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LE BARACCOPOLI

da "Addio, Gibellina" di Leonardo Cangelosi (1977)

Sorgono le baraccopoli. L'I.R.l. dona le prime baracche che vengono destinate e montate a "Madonna delle Grazie"; la Croce Rossa Austriaca dona un altro villaggio che sorge a "Rampinzeri". Poi, le baracche Canadesi, Cantù, Keller, Pasotti completano i due villaggi. Due villaggi uniti da una strada di nove chilometri con cinquantacinque curve e periodiche frane e smottamenti. Quanto costa allo Stato una baracca con quattro locali e due piccoli servizi? Quanto un elegante appartamento residenziale in città! Poi, ancora con sterramenti e muraglioni a non finire continua lo spreco inconsulto ed incontrollato. Comincia il riflusso. Dall'alloggio d'emergenza nei plessi scolastici, nel magazzini, in ex conventi e, in piccola parte, in alberghi ed in case di affitto di tutta la provincia'. La gente rientra ed occupa i cosiddetti alloggi provvisori: le baracche. Si distribuiscono sedie, tavoli, letti, terraglie, coperte, lenzuola, scarpe, vestiario e si mette su casa alla meno peggio. Continua l'assistenza in denaro ed in natura fra una confusione generale e nella più completa disorganizzazione. Tutti hanno avuto la prova che dappertutto si specula e si rubacchia. E perchè loro no? Ogni mattina la gente esce di casa e va, come all'assalto, presso i centri di distribuzione del posto. Torna sempre con qualcosa, non interessa se necessaria o superflua: capita anche di portare a casa un occhio pesto od un bernoccolo in testa.

Quando alla fine si esaurisce ogni forma di assistenza e di gratuita distribuzione, arriva il momento di un provvisorio consuntivo. Allora è chiaro a tutti che non c'è affatto rapporto fra le poche cianfrusaglie che ciascuno ha potuto racimolare, rischiando anche la vita, e le imponenti somme e le quantità enormi di materiale inviate da tutte le parti del mondo che la stampa ed i mezzi di informazione continuano ad elencare e comunicare e che evidentemente hanno preso le direzioni più diverse e sono andati a finire dappertutto, tranne che nelle mani dei legittimi destinatari.

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VITA IN BARACCA

Le baracche, questi alloggi provvisori, il cui uso era previsto per tre anni al massimo, sono da ben dieci anni le nostre tane. Abbiamo rattoppato, modificato, rinforzato, allargato, riparato un pò tutto ma non è cambiato sostanzialmente niente. Chiunque ne avesse voglia potrebbe entrare ed uscire dalla tua baracca senza fatica e come le tue parole, i tuoi sospiri, i tuoi erutti, le tue preghiere, il tuo dolore entrano tranquillamente nella baracca del tuo vicino, così nella tua arrivano quelli degli altri. E' questa la nostra quotidiana drammatica esistenza che ha una sola possibilità: quella di peggiorare quando sopravviene, come sovente accade, qualche altro incoveniente. Manca l'energia elettrica e capita spesso che l'interruzione si protrae per più giorni; si tirano fuori lumi e candele, siamo tanti Diogene ma, in cerca di tante cose. D'inverno le cose si complicano: c'è freddo, si preparano le borse d'acqua calda, si attizza il fuoco alla meno peggio, si ravvivano scaldini e bracieri, c'è fumo acre in giro che macchia l'anima. E l'acqua? Altro problema! Arriva per quasi un'ora ogni due giorni, si riempiono bottiglie, casseruole, bidoni, ma è sempre insuffìciente. Qualche volta apri il rubinetto e... "Ma questa non è acqua, sembra vino!" ed il problema dell'approvvigionamento idrico allora diventa tragico ed epico nello stesso tempo. Le febbri tifoidee e le epatiti si aggiungono alle diffusissime forme bronchiali. Nelle baracche non si vive: si agonizza. Quando poi arrivano i temporali il dramma è al suo aeme ed entra nell'assurdo. Pioggia e vento si fanno comunque largo o dal tetto o dalle pareti ormai fradice, ti raggiungono. Freddo, acqua e vento ed un rumore sordo costante che ti sollecita i timpani ossessivamente. Vola qualche tetto, cade qualche pannello: hai la voglia di fuggire nella tempesta! Sbirci dalla finestra: fuori è buio, e tanto buio è dentro di te. All'intermittente ed accecante luce dei lampi guardi fuori e vedi, là dove c'era la strada, e acqua, fango, pietre qualche ramo d'albero, qualche sedia, bidonì e tavole varie. Si resta annientati, sconvolti. Si è intolleranti verso tutti. Ci si sente, pur nella nostra promiscuità, soli e dimenticati. Scompare ogni traccia di autocontrollo. Si impreca. Si delira.

da "Addio, Gibellina" di Leonardo Cangelosi (1977)

 

 

Nel giugno del 1977, 150 famiglie consegnano le chiavi delle baracche dove hanno abitato per quasi dieci anni e occupano le case popolari loro assegnate nella Nuova Gibellina.

 

 

Gennaio '68: terremoto in Sicilia
Testimonianza di chi ha vissuto in prima persona l'antica tragedia e l'angoscia del domani.

 

da
"Addio, Gibellina"
di Leonardo Cangelosi
Arti Grafiche Campo
(1977)


"Si ode un gran rumore indefinito, un fracasso, come se cento carretti siciliani attraversassero di gran carriera una strada piena di ciottoli..."

 

"Aveva trentatrè anni. Aveva sempre avuto trentatrè anni, per tutti gli anni della mia fanciullezza. Un giorno però scomparve..."

 

"...e come le tue parole, i tuoi sospiri, i tuoi erutti, le tue preghiere, il tuo dolore entrano tranquillamente nella baracca del tuo vicino, così nella tua arrivano quelli degli altri."

 

 

LE FOTO DI GIBELLINA VECCHIA
PRIMA DEL TERREMOTO

 

 

I BIBELFORSCHER: Martiri dimenticati del nazismo
August Dickmann (1910-1939)