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 LIBRO  DENUNCIA:  LE  FOIBE    

Prefazione
Le foibe
Sentenza emessa dal tribunale di Roma sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale
Prologo
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Le foibe

Molteplici e diverse sono le drammatiche vicende legate a questo tema ancora oggi volutamente ignorato e dimenticato: si interviene, si parla, si denuncia su simili angosciosi argomenti, e giustamente.
Ma si sorvola ignobilmente sulle FOIBE, quantitativamente e qualitativamente la più grave aggressione che abbia mai colpito l'Italia, unita e non. Grave, non solo, per la mutilazione territoriale che ne è conseguita, per l'esodo di centinaia di migliaia di italiani d' Istria, Fiume e Dalmazia, per l'incredibile violenza etnica e politica esercitata dai comunisti slavi ma anche per le complicità che da parte italiana si sono verificate. E non ci riferiamo tanto ai partigiani italiani del P.C.I. che spesso e volentieri hanno collaborato con gli slavi a tutti i livelli, dalla base a Togliatti - per arrivare ai risultati di cui sopra ( con alcune storiche eccezioni, come lo sterminio del P.C.I. triestino da parte degli slavi perché si era opposto alla politica di Tito).
Ma vogliamo riferirci alle allucinanti complicità di tanta parte del mondo politico italiano, di ora e di allora, dal fatto che si è dovuto attendere il “Matto” Francesco Cossiga nel 1991 per vedere il primo Presidente della Repubblica Italiana - quasi cinquant'anni d' attesa - che abbia avuto, non il coraggio, ma la dignità di rendere omaggio alle vittime delle Foibe andando a pregare su quelle voragini che sono state la tomba di tanti innocenti. Fino a fatti molto meno noti, come l'ingente finanziamento dato dal Comitato di Liberazione “Alta Italia”, durante la resistenza, alle bande slavo/comuniste, già responsabili di orrendi massacri, e consegnato personalmente al rappresentante di Tito dall'industriale milanese Enrico Falck, poi divenuto deputato della D.C. . Un finanziamento a gruppi di assassini e carnefici già violentemente tesi alla conquista delle terre orientali della Venezia Giulia.
Ancora - ci mancano le parole , per descrivere in questa vicenda lo sdegno - alle pensioni concesse (ormai da cinquant'anni) ai partigiani slavi e anche italiani che hanno “combattuto” in quelle zone, responsabili riconosciuti di quegli errori eppure gratificati al punto di vitalizi.
Esempi probabilmente che è difficile ritrovare in altri popoli d' Europa e che talvolta fanno dubitare profondamente sulla consistenza morale e sulla dignità degli italiani e dei nostri rappresentanti.
Varie le ragioni e variamente intrecciantesi alla base: l'odio atavico e barbarico delle primitive popolazioni slave (che abbiamo rivisto riesplodere in occasione della guerra nell'ex Jugoslavia, con il consueto drammatico rituale delle fosse comuni, delle deportazioni, delle torture, dei campi di concentramento e che solo chi si ostina a voler ignorare può disconoscere che è una costante nella storia delle tribù slave) nei confronti degli italiani; la mitezza degli istriani, dei dalmati e dei Fiumani, altro fattore degli eccidi; gravissime le conseguenze del 25 luglio e dell'8 settembre, date a partire dalle quali si fece sempre più invadente prima la presenza delle truppe germaniche in vista dell'annessione della regione e contemporaneamente la pressione delle orde slave provenienti dall'interno, animate da un odio razziale ed ideologico senza precedenti.
Clamorosi furono gli esempi di abbandono e di fuga anche da parte delle alte gerarchie militari italiane: una per tutte, quella del generale di C.A. Alberto Ferrero, comandante del XXIII corpo di stanza a Trieste, che sparì nelle retrovie nella notte tra il 9 ed il 10 settembre, lasciando improvvisamente il suo posto, preso volontariamente dall'immediato sottoposto Generale Giovanni Esposito, Medaglia d'oro al Valor Militare.
E' evidente che gesti sia pure eccelsi come quest'ultimo non potevano coprire del tutto la latitanza delle altissime sfere militari, civili e politiche e contribuivano, nel clima da ultima spiaggia che si cominciava a creare in quelle zone ad ingigantire le mire tedesche e soprattutto slave.
Bande di predoni aizzati e guidati da una dirigenza politica come quella comunista, superstite alle purghe di quasi vent'anni di feroce stalinismo, ebbri di violenza, si lanciarono sulle pressoché inermi e pacifiche popolazioni della Dalmazia, con un unico scopo : sterminarle e prenderne il posto.
L'elemento italiano, che per secoli aveva costituito la classe dirigente di uomini di cultura, di proprietari terrieri, di nobili, di pescatori, che aveva costruito le città dalmate e tentato di convivere con l'elemento slavo che a partire dal IX/X° secolo aveva cominciato ad affacciarsi sull'adriatico doveva continuare ad essere spazzato via. E così fù, continuando un processo iniziato in pratica dall'impero austro-ungarico a metà del 1800 e che ha portato in un secolo al ritrarsi della presenza italiana in Dalmazia dalle Bocche di Cattaro a Trieste.
Un processo lungo un secolo, che dalla monarchia asburgica nell'ottocento appunto (chiusura dei giornali e delle scuole italiane, come a Zara; destituzione di Podestà eletti, come Bajamonti a Spalato; sostegno continuo all'elemento croato e sloveno) passò al trattato di Versailles del 1919 ( che negò l'assegnazione della Dalmazia all'Italia e soprattutto creò l'artificiale e mai esistito nella storia stato di Jugoslavia con il preciso scopo di bloccare un ipotetico espansionismo italiano nei Balcani, costringendo tra l'altro queste genti ad un innaturale convivenza, dopo secoli di stragi reciproche) e che culminò appunto nel 1943/45 con il più vergognoso e orribile episodio: le FOIBE.
Le Foibe sono delle cavità naturali che si aprono frequentissimamente nel Carso ed in Istria, costituite da fenditure del terreno di limitata ampiezza, ma con la caratteristica spesso di allargarsi in profondità, fino a raggiungere centinaia di metri di dislivello: queste, insieme con le vecchie cave rimaste dalla estrazione della bauxite, anch'esse diffusissime in Istria e sulla costa Dalmata, furono le tombe dove furono gettati a migliaia e migliaia gli italiani di quelle italianissime terre, 22.000 secondo le stime più ricorrenti.
Ma non solamente morti, anzi spesso e volentieri, nella cieca e bestiale furia slava, ancora vivi, spesso dopo aver subito selvagge torture, dall'evirazione per gli uomini alla violenza sessuale di massa per le donne, dall'estirpazione degli occhi alle più disparate forme di brutalità e sevizie.
Sole o legate in coppia (un morto con uno vivo) o a gruppi legati con fil di ferro o filo spinato ai polsi fino a spezzare le ossa, spesso uccidendo solo il primo della fila, che con il suo peso a catena trascinava gli altri nell'abisso, o a gruppi familiari, padri e madri con i loro figli.
Ogni forma di possibile orrore fu escogitata dagli aguzzini sloveni e croati, a cui il comunismo più brutale dava l'odio necessario a trasformarsi in persecutori di innocenti.
Un popolo intero che aveva gettato il seme della civiltà su terre bellissime quando agli albori del Medioevo le trovò libere e spopolate, che aveva ospitato i nuovi venuti slavi proiettati dalle profondità dell'Asia sino alle coste del Mediterraneo, fu cancellato da paesi, città, villaggi, inseguito ed ucciso casa per casa, fattoria per fattoria, strada per strada.
Molto spesso simile la tecnica dei massacri: ogni qualvolta, dalle città più note agli sperduti villaggi delle montagne, le bande di Tito riuscivano a penetrare nella cinta abitata - e sempre più diffusamente quanto più veniva ad infuriare e volgere a termine la guerra in Italia, con il collasso dell'Esercito Italiano dopo l' 8 settembre, con il ritiro progressivo delle forze armate germaniche verso il nord - si ripeteva lo stesso copione. Gli aguzzini che sciamavano casa per casa, arrestando chiunque avesse la “colpa” di essere italiano, non solo se rappresentante di organizzazioni politiche fasciste o rappresentante dello stato (finanzieri, impiegati, carabinieri, militari o esponenti di livello della comunità italiana) ma arrivando fino alle deportazioni indiscriminate.
Dopo sommari quanto inumani processi a base di insulti, botte, torture con il commissario politico comunista in testa, avveniva o la fucilazione, ma molto più spesso la marcia forzata notturna verso l'abisso nel quale venivano precipitati spesso insieme ad antifascisti, addirittura in qualche caso con i comunisti italiani della zona.
Pietose esumazioni nelle pause della guerra (se la zona veniva rioccupata dai tedeschi o dalle truppe italiane) e ancora di più nel dopoguerra hanno messo -dopo una estrazione a 100/200 metri di profondità - alla luce del sole quegli ammassi di poveri corpi in putrefazione, talora abbracciati ed avvinghiati, spessissime volte con orrende mutilazioni, con le occhiaie vuote o i genitali asportati, con ferite multiple legati tra di loro con filo di ferro e filo spinato, senza distinzione se uomini o donne, se anziani o bambini, una mattanza senza eguali di cui si potrebbero raccontare centinaia di casi e di testimonianze.
Esumazioni e scavi spesso fatti in zone sotto controllo slavo da vigili e da parenti terrorizzati, sotto gli insulti, le provocazioni e le minacce di fare la stessa fine; in condizioni di pericolo di crolli, calpestando al buio delle cavità naturali i pietosi resti di quel carnaio puteolente.
La ferocia slava ebbe delle tappe ben precise : la prima dall' 8 settembre 1943 all'ottobre delle stesso anno. Dallo sfaldamento dell'Esercito italiano al dispiegamento delle forze germaniche in Istria e Dalmazia vi fù un breve intervallo di anarchia che scatenò la furia delle bande titine. Ma il vero culmine avvenne nei primi mesi dell'anno 1945, con il precipitare della situazione. Fu in questo ultimo periodo che avvenne il Martirio di Norma Cossetto, una giovane di Santa Domenica, che aveva compiuto gli studi a Parenzo.
Nell'estate di quell'anno, si era attardata nei paesi della zona per una ricerca sulla tesi di laurea “Antichi Comuni dell'Istria” e non aveva potuto seguire la famiglia in fuga. Catturata, fu portata davanti al “ tribunale” del Boia Paizan e sottoposta a una umiliante serie di sberleffi, di insulti , fino alle immancabili violenze sessuali. Alla fine, ormai ridotta ad uno straccio, fu condannata a morte e scortata da 16 banditi verso la foiba: lungo la strada la legarono ad un albero, dove fu nuovamente violentata da tutti gli slavi ed infine, prima della fucilazione, le fu inflitto l'estremo barbaro oltraggio, il taglio delle mammelle.
A raccontare questo, come tanti altri episodi delle violenze slavo/comuniste nelle terre orientali c'è veramente da chiedersi come si possa appartenere al genere umano.
Il corpo di Norma, fù ritrovato, dopo febbrili ricerche del padre distrutto dal dolore, con un pezzo di legno nei genitali. Il padre ed un amico di questi, non le sopravvissero, perché uccisi lungo la strada di ritorno da un cecchino.
La triste storia delle Foibe, è piena di testimonianze di episodi come questo.
Non c' è da meravigliarsi del terrore che invase le comunità istriane e dalmate, della massa di profughi che con ogni mezzo possibile ed immaginabile abbandonò le valli e coste da quegli anni in poi.
Fino al 1947 quando la firma di un trattato di pace che ingiustamente toglieva queste terre all'Italia, tolse le residue speranze alle nostre comunità: allora, coralmente, si vide un popolo prendere le proprie cose, e a bordo di carrette, treni , di navi, inseguito dagli ultimi spari dei “ graniciari” titini e dai loro laidi insulti abbandonare la propria Patria e cercare rifugio in Italia.
Preferirono lasciare la casa dei padri, la terra che li aveva visti nascere, il mare che li aveva bagnati pur di non sottostare agli slavi. E fu l'esodo di 350.000 Giuliani, Dalmati, Istriani verso i campi profughi, verso una Madrepatria matrigna, che li accolse ai porti di Venezia, di Ancona, del litorale Adriatico con le bande di idioti comunisti nostrani che li insultavano e sputavano loro addosso. Per poi abbandonarli a loro stessi nei campi profughi sparsi per ogni dove, perché il governo italiano di allora riteneva che, se fossero rimasti uniti o in vicinanza del confine, avrebbero potuto costituire un pericolo!
Fanno impressione quelle sbiadite foto in bianco e nero che vedono povera gente spingere , tra la neve, le carrette con i figli e le povere cose rimaste verso le navi ferme alle banchine.
Molto spesso poi, l'Italia alla fine fu solo una tappa, verso le Americhe, l' Australia, dove dimenticare l'Istria, la Dalmazia e l'Italia insieme. Una Patria che li aveva sostanzialmente abbandonati con il governo ufficiale che aveva avallato il diktat degli Alleati; traditi e svenduti con il ruolo ormai da tempo riconosciuto del P:C:I: e di Togliatti nelle trame per la cessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia; gettati ignorati nei campi; dimenticati dalle Autorità ufficiali. Un esempio per tutti, nella cinquantennale dimenticanza del Martirio delle Foibe: quello del Presidente Pertini, che andò fino a Belgrado per onorare la salma di Tito alla sua morte, ma non volle mai passare per gettare un fiore sulle tombe degli infoibati.
Una infame vergogna.

Questa è l'Italia che ci ha rappresentato per cinquant'anni, quella stessa che oggi cerca di far dimenticare il processo ai boia Motika e Piskulic.

NON PERMETTIAMOLO !



 

mappa dei luoghi
superstiti nel riconoscimento delle vittime
Norma Cossetto