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 I  PERSONAGGI  DELLA  NOSTRA  STORIA    

La Camera dei Deputati ha approvato una legge che istituisce l'onoreficenza dell'ordine tricolore, beneficiari di quest'attestato saranno i militari, partigiani, gappisti, ex prigionieri che combatterono per l'Italia.

SONO ESCLUSI I COMBATTENTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA.

Gli unici che conbatterono per salvare l'onore di un paese che mai ha saputo portare a termine una guerra a fianco dello stesso alleato.
A loro è dedicata questa Collana, affinché i giovani sappiano ciò che non è scritto sui libri ufficiali di storia, affiché, forse un domani, possa essere riconosciuto da tutti il "valore" della scelta di chi sapeva di andare a perdere la guerra, ma sicuramente non l'onore!

A tutti i militari e alle ausiliarie che combatterono per l'onore d'Italia vada questo nostro riconoscimento.

Mario Mariella

 

...la resa dell'Italia fu uno sporco affare. Tutte le nazione elencano nella loro storia guerre vinte e guerre perse, ma l'Italia è la sola ad aver perduto questa guerra con disonore, salvato solo in parte dal sacrificio dei combattenti della RSI...

(da "Diario di Guerra" di Eisenhower, Comandante supremo delle Forze U.S.A. nello scacchiere europeo)

 


 


 ETTORE  MUTI     

di Enrico Mancini

 
Prefazione
I primi anni - In fuga verso il fronte
La questione di Fiume
La guerra d'Etiopia
Legionario di Spagna
Dalla segreteria del P.N.F. ai primi anni di guerra
Verso la fine - parte I
Verso la fine - parte II

 
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Prefazione

del Avv. Alfonso Colarusso
 

La figura eroica di Ettore Muti assume, per chi come me all'epoca del fascismo non era ancora nato, un'importanza particolare perché di fronte alle falsità storiche che quotidianamente vengono raccontate nelle scuole e sui libri di testo, ci permette di capire lo spirito e l'animo di un uomo che ha rappresentato e rappresenta tutto un mondo, un'ideologia, un modo di essere e di intendere la vita che è stato negato alle generazioni del dopoguerra.
Ettore Muti non è solo un eroe di guerra, egli rappresenta la sintesi perfetta dell'uomo fascista, un concentrato di spiritualismo, futurismo, europeismo dove l'azione umana non è mai fine a se stessa perché rappresenta il mezzo per poter raggiungere gli scopi prefissati.
Nel caso di Muti questi scopi erano la grandezza della sua nazione: "l'Italia"; erano la riconquista di quella dignità di uomini di cui gli italiani, dopo la prima guerra mondiale e nonostante la vittoria, si sentirono defraudati con gli accordi politici presi a tavolino tra i vincitori ed i vinti.
Quella dignità calpestata nel vedere i reduci addirittura derisi e beffeggiati dai militanti della sinistra socialista e marxista che, dichiarandosi pacifisti, avevano mandato a morire altri loro fratelli. Ed ecco l'eroe Muti che partecipa all'impresa di Fiume per riconquistare la città persa dopo al vittoria del Piave.
La partecipazione alla guerra di Spagna assume per lui delle valenze e delle motivazioni particolari in quanto consapevole fin dall'inizio che gli effetti di quel conflitto avrebbero oltrepassato i Pirenei, determinando le scelte strategiche delle altre nazioni europee nell'imminente II° conflitto mondiale.
La vittoria del Gen. Franco per Muti, come per tutti gli Italiani che andarono a combattere in terra di Spagna, era la vittoria di tutto un mondo di valori che si contrapponeva alla logica materialistica e massificatrice del marxismo o a quella utilitaristica e feudale del liberal-capitalismo, per costruire un'Europa libera da quelle ideologie, dove la ricchezza della nazione non scaturiva dalla lotta di classe o dalla vittoria di un sistema sull'altro, ma dall'unione dei popoli e delle forze della produzione.
Muti era cosciente di ciò e dell'importanza di quella vittoria. Forse aveva già il sentore che tutte quelle nazioni che nel mondo avevano costruito sistemi fondati da una parte o dall'altra sulla lotta di classe, si sarebbero unite contro quei paesi come l'Italia, la Germania, la Spagna, il Giappone che portavano con sé l'idea di uno Stato nuovo: lo Stato fascista.
E' forse per questo e sulla spinta di traguardi così ambiziosi e belli che Muti, proprio nella terra di Spagna, portò a termine l'azione che gli meritò la medaglia d'oro al valor militare.
Per il suo spirito fascista e per la sua volontà ferma di dimostrare al mondo intero la grandezza ed il valore degli Italiani che cominciò ad essere ritenuto pericoloso da personaggi come Badoglio che da lì a poco avrebbero tradito e ammazzato per poi fuggire, riportando l'Italia a livelli tanto bassi e moralmente deprecabili, da spingere i tedeschi a non avere indugi nel fare del nostro territorio la terra di nessuno e del popolo italiano un popolo di traditori.
La dignità di popolo che Muti aveva contribuito a determinare con le sue azioni e le sue gesta, quella stessa dignità, gli Italiani l'avrebbero persa all'indomani dell'8 settembre quando, dopo aver tradito gli alleati, aiutarono il nemico mentre bombardava le nostre città ammazzando i civili inermi.
Muti quest'ultima scelta non ha potuto farla, ma sappiamo quale sarebbe stata.
Mussolini ebbe la notizia del suo assassinio mentre si trovava agli arresti presso la "Villetta" ai piedi del Gran Sasso dove passò alcuni giorni di prigionia prima di salire a Campo Imperatore e racconta: "Una mattina, un agente dell'Ispettorato di Trieste, che portava a spasso i sei cani lupo, avvicinatosi disse: " Duce, io sono fascista della marca trevigiana. Sapete che cosa hanno fatto ieri a Roma? Hanno ucciso Muti. Sono stati i carabinieri." E si allontanò.
Ma perché uccidere Muti?
Badoglio e compagni avevano fino ad allora cercato di dare una veste libertaria al tradimento, gridando "onestà e purezza" mentre sottoponevano allo stato d'assedio la nazione e gettavano fango sugli uomini del fascismo.
Muti era l'unico che non era possibile infangare perché nessuno gli avrebbe creduto e quindi è stato ucciso esclusivamente perché egli era in quel momento, per il suo passato di combattente e per l'impeccabile figura morale, un "pericoloso" esponente del fascismo.
Era quindi facile prevedere che a lui avrebbero finito per rivolgersi coloro che, usciti dal colpo di Stato smarriti e attoniti, erano alla ricerca di un solido valore umano a cui aggrapparsi.
Chi ha ucciso Muti insomma credeva che senza di lui e con Mussolini arrestato, il fascismo non sarebbe più rinato. L'assassinio di Muti prelude quindi all'assassinio dell'Italia.
Il motivo stesso per cui un gruppo di carabinieri prelevò Muti dalla sua casa e dopo aver inscenato una lurida commedia nel bosco lo freddò alla schiena, assume un preciso valore simbolico. In lui i nemici vollero identificare l'autentico fascismo, quello operante, semplice, degli uomini d'azione, delle colonne della marcia su Roma, dei legionari d'Africa e di Spagna, dei volontari di guerra. Il fascismo che, meglio e più facilmente, si identifica con l'Italia.
Oggi possiamo affermare senza paura di essere smentiti che la rinascita spirituale del fascismo ha una data: il 24 agosto.
Con la Morte di Ettore Muti i disorientati ritrovarono la loro strada, i dubbiosi furono costretti a scegliere, gli onesti a meditare, i coraggiosi si prepararono ad agire. Dal fremito dell'indignazione prodotto dall'assassinio nacque negli italiani onesti la volontà di ribellarsi, il bisogno inconscio di seguire i dettami del dovere e dell'onore che li avrebbe portati ad arruolarsi nell'esercito della Repubblica Sociale piuttosto che quelli dell'opportunismo che portò i più degenerati ad aiutare gli americani invasori.
Per questo gli esecutori materiali dell'omicidio operarono invano, perché il nome di Muti fu scritto su tutte le bandiere e sui gagliardetti.
Era il suo spirito che trionfava dopo la morte come sulla morte aveva trionfato il suo corpo.
 

Avv. Alfonso Colarusso
 

Il primo caduto della guerra civile, 24 agosto 1943

23 agosto 1943, poco prima della mezzanotte. Una piccola colonna di automezzi dei Reali Carabinieri parte dall'autocentro del Ministero degli Interni: un'autovettura, un autocarro, un'ambulanza. A bordo un tenente dell'Arma, un maresciallo in borghese, un uomo in tuta kaki e una dozzina di carabinieri armati di moschetto. Percorrono la via Aurelia, raggiungono Maccarese. Nella periferia della cittadina lasciano l'ambulanza e sostano alla locale stazione dei carabinieri. Viene svegliato il maresciallo che la comanda, al quale il tenente chiede due militi perché facciano da guida alla comitiva fino a Fregene. La colonna riparte silenziosa, attraversa la campagna e si ferma davanti alla piccola caserma dei carabinieri di Fregene. Dopo aver imbarcato il brigadiere che la comanda, autovettura ed autocarro proseguono per la strada sterrata che conduce alla pineta di Fregene, ai cui margini sorge, piuttosto isolata, una bassa villetta ad un piano. Da qui viene prelevato un colonnello della Regia Aeronautica. Il gruppo si dirige verso la pineta invece che verso gli automezzi. In testa due carabinieri, poi il colonnello affiancato da un carabiniere e dal maresciallo, subito dopo l'uomo in tuta kaki; in coda, il tenente con gli altri carabinieri. Circa dieci minuti di marcia: un fischio, un altro, un urlo: “Ma insomma, che fate? Sono o no con degli Italiani?”. Colpi d'arma da fuoco, due bombe a mano. Silenzio. A terra, morto, il colonnello della Regia Aeronautica. Tutti gli altri, illesi. 24 agosto 1943, poco dopo la mezzanotte.