettiva io non vedo una diversità di posizioni, destra liberale o destra sociale. Si è molto parlato di problemi di moneta unica ed è questo un problema del quale molti parlano senza conoscerlo, secondo una attitudine particolare e non lodevole di molti.
Coloro conoscono il problema, devono porlo all'attenzione di chi ha responsabilità politiche, così come è stato evidenziato dai relatori che mi hanno preceduto: se il costo dell' ingresso e del permanere nel sistema comunitario della moneta unica porta, come è certo alle conseguenze chiaramente evidenziate dal Prof. Pennisi sulla base di una emergenza oggettiva di dati e proiezioni economiche, occorre chiedersi se tutto questo meriti il prezzo sociale che quelle conseguenze porteranno.
Provengo da una regione povera, con il 25% di disoccupati: chi e come riuscirà a spiegare al giovane disoccupato siciliano che ha buone previsioni di permanere in questa condizione di privazione del lavoro in conseguenza all'ingresso nel sistema della moneta unica che comporterà, poi, un ulteriore proseguire nel lungo tempo dei sacrifici e dei costi economici e sociali che essa comporta?
Certamente l'Europa, questa Europa, è nata in un modo e si è risolta oggi in una cosa diversa. Non è l' Europa politica e sociale di De Gasperi, di Shumann, di Adenauer; un' Europa che avesse saputo assumere il momento politico come governo comune di una coesione tra popoli e che avesse rispettato le singole identità nazionali.
Questa è l'Europa delle banche, è l'Europa dei banchieri, di quelli che il Poeta Armato nel discorso di promulgazione dello Statuto della Reggenza italiana del Carnaro chiamava i centri internazionali della finanza. Oggi sui giornali leggiamo di “mercati internazionali”. Essi non sono un'entità alla quale riferire responsabilità politiche e sociali; essi sono qualcosa di incontrollabile ed incombente, che limita le libertà degli individui e dei popoli. Il Prof. Cosenza per testimoniare con un esempio il senso di partecipazione alla cosa comune ed al dovere comune, ricordava che tale è anche il far la guardia ad un bidone. Cosa ci voleva dire? Ci voleva dire che anche da certa propaganda si poteva cogliere il senso profondo della verità.
Farò proprio il metodo esemplificativo del Prof. Cosenza e ricorderò l'antica canzone che diceva “contro l'oro c'è il sangue, e fa la storia”: testimonianza poeticamente bruciante dell'antica contrapposizione tra le ragioni della finanza e quelle del lavoro e della socialità.
Questa contrapposizione storica fu testimoniata dal Poeta Armato e da Alceste De Ambris quando nella “Lega di Fiume” vollero un faro di libertà per i popoli oppressi, dall'Irlanda all'Egitto, dalla Cina all'Occidente del Continente americano. Questo è il messaggio profondo che si deve ricavare dal ricordo e dall'insegnamento di Alceste De Ambris. Il senso dell'appartenenza, della partecipazione, della identità nazionale e della dignità. Uno scatto di orgoglio che ci faccia anche essere consapevoli di come 80 anni fa si riuscì a vedere con maggiore chiarezza di quanto oggi vediamo.
L'intuizione profonda che è emersa da molte relazioni è questa idea corporativa dell'organizzazione dello Stato, che non è lo Stato “corporato” di oggi, che si permea tuttavia della sua spiritualità: esattamente l'intuizione congiunta di Alceste De Ambris che si fermò alla nona corporazione nello Statuto del Carnaro e la mano felice del Poeta Armato che aggiunge una decima corporazione: una Musa.
Dunque, il senso profondo della spiritualità e della giustizia sociale, la partecipazione come consapevolezza dell'adempimento del proprio dovere prima ancora di rivendicare il benché minimo diritto. Questa è la mia destra. E se tutto questo significa essere fascista io posso solo dire come Primo de Rivera: “Y que?!”.