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 ETTORE  MUTI     

di Enrico Mancini

 
“Muti è sempre una minaccia. Il successo è solo possibile con un meticoloso lavoro di preparazione, Vostra Eccellenza mi ha perfettamente compreso.”

Badoglio

 

Prefazione
I primi anni - In fuga verso il fronte
La questione di Fiume
La guerra d'Etiopia
Legionario di Spagna
Dalla segreteria del P.N.F. ai primi anni di guerra
Verso la fine - parte I
Verso la fine - parte II

 
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Verso la fine - parte I

Nel mese di luglio si trovava a Madrid. Qui, sicuramente apprese qualche notizia sulle future sorti dell'Italia. La più alta decorazione al valor militare della Spagna di cui era fregiato gli permetteva l'accesso in qualsiasi alto ufficio. Ed un personaggio della sua stoffa non poteva certo restare indifferente davanti a notizie negative.
Il 25 luglio era di nuovo a Roma. Sconvolto da una parte per l'arresto di Mussolini, dall'altra le parole del governo Badoglio “la guerra continua…l'Italia tiene fede alla parola data…” lo tranquillizzavano. Il giorno dopo, in reazione a quanto accaduto, sedette in divisa al caffè Rosati in via Veneto. Fuori i primi tumulti contro gerarchi fascisti che, quando non venivano arrestati, erano malmenati. Nessuno ebbe mai il coraggio di agire contro di lui.
Pochi giorni dopo, attraversando piazza Barberini, veniva riconosciuto ed attorniato, ma non con cattive intenzioni. La folla gridava: “Muti! Muti!”. Era ancora un eroe nazionale amato dal popolo.
Si sa per certo che avesse capito quali sarebbero state le sorti della guerra, ma da soldato si sarebbe battuto fino all'ultimo con onore.
Alla fine di luglio viene inviato nuovamente in Spagna, forse per allontanarlo dall'Italia. E' un periodo di cui non si sa nulla, ma molto importante, perché immediatamente successivo al viaggio del generale Castellano, inviato in terra spagnola per preparare la disastrosa resa. Badoglio inoltre, temeva che Muti fosse venuto a conoscenza di qualcosa di grosso, date le conoscenze ed il prestigio di cui godeva in Spagna. E l'estrema tranquillità con cui conduceva la sua vita intimorì Badoglio a tal punto da far nascere la necessità di toglierlo di mezzo. L'incontro di Muti con Aimone d'Aosta ai primi di agosto non poté che rinforzare i sospetti di Badoglio.
    Il vecchio Maresciallo, viveva in preda al terrore e ogni mattina, infatti, allorché il generale Carboni, quale Commissario del SIM, si recava a rapporto, capitava che talvolta vi si recasse anche due volte nella stessa giornata, Badoglio tirava un lungo sospiro, scrollava la testa e ripeteva la solita litania: “Anche stanotte, i tedeschi non mi hanno prelevato!”. Faceva una pausa e aggiungeva: “Ecco in che pasticcio mi ha messo il Re!”. In altre parole, pavido e incapace di dominare la situazione che giorno dopo giorno gli sfuggiva di mano, era più preoccupato della propria sorte che di quella del Paese che s'avviava allo sfascio. Del resto, come si comportò durante l 'ultimo, drammatico Consiglio della Corona che si tenne al Quirinale, prima della precipitosa partenza per Pescara e nel castello di Crecchio, in attesa dell'imbarco sulla corvetta “Baionetta”? In proposito, esistono due testimonianze ineccepibili, una è del generale Luigi Marchesi, a quell'epoca giovane maggiore addetto al capo di S.M. generale Vittorio Ambrosio e l'altra è del generale Paolo Puntoni che, in veste di primo aiutante di campo generale, era, diciamo così, l'ombra di Vittorio Emanuele III.
Da entrambe le dichiarazioni si ricava un quadro desolante, sia morale che intellettuale, fornito da individui che pur investiti di altissima autorità si dimostrarono incapaci di fronteggiare gli eventi, dotati di discutibile amor patrio e pronti a qualsiasi compromesso pur di salvare i propri averi e la propria pelle. Sebbene di grado piuttosto modesto rispetto a quello di vari partecipanti al consiglio, (c'erano infatti, attorno a un tavolo ovale, il Re, Badoglio, Carboni, Ambrosio, l'ammiraglio De Courten, Guariglia e alcuni altri ministri), Marchesi che conosceva a menadito i retroscena delle trattative per l'armistizio, prese la parola e manifestò il proprio disappunto allorché Badoglio e Carboni, per timore delle reazioni germaniche, si opposero al lancio di paracadutisti USA su Roma e al contemporaneo atterraggio, sui campi attorno all'Urbe, della 82a divisione avio-trasportata americana. Il perché del rifiuto, Marchesi lo spiega con una battuta tagliente: “Paura, una forsennata paura fisica dei tedeschi. Badoglio, era in preda al panico. . .”.
    A Crecchio, secondo il racconto di Puntoni, successe lo stesso. “Mentre il Re è assolutamente tranquillo - annotò nel suo diario il generale - Badoglio appare distrutto... È pallido, preoccupato e ossessionato dal terrore, che del resto manifesta palesemente, di cadere nelle mani dei tedeschi. La frase che ripete sovente è “Se ci prendono, ci tagliano la testa a tutti...”
Alla paura di finire in mani ai tedeschi, Badoglio univa un timore, altrettanto evidente e dichiarato, che elementi di spicco del passato Regime, d'accordo con l'alleato germanico, potessero provocare sommosse o inscenare un colpo di Stato con conseguenze, soprattutto per lui, facili da intuire. Muti, di cui il Maresciallo conosceva la fedeltà a Mussolini, anche se in più circostanze ne aveva criticato le direttive di guerra, era uno dei più “indiziati” e, come tale, di continuo nel suo mirino.
    “Non appena venni nominato commissario del SIM - mi raccontò Carboni in occasione di un nostro incontro - il Maresciallo mi chiamò e mi impartì direttive particolari per la sorveglianza di Muti.”  "È un tipo pericolosissimo - mi disse - e va tenuto d'occhio notte e giorno. Attento, però, a farlo con discrezione; il tipo è violento e non so come potrebbe reagire. Non voglio scandali... Controllarlo, sorvegliarlo.
A rendere più difficile l'operazione contribuiva anche il fatto che dopo il ritorno in Patria, nel 1943, Muti era stato arruolato dai servizi segreti che dipendevano da Roatta...”, che era a conoscenza dell'eventualità di un armistizio con gli angloamericani all'insaputa dei tedeschi.
    Prima, comunque, di ordinarne l'arresto, Badoglio cercò di ingraziarselo, nella speranza che, in caso di bisogno, avrebbe potuto usarlo come “alibi” con i tedeschi. Si dice che un giorno il Maresciallo chiamò il Questore Benedetto Norcia, che sapeva amico di Muti, e lo pregò di invitare al Viminale l'ex Segretario del Partito. Norcia si mise in contatto con l'amico, lo condusse da Senise e questi, a sua volta, lo portò da Badoglio. Fu un colloquio "cordialissimo", durante il quale sia il capo del Governo che l'astuto Senise si dichiararono preoccupati per la sua incolumità, dato, dissero a una voce, che c'erano in giro molti sovversivi. "Se possiamo darle un consiglio" - intervenne anzi il numero uno della Polizia mentre Badoglio ne confermava le parole con vistosi cenni del capo " lasci la casa di Roma e si ritiri a Fregene; starà più tranquillo, là nessuno la potrà disturbare, nè gli antifascisti più scalmanati, nè la pubblica sicurezza...". Con la tipica ingenuità dell'eroe, Muti seguì il consiglio del Capo del Governo, che ritenne dettato da sincera amicizia, e non lo sfiorò neppure l'idea che i due avessero agito in quel modo per tenerlo con più facilità sotto controllo. D'altronde, come poteva supporre che stessero preparandogli una trappola mortale, quando nessuno s'era preoccupato di ritirargli il passaporto con il quale, nella seconda decade d'agosto, si era recato in Spagna?
Quel viaggio, invece, segnò il suo destino. A Madrid, infatti, attraverso contatti con personalità conosciute durante la guerra civile, Muti venne a sapere che erano già iniziate le trattative con emissari angloamericani per l'armistizio e ne rimase sconvolto. Tornò a Roma indignato; confidò agli amici quanto aveva saputo e si scagliò contro Badoglio con parole di fuoco. Le sue escandescenze vennero riferite al Capo del Governo da informatori della Polizia e da agenti del SIM e Badoglio, che già era in preda allo sgomento, nel timore che Muti, per tentare la liberazione di Mussolini, prendesse contatto con i tedeschi e li avvertisse delle trattative in corso con gli alleati, decise di accelerare i tempi e, per l'esecuzione del suo piano, convocò Carboni.
Il 18 o 19 agosto Badoglio manda a chiamare Muti non come altre volte per consigliargli di stare a Fregene dove non sarebbe stato disturbato, ma per dargli l'incarico di recarsi presso la divisione corazzata di Camicie Nere, accampata nei pressi di Roma, per convincerne gli ufficiali a togliere la M rossa dalle loro mostrine. L'eroe che sempre ha offerto la propria vita alla Patria, il fascista che da gregario come da segretario del partito è stato sempre d'esempio a tutti, non accetta di colpire la dignità, la fedeltà e la forza di cui le Camicie Nere stanno dando prova.
Il 20 agosto Badoglio scrive a Senise, capo della polizia: “Muti è sempre una minaccia. Il successo è solo possibile con un meticoloso lavoro di preparazione, Vostra Eccellenza mi ha perfettamente compreso”.
    “Badoglio - fu il racconto di Carboni - mi chiamò il 21 agosto e mi ordinò, perentoriamente, di far arrestare Muti. Motivo: spionaggio e complotto contro lo Stato. "A compiere l'arresto - disse - devono essere i Carabinieri perché soltanto di loro posso fidarmi..." io, a mia volta, convocai nel mio ufficio il Comandante dell'Arma, generale Angelo Cerica, e insieme studiammo le modalità della faccenda, considerandone le numerose difficoltà. Avevo appena finito il colloquio con Cerica, che mi chiamarono di nuovo al Viminale. Trovai il Capo del Governo in preda e una crisi di ... incertezza. Volle sapere, in dettaglio, gli accordi presi con Cerica, poi, all'improvviso, si alzò dalla poltrona e disse: "Non ancora. Voglio ripensarci. L'arresto di Muti potrebbe affrettare l'azione dei tedeschi, oppure Muti potrebbe riuscire a farla franca e allora succederebbe uno scandalo. Altra cosa, se l'arrestiamo, dove lo nascondiamo?" Camminava su e giù per la stanza, avvilito e depresso come non lo avevo mai visto. "Tanto" - disse a un tratto socchiudendo gli occhi - "io finirò ammazzato dai tedeschi...".
    Domandai: “Ha notizie, Eccellenza, di novità nei rapporti Kesselring-Muti?”
    Badoglio scrollò il capo. "Allora" - dissi - "soprassediamo di qualche giorno...". Neppure due giorni dopo, il Maresciallo mi richiamò. "Non si può più aspettare" - disse - "se non lo arrestiamo subito, quello ci fa la pelle a tutti. Mi ripeta il piano...". Mentre gli esponevo quanto avevo concordato con Cerica, m'interruppe e disse: "E se si difende? Cosa facciamo, se si difende?"
    “Il comandante dei Carabinieri è persona fidata” – risposi- “ed è sicuro dei suoi uomini...”.
“Bene, bene” - ribatté Badoglio - “a che ora sarà fatto?”.
“In piena notte” - dissi io. Il Maresciallo mi congedò ripetendomi più volte: “Mi raccomando. Mi raccomando. Se Muti ci scappa è finita per tutti...”.
L'incarico di eseguire l'operazione, venne affidato al capitano Vigneti, un esperto, diciamo così, di faccende del genere, poiché un mese prima aveva partecipato all'arresto di Mussolini a Villa Savoia. Stranamente, però, l'ufficiale si dichiarò indisponibile e passò l'ordine a un suo solerte dipendente, il tenente Ezio Taddei, il quale lo eseguì con particolare zelo.